domenica 21 ottobre 2007

Racconti brevi/Natale in classe

Natale in classe
di Giovanni Pistoia


Una severa aula scolastica: una stanza, lunga e larga. Pareti bianche, macchiate di umidità. Travi minacciose sulla testa, a sostenere un soffitto scalcinato. Una finestra, laggiù, in fondo, sulla destra del signor maestro. Un piccolo varco separa due ali di ragazzi, che siedono su banchi di legno robusto, scuro e rugoso. I sedili sono separati ma uniti da un’unica pedana.
Il maestro entra in aula. Solita giacca larga e fazzoletto nel taschino. Lo accoglie una numerosa scolaresca, in piedi: “Buon giorno, signor maestro!” Gli scolari, sull’ala destra i maschietti e su quella sinistra le femminucce, tutti con il grembiule, con tanto di fiocco e colletto, restano in piedi, in silenzio. Il maestro raggiunge la cattedra, posta su un piedistallo massiccio, osserva attento gli alunni: “Seduti, seduti”. Sposta leggermente la sedia e si siede. La cattedra è alta e chiusa da tre lati, di legno pesante, grigio-scuro. Il maestro vi poggia il registro nel quale sono riportati, in bella grafia, non una macchia, i nomi degli alunni, e sistema tutti gli altri oggetti: un sussidiario, un calamaio con relativa penna, la carta assorbente, un piccolo porta carte, un mappamondo sbiadito. Sul muro, in alto, un Crocifisso. Da un lato, vicino alla finestra, una lavagna con del gessetto e un “cuscinetto” di pezza per cancellare, opera della bidella sarta. Dalle pareti fa bella mostra una carta geografica dell’Italia politica della De Agostini - Novara e numerosi cartelli con disegni colorati, per ricordare le lettere dell’alfabeto.
Gli scolari, a un cenno del maestro, si rialzano e iniziano la lezione con la preghiera. Poi, tutti a sedere e dare ordine al proprio banco. Tolgono dalla cartella di cartone, o di plastica, l’arredo occorrente per la giornata. Il maestro vuole che tutto sia al proprio posto. Nel piccolo foro del banco il calamaio, possibilmente coperto, il sussidiario, i quaderni neri, un lapis, la carta assorbente, strumento indispensabile contro la maledizione dell’inchiostro. Lo scrittoio è mobile e leggermente inclinato, comodo, ma bisogna stare attento al calamaio: se messo male l’inchiostro scivola addosso e i richiami del maestro e i rimproveri della mamma sono assicurati.
Le ore scorrono tra letture, scritture, far di conti, dettati, poesie. Da non molto lontano i rintocchi di una campana annunciano che è mezzogiorno. “Bene – dice il maestro – ancora abbiamo del tempo. Riprendiamo a leggere ad alta voce la poesia di Giovanni Pascoli Valentino: (…) Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco/non ti bastava, tremavi, ahimè!,/e le galline cantavano, Un cocco!/ecco ecco un cocco un cocco per te!”
Un toc-toc al portone interrompe la lettura. “Avanti!”, dice chiaro il maestro. La porta si apre e appare il papà dello scolaro Angelo: “Signor maestro, ho portato l’albero come mi avevate chiesto”. I ragazzi si voltano, curiosi. Il maestro apre del tutto il portone e il contadino entra nell’aula e adagia l’albero di pino in un angolo. “Ringraziate il signor Luigi”, dice il maestro soddisfatto e stringe le mani dell’uomo. Vocio tra i ragazzi e ringraziamenti: improvvisamente l’aula scolastica si colora di festa. “Domani - aggiunge il maestro - ognuno di voi porterà qualcosa e insieme lo abbelliremo, e così anche la nostra classe avrà un bell’albero di Natale.” Entusiasmo tra gli scolari e apprezzamenti per il signor Luigi. “Calma, ragazzi, calma, capisco la vostra vivacità ma…piano…”. Il suono della campanella interrompe i festeggiamenti. “A domani, adesso uscite in ordine… prima le ragazze… ”

