martedì 16 giugno 2020

ION DEACONESCU, “Ecoul, doar el – L’eco, solo lei”, (Testo a fronte), Pasturana (AL), Puntoacapo Editrice, 2019, pp. 140. Traduzione di Cinzia Demi, Prefazione di Giuseppe Manitta. [letto da Dante MAFFIA]


ION DEACONESCU, “Ecoul, doar el – L’eco, solo lei”, (Testo a fronte), Pasturana (AL), Puntoacapo Editrice, 2019, pp. 140. Traduzione di Cinzia Demi, Prefazione di Giuseppe Manitta. [letto da Dante MAFFIA]

“Il canto dell’usignolo in agonia… i treni stanchi… l’ora dei gigli velenosi… il banchetto dei ricordi… gli arazzi di sabbia…la palpebra dell’alba…”.
Quando termino la lettura un libro di poesia chiudo gli occhi e attendo che un flusso di immagini, di metafore, di scatti lirici si presentino perentori a testimoniare che ho attraversato la sapienza del cuore e dell’anima ed è per questo che sono rimasti degli strascichi che mi suggestionano e mi danno la certezza di essere entrato nelle verità del poeta, nella sostanza del suo mondo variegato.
Ho fatto così anche con “L’eco, solo lei” e la prova è stata molto ricca e coinvolgente, perché Ion Deaconescu, evidentemente, è riuscito a mettere nelle parole le accensioni della sua spiritualità, la saldezza di un rapporto con la vita e con l’amore che ha davvero dello strabiliante: in ognuna delle poesie si sente che la distillazione della lingua, del pensiero e del sentimento è avvenuta con naturalezza e che gli esiti sono una simbiosi perfetta della natura del poeta e dello studio assiduo fatto diventare lievito delle espressioni, musica sottile e vibrata del senso infinito.
Deaconescu è riuscito a indagare vari mondi letterari, quello rumeno, naturalmente, ma anche quello francese, italiano, spagnolo e russo. Alla base delle sue composizioni c’è la cultura che però egli ha saputo far diventare essenza leggera e vagante di una condizione umana e perciò può esprimersi in maniera diretta, focalizzando i momenti di un percorso che non casualmente comincia con una poesia intitolata “Il viaggio”.
Perché questo libro è un vero viaggio all’interno della propria anima (forse c’entrano Céline e Rimbaud), un percorso che si snoda e si dipana senza scossoni e fibrillazioni inconsuete. Il poeta possiede la “conoscenza” e conosce il “senso” degli stati d’animo e può esprimersi con precisione, con fermezza, con considerazioni capaci di illuminare i processi che divampano dietro la realtà (c’entra Baudelaire?) e scrostano il risaputo per affermare la delicatezza della scoperta, del rapporto esistente tra l’esistere e il sognare di esistere, tra l’essere e il non essere…
A tratti ho visto baluginare anche la lezione di Jorge Luis Borges e quindi l’insieme si è proiettato come un campo visivo ricco e palpitante, a tratti metafisico, a tratti lucidamente nascosto, sottratto  alle intemperie della filologia.
C’è, nella poesia di Ion Deaconescu, il fuoco vivo degli accadimenti giornalieri che non diventano mai sterile letteratura. Ognuna delle poesie presenti nella raccolta è un pezzetto di cielo e di luna, ma anche un pezzetto di anima, di morte, di resurrezione.
Non nascondo che quando, all’inizio del libro, ho letto dei “treni stanchi” ho subito amato il poeta, perché mi ha trasmesso immediatamente una sorta di religione impostata tra la cosa e la spiritualità, tra la realtà e il sublime.
E’ una costante del libro e di tutta la produzione di Ion. Me ne sono già occupato altra volta e ritrovo il suo passo apparentemente pacato, la sua voce suadente, lo scatto improvviso che sa rubare all’aria e alla luce la soavità del dettato.
Tutte le poesie del libro hanno qualcosa di arioso, una scansione sincopata che è, a un tempo, musica sinfonica e musica jazz. Ion non bleffa mia, nelle parole mette il suo fiato, il suo sangue e la tenerezza che un tempo ebbe in dono e che adesso ridà in scatti che grondano di bellezza e accendono nel lettore il piacere di sentirsi vivo.
Si badi come i versi si muovono, quasi, in una danza che nel momento in cui potrebbe diventare abbaglio si smorza e prende un ritmo piano, la cadenza di un appagamento di rara efficacia e di sicura bellezza espressiva.
Vorrei sottolineare che raggiungimenti così riusciti non si ottengono solo per l’inclinazione e la vocazione presenti nell’animo del poeta; dietro c’è anche un lavoro costante, un esercizio linguistico che sa badare ormai ai particolari, intesi proprio nella accezione di cui parlava Francesco Guicciardini.
Facciamo un esempio preciso, prendiamo uno dei testi a caso, non so “Le lacrime dei sogni”:

