martedì 28 luglio 2009

Calabria


La Calabria di Maria Brandon-Albini
Giovanni Pistoia

Per noi italiani del Nord, il Mezzogiorno rappresenta ciò che per gli altri europei raffigura la penisola nel suo insieme: l’opposto del nostro ambiente abituale, l’evasione, la scoperta e l’esaltante magia del sole.
Lo straniero talora sorride del fervore con cui noi parliamo del nostro Sud. (…).
In realtà, il Mezzogiorno è un paese nel nostro paese, una civiltà originale all’interno della civiltà nazionale; d’altra parte, esso pone un problema sociale e politico appassionante. Alla nostra curiosità si aggiunge una specie di “complesso” di colpa verso questa terra che abbiamo a lungo sottovalutato, colpa di cui vorremmo riscattarci.
Noi giovani della borghesia del Nord, avevamo sul Sud pregiudizi e idee preconcette, quasi istintive; giustificate solo dall’ignoranza della realtà e dal conformismo semplicistico con cui la scuola ci presentava la storia nazionale: il Centro e il Nord ne avevano fatto tutta la grandezza, mentre il Sud ne assumeva tutte le debolezze.
Io stessa presi coscienza di questa realtà solo verso il 1936, in occasione della mia venuta in Francia. I miei contatti con italiani eminenti, emigrati a Parigi, e le letture impegnate m’iniziarono ai problemi economici, sociali e storici del Sud. Compresi allora in che cosa fosse tanto diverso dal Nord: e in questo caso, capire significare amare.


Nel 1957 le edizioni Arthaud di Grenoble pubblicano nella loro collana di viaggi, avventure e scoperte geografiche un libro su una remota provincia del Sud d’Italia. Il titolo è “Calabria”. È significativo il fatto che questo diario va ad affiancare altre pubblicazioni che descrivono terre lontanissime: il Tibet, l’Amazzonia, il Congo, la Bolivia, il Nilo. Già questa collocazione la dice lunga su come questa regione venisse considerata distante, fisicamente, politicamente, culturalmente e, ancora di più, psicologicamente, dal resto dell’Italia.

L’autrice è Maria Brandon-Albin, giovane donna lombarda, intelligente e colta. Lascia Milano nel 1936 per raggiungere i connazionali che combattono contro il regime dominante. Il libro è ristampato dalla Rubbettino (2008). La viaggiatrice focalizza l’attenzione su alcuni episodi che possono sembrare marginali ma che, in verità, mostrano una regione che va trasformandosi. Il testo è preceduto da un’ampia e interessante introduzione di Salvatore Inglese, che è anche il curatore del volume.

La Calabria è stata un nodo importante di scambi culturali tra Oriente e Occidente, crocevia di interessi economici rilevanti, e nonostante ciò non è riuscita a trarre benefici duraturi da ciò. Certo, la Calabria di oggi è ben diversa da quella raccontata dall’autrice ma, di là delle apparenze, le condizioni di regione periferica non sono diminuite. Si può affermare che, per molti aspetti, questo stato di emarginazione è aumentato.