Il mattino seguente si respira già aria di vacanze. Un freddo acuto frusta i volti degli scolari, mentre, in montagna, gli alberi si sono svegliati carichi di neve. Natale è vicino e si annuncia con i suoi colori tradizionali. Nell’aula tutti fanno fatica a stare fermi tra i banchi, ma aspettano, con ansia, di addobbare l’albero. Il maestro lo intuisce e non perde tempo. Insieme con alcuni ragazzi più robusti pianta l’albero in un grosso vaso di terracotta, prestato, per l’occasione, dalla bidella, Italia, con della terra portata dal papà di Vincenzo, un ragazzino minuto e intelligentissimo.
Tutta la scolaresca è accanto all’albero, che emana un forte odore di bosco, mentre si pavoneggia vestito di verde. Ognuno ha portato qualche cosa. Anna è la prima ragazzina ad appendere ai rami un buon numero di melagrane; le ha ricevuto dalla nonna fruttivendola. Sono con la corteccia ruvida, di colore giallo verde. Alcune sono indurite e Anna, da vera artista in erba, le ha trasformate in capolavori colorati. Ida ha portato quattro sfere di colori diversi. Giorgio, figlio del proprietario di un piccolo negozio di generi alimentari, delle confezioni di cioccolatini, a forma di triangolo. Li chiamano “formaggini”. Con pazienza lega i triangolini ai rami dell’albero con del filo sottilissimo. L’albero si riempie di caramelle, torroni e tanti dolcini, avvolti in carte luminose. Arance e mandarini, profumatissimi, ancora attaccati ai rami e coperti da foglioline verdi, vengono agganciati al pino, che sembra gongolare per quella inattesa accoglienza. Ersilia, intanto, consegna al maestro tante piccole candele argentate. Poi, è la volta di Maria, che lega, con del filo dorato alla cima più alta, tre graziose piccozze in miniatura portate dal Friuli, sua regione d’origine. Salvatore è un appassionato sportivo, gioca con la sua squadra di calcio e, in uno dei suoi incontri, ha vinto tre piccolissimi palloni in bianco e nero, non più grandi di un uovo, e desidera vederli dondolare dai rami. Il papà di Salvatore, che ha una ricca merceria, ha donato dei fili colorati, tanti da abbracciare per intero l’albero, che, coperto da un bel po’ di bambagia, diventa, come d’incanto, canuto.
L’atmosfera si fa elettrizzante, quando, attraverso la finestra, qualche farfalla di neve, quella vera, scende, pigramente, sulle case. Segue un grido di gioia, un urlo liberatorio. Dura poco. Il rumore del portone che si apre - nessuno ha sentito il toc-toc - e l’Ispettore scolastico che entra. Alto, robusto, burbero. Scruta, con occhi socchiusi, dietro un paio di lenti spessi, ogni angolo dell’aula. I ragazzi non sanno cosa fare. Guardano il loro maestro, che mantiene un contegno sereno. Timidamente prendono posto nei banchi. Il maestro è il primo a rompere il ghiaccio: “Buon giorno, signor Ispettore! Benvenuto!” “Buon giorno, signor Ispettore!”, ripete, all’unisono, la classe. Dopo aver esaminato tutto e tutti in un silenzio assoluto, l’Ispettore osserva l’albero di Natale.
“Vi ho portato l’essenziale”, dichiara. E aggiunge, perentorio: “Manca il Bambinello!” E consegna alcune statuine: un Gesù Bambino, Giuseppe e Maria, i Re Magi, un bue, l’asinello, una capanna di legno, una lavandaia, un mugnaio, un pastore. “E così avrete anche un piccolo presepe.” I ragazzi riprendono fiato. Ora, sono tranquilli. E il maestro ringrazia. L’ispettore tace. Fissa di nuovo l’albero: “Manca ancora qualche cosa!” Poi si rivolge agli scolari con voce cavernosa: “Frugoletti, se venite a scuola il giorno di Natale, mi troverete con un bel vestito rosso. Sarò Babbo Natale! Ho la taglia giusta. Non vi pare?” Ampi sorrisi e volti distesi. Auguri, Babbo Natale, Ispettore gigante!

(omaggio al Maestro Giacomo De Rosis
e all’Ispettore Vincenzo Minisci)


(21 ottobre 2007)

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