        è caduto dalla parete il pendolo
le ore si sono disperse
come i resti
che non sai dove buttare

sul pavimento bagnato
le lacrime dei sogni
aumentano la ruggine del tempo

e già a una prima lettura ci rendiamo conto di come, in maniera diretta, il poeta sappia cogliere l’essenza delle atmosfere e delle situazioni. Si badi, però, che anche le più complesse in Deaconescu non diventano problematiche, tutt’al più assumono il dubbio, si dibattono nella tentazione di uscire dall’indistinto per trovare l’essenza di un rapporto sempre umano, umanissimo. Si faccia caso come, con la semplicità più assoluta, è il pendolo a cadere e a di conseguenza a fare disperdere le ore, cioè il Tempo. Qual è la conseguenza diretta? Che le lacrime dei sogni, capite?, le lacrime dei sogni, aumentano la ruggine del tempo: Qui la metafisica diventa palpito che afferma la vita nel suo farsi e disfarsi, e il poeta annota senza scandalizzarsi, senza gridare con angoscia: perché gli eventi hanno una loro ragione dinamica e fuori dalla logica  comune, e quindi navigano dentro processi di cui non si può tenere il regesto.
Mi sono domandato più volte il motivo per cui ho subito amato la poesia di Ion Deaconescu e continuo ad amarla considerandola una delle più prestigiose in assoluto dell’intera Europa. All’inizio ho pensato, con le parole di Umberto Saba, che egli ha saputo cogliere “l’infinito nell’umiltà”, che è vero. Ma c’è di più. In questo libro c’è un’amarezza mai sorda, mai slegata dalle intemperie della vita; un’angoscia risolta negli approdi di metafore lancinanti che sembrano nascere da corti circuiti a ciel sereno.
L’atteggiamento, la voce, lo sguardo, il passo, il sogno del poeta è quello di volere e poter cogliere l’assoluto nel suo estrinsecarsi consueto, portandolo alle vette espressive, riempiendolo di allusioni, di ammiccamenti che producono la pietà e la gioia, il senso della perdita perenne, il fluire della vita.
Per la poesia di Deaconescu non valgono gli epiteti soliti, le etichette di pessimista, ottimista, solitario, pensoso, in lui c’è lo schiudersi delle albe che giorno dopo giorno assecondano la luce e creano, nel mentre lo svelano, il mistero della vita, della morte e dell’amore.
E tutto ciò è fatto con piglio da letterato che nega la letteratura; con l’afflato tempestoso del metafisico che riporta alla realtà il sogno; con la libertà più assoluta che si svincola da tutti i pesi per esistere in quel momento, assolutamente in quell’istante.
Tutto questo non può che far dire che siamo al cospetto di un grandissimo poeta che ha saputo entrare e uscire di continuo dai germogli ossessivi che gli studi gli hanno regalato e ha saputo decifrare gli enigmi che rapidamente transitano nel suo cuore. Il risultato è questo libro gioiello che a leggerlo e a rileggerlo lascia in bocca il sapore antico e nuovo, inedito, di una musica alta, semplice e solenne:

agli angoli delle strade i mercanti di maschere
ti chiamano per nome e ti offrono una maschera
straziata da tante smorfie
incise nel suo ovale di ghiaccio

maschere sorridenti o insidiose
nascondono riso e pianto
con un ritornello di cori
con centinaia di voci suadenti
che divampano sulla soglia del tramonto

maschere tristi  con le lacrime scavano l’alveo 
nel corpo stanco del gioco urlante
e del dolore nell’ombra

maschere di ogni tipo
maschere per chiunque
maschere per la grande festa





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