Maria Brandon-Albini
Calabria
Rubbettino 2008
http://www.rubbettino.it/

mercoledì 1 luglio 2009

Anche quella notte pioveva

Anche quella notte pioveva*
di Maria Marino


Storia di un incontro per le strade di Santo Domingo
tra sognatori del Sud e del Nord del mondo
L'Associazione di solidarietà internazionale "Un sogno per la strada", fondata nel 2006 a seguito di un'esperienza di servizio civile, opera a Santo Domingo de Los Colorados, Ecuador, per la costruzione di un centro di recupero per bambini e ragazzi di strada.
Per maggiori informazioni, visita il sito:
Anche quella notte pioveva, era umido e faceva freddo. Le strade di Santo Domingo, città ecuadoriana presso la quale svolgevo il servizio civile, si stavano preparando ad accoglierci. Da lì a poco sarei uscita insieme ai miei colleghi di lavoro per portare da mangiare ai ragazzi di strada. Ero molto curiosa e anche un po’ spaventata. Non sapevo, infatti, cosa avrei trovato e soprattutto chi fossero questi famigerati ragazzi di cui tutti sembrano aver paura.
Prepariamo la cena e via in macchina verso la loro “casa”. Ci fermiamo davanti ad una costruzione vecchia e abbandonata, piena di immondizia e con un fetore insopportabile. Mi sembrava di essere come alle porte di una casa dell’horror. Tutto era buio intorno e all’improvviso, al suono del clacson, iniziavano ad uscire dalla costruzione uno ad uno e lentamente dei ragazzi, bambini e adolescenti di varie età. Sporchissimi, indossavano magliette lunghe fino ai piedi e pantaloni enormi legati da una corda o uno spago. Portavano con sé quell’odore terribile che ancora oggi brucia nelle mie narici. Scoprii subito dopo che era l’odore della colla, comune e corrente colla da scarpe che i ragazzi di strada sniffano per dimenticare le tenebre della loro infanzia e adolescenza. Un vuoto che è assenza, mancanza… soprattutto di amore.
I ragazzi di strada sono figli della povertà, dell’abbandono e dell’abuso, di uno Stato e di una famiglia pressoché assenti. Rappresentano un peso per una società che ha come obiettivo la massimizzazione del profitto e non la dignità degli esseri umani. I ragazzi di strada scappano, prima dalle loro famiglie, poi dal sistema e infine, aiutati dalle droghe, scappano da loro stessi. A volte scappano anche da chi li vuole aiutare perché ormai la paura di essere abbandonati un’altra volta è più forte del desiderio di cambiare. Troppe volte sono stati delusi, ingannati e manipolati. Non credono più in nulla. Preferiscono scappare e scappare ancora.
Un sogno per la strada non è solo un’associazione di volontariato. È la storia dell’incontro tra questi ragazzi del sud e noi, volontari e sognatori del Nord che abbiamo deciso di prendere un impegno: restare a fianco di questi ragazzi, non abbandonarli e restituire loro il diritto a sognare.
La lotta per la difesa dei diritti dei bambini e adolescenti è dura. In Italia come in Ecuador. I bambini non hanno voce e non hanno il diritto di voto, quindi sono costantemente esclusi dalle agende politiche dei governi. Ogni volta in campagna elettorale (almeno una decina negli ultimi dieci anni in Ecuador), non c’e’ stato politico che non abbia detto che non ci sarebbero stati più bambini per le strade.
Ma loro sono ancora lì. Disegnano fiori sul cemento, vagano per la città chiedendo l’elemosina, inventandosi un improbabile lavoretto, rubacchiando o succhiando un mango tra i resti dei rifiuti del mercato. Con il passare degli anni, ho iniziato a fare mio il pensiero di alcuni antropologi e sociologi secondo i quali i ragazzi di strada sono dei guerrieri o dei nuovi rivoluzionari. La loro è una vera e propria resistenza contro un sistema globalizzato, basato sul libero mercato, dove è stata decretata la morte della natura e dell’umanità.
In questa lotta noi di Un sogno per la strada abbiamo deciso di schierarci con loro e con tutti quelli che lottano ogni giorno per essere riconosciuti come esseri umani. Siamo stanchi di essere considerati numeri per le imprese multinazionali, numeri per i governi, numeri per le imprese di pubblicità e comunicazione.
Noi di Un sogno per la strada abbiamo deciso di passare dai numeri ai nomi. E allora abbiamo fatto amicizia con la strada, ci siamo seduti accanto a questi piccoli guerrieri e abbiamo iniziato ad ascoltarli. All’inizio è stato un duro lavoro perché nei loro cuori è radicata la sfiducia verso il mondo adulto. Lentamente però siamo riusciti a entrare nelle loro vite. Abbiamo costruito insieme a loro una speranza per il futuro. Partendo dai sogni per la strada.
Da quest’incontro di sogni è successivamente nato un progetto dal nome “Sonando por el cambio”, che al di là delle strutture che sarà necessario costruire, vuole essere un luogo di accoglienza fisica e non solo per questi ragazzi. Un luogo dove si sentano amati e accettati al di là del loro colore della pelle e della loro condizione economica. Un posto dove non vengano considerati immondizia ma possano essere ascoltati e spronati a credere nei loro sogni.
Come i nostri bambini italiani, anche loro vogliono diventare cantanti, ballerine o calciatori (per fortuna non ancora veline). O più semplicemente guide turistiche, agricoltori, venditori di frutta e verdura, ragionieri, geometri, meccanici e altro ancora. “Sonando por el cambio” ha come obiettivo quello di dare un’opportunità di vita ai ragazzi di strada: disintossicarsi, studiare, praticare uno sport e prepararsi professionalmente per entrare nel mondo del lavoro.
Ma l’associazione Un sogno per la strada non si accontenta di lavorare solo in Ecuador. Vogliamo diffondere una mentalità nuova anche in Italia. Vogliamo che i ragazzi di strada ecuadoriani siano considerati un fenomeno che riguarda tutti noi italiani. Loro sono, infatti, presenti nelle nostre vite ogni giorno. Soprattutto quando la nostra ricchezza (e lo dico anche in tempi di crisi) è causa della loro povertà. Oppure quando per accaparrarci le risorse del Sud lasciamo alle popolazioni locali le briciole ma li sommergiamo con la nostra immondizia. E ancora quando noi occidentali (attraverso la tv o i nostri viaggi poco responsabili) trasmettiamo un’immagine del NORD del mondo quale regno dell’opulenza. E non capiamo poi perché i ragazzi del SUD, preda di quest’illusione, saltino su un gommone o su un’imbarcazione improvvisata, rischiando la loro vita per approdare su spiagge tanto sognate in cerca di una vita più dignitosa rispetto a quella di casa propria.
Un sogno per la strada vuole aiutare questa gente, ed in particolare i bambini di strada e le loro famiglie, a realizzare i loro sogni e garantendo loro un’esistenza dignitosa nel loro paese. Vuole consapevolizzare i giovani del Nord perchè siano più sensibili verso i loro fratelli meno fortunati e quindi più tolleranti e solidali.
Aiutaci anche tu unendoti alla nostra lotta.

*Articolo tratto dal sito: