domenica 21 ottobre 2007

passeggiando tra i libri/Mille splendidi soli


Mille splendidi soli
di Giovanni Pistoia

Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, (Piemme, 2007,
www.edizpiemme.it) è un romanzo tremendo, duro, cruento, doloroso, per molti versi angosciante. Il titolo sembra tradire il triste calvario di un popolo e dei protagonisti, anzi delle protagoniste. Ma proprio in questa apparente contraddizione sta la forza del romanzo: da vicende tragiche di una realtà tanto diversa e lontana dalla nostra, dalle sofferenze inaudite, dalle prepotenze, dai soprusi, dal disprezzo verso le donne, la speranza vince sulla disperazione. L’amore e l’amicizia sono come un insperato fiore in un contesto maledettamente arido, dove la cronaca delle guerre si intreccia con storie di persone in carne ed ossa, uomini e donne, bambini e bambine, soggetti calpestati, destinati a una non vita. E in questo contesto sono proprio le donne e i bambini le vittime per eccellenza.

Distesa sul divano, con le mani tra le ginocchia, Mariam fissava i mulinelli di neve che turbinavano fuori dalla finestra. Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice da qualche parte del mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al cielo si raccoglievano a formare le nubi, e poi si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente.
"A ricordo di come soffrono le donne come noi" aveva detto. "Di come sopportiamo in silenzio tutto ciò che ci cade addosso."

Khaled Hosseini è nato a Kabul nel 1965. Nel 1980, dopo l’arrivo dei russi nella sua terra, ha ottenuto asilo politico negli Stati Uniti. Nel 2003 ha scritto il suo primo romanzo, Il cacciatore di aquiloni (Piemme, 2004), diventato un successo editoriale mondiale.
Nel libro si accenna, tra l’altro, alla condizione dei profughi afgani tra le più drammatiche del pianeta. “La guerra, la fame, l’anarchia e regimi oppressivi hanno costretto milioni di persone – come Tariq e la sua famiglia in questo romanzo – ad abbandonare le loro case e a fuggire dall’Afghanistan, trovando rifugio nei vicini Iran e Pakistan. Al culmine dell’esodo, otto milioni di afghani vivevano all’estero come rifugiati. Oggi, più di due milioni di profughi afghani vivono ancora in Pakistan.”

Importa poco la discussione se è più bello Il cacciatore di aquiloni o questo suo secondo romanzo. Sono due libri bellissimi, struggenti, dalla grande forza narrativa. Ambedue sono ambientati nell’ Afghanistan degli ultimi trent’anni. E con rapide pennellate, lo scrittore sa raccontarci la storia di quelle popolazioni senza mai appesantire il testo. Mentre ne Il cacciatore di aquiloni i protagonisti sono due ragazzi (anche lì l’amarezza della storia è riscattata dal sorriso della speranza), in questo secondo, le protagoniste sono donne. Mentre nel primo sono sullo sfondo, silenziose, qui appaiono in primo piano con tutta la tragedia addosso. E la disgrazia di essere donne. Bambine e ragazze senza infanzia, bambine-spose, bambine-madri. Donne che vivono immerse in una cultura in cui come l’ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell’uomo trova sempre una donna cui dare la colpa. Donne bastonate nel fisico e nello spirito, umiliate, violate e violentate, eppure forti, così forti e coraggiose da sperare e operare per una vita diversa. Le donne raccontate da Hosseini vengono considerate meno di niente, eppure appaiono come giganti, punti di riferimento per chi cerca un futuro diverso e migliore. Gli uomini, invece, nella gran parte dei casi, ne escono a pezzi: esseri spregevoli e miserabili.

Nonostante l’impietoso (e realistico) quadro dipinto da Hosseini, egli si affida ai versi di una poesia scritta su Kabul:

Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti,
né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i muri.

Il problema è fare in modo che le lune e gli splendidi soli non debbano più nascondersi.

(21 ottobre 2007))

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