giovedì 14 settembre 2023

CARO VLADIMIR di Dante Maffia

 CARO VLADIMIR

di Dante Maffia


All’improvviso

vedesti la poesia diventare ombra

in altra ombra dilatata,

effimero canto d’una liturgia.

Il sogno di diventare Dio.


Fu la fantasia dei pidocchi a creare

il ballo tondo.

Fu la storia d’un sermone

perduto da Cristo

quando immerse il divino nell’umano.


Per cammini 

che non portano da nessuna parte,

nel fuoco dell’indifferenza 

che ha sempre vinto le guerre

sono apparse le viole…

Io resto al balcone ad aspettare

la miseria della ritirata.

Comunque miseria.


Credi d’essere il mare, vero?


Putin, vorrei che tu e io

fossimo lieti d’ascoltare

quel che dice la conchiglia,

quel che suggerisce il rimario

e vuotare insieme una bottiglia

di vodka

una mattina di sole 

davanti a Sibari in festa 

perché Pitagora

ha invitato a pranzo Campanella,

Putin e Maffia. 


Sibari di nuovo allagata,

distrutta dai Russi questa volta?


Siamo nella Biblioteca d’Alessandria

non in un campo di guerra.

Attento a come cammini,

le pergamene si stanno rigenerando,

Nosside è nuda.


Anche Satana ha un codice d’onore.


Ma prima che le combinazioni del male

si moltiplichino,

prima che sia scritta 

la storia delle macerie, 

prima che tutto si disfi in polvere

e i libri siano cancellati…


Versi, non missili,

versi, non bombe.

Putin, Putin,

perché non compri un ramo di pesco?


L’odore che apre le vie del bene,

che dal Mare Jonio porta agli Urali

ha la magia d’un sillabario.

Vladimir, oh Vladimir,

diventa Pinocchio, per favore, 

accompagnami ai Sassi di Matera,

non temere se sono calabrese,

ho lasciato a casa la scimitarra,

voglio presentarti i miei poeti,

voglio farti assaggiare il pane 

di grano duro, la soppressata,

perché tu possa sentire

che le mie parole 

sono condite di questi sapori,

o, come diceva Nelo Risi,

sentire 

che ho saputo rubare a mia madre

la fragilità della creazione.

Tu l’hai avuta una madre?


Una madre 

che ti diceva parole come il pane

condito con olio e sale,

parole che spesso è il mare a darle

senza incartarle 

con la raucedine del risaputo,

parole con troppo sole, forse,

ma distillate in abbracci senza sosta.

Vladimir,

diventa parola alata,

fuoco di gioia, 

abbandona la guerra,

il Potere ha troppe vipere e spine,

rivolgiti a tua madre,

l’hai avuta, vero?,

tua madre, la ricordi?

Chiedile se è giusto uccidere,

recidere i fiori appena sbocciati.


CARO VLADIMIR di Dante Maffia

CARO VLADIMIR

di Dante Maffia


All’improvviso

vedesti la poesia diventare ombra

in altra ombra dilatata,

effimero canto d’una liturgia.

Il sogno di diventare Dio.


Fu la fantasia dei pidocchi a creare

il ballo tondo.

Fu la storia d’un sermone

perduto da Cristo

quando immerse il divino nell’umano.


Per cammini 

che non portano da nessuna parte,

nel fuoco dell’indifferenza 

che ha sempre vinto le guerre

sono apparse le viole…

Io resto al balcone ad aspettare

la miseria della ritirata.

Comunque miseria.


Credi d’essere il mare, vero?


Putin, vorrei che tu e io

fossimo lieti d’ascoltare

quel che dice la conchiglia,

quel che suggerisce il rimario

e vuotare insieme una bottiglia

di vodka

una mattina di sole 

davanti a Sibari in festa 

perché Pitagora

ha invitato a pranzo Campanella,

Putin e Maffia. 


Sibari di nuovo allagata,

distrutta dai Russi questa volta?


Siamo nella Biblioteca d’Alessandria

non in un campo di guerra.

Attento a come cammini,

le pergamene si stanno rigenerando,

Nosside è nuda.


Anche Satana ha un codice d’onore.


Ma prima che le combinazioni del male

si moltiplichino,

prima che sia scritta 

la storia delle macerie, 

prima che tutto si disfi in polvere

e i libri siano cancellati…


Versi, non missili,

versi, non bombe.

Putin, Putin,

perché non compri un ramo di pesco?


L’odore che apre le vie del bene,

che dal Mare Jonio porta agli Urali

ha la magia d’un sillabario.

Vladimir, oh Vladimir,

diventa Pinocchio, per favore, 

accompagnami ai Sassi di Matera,

non temere se sono calabrese,

ho lasciato a casa la scimitarra,

voglio presentarti i miei poeti,

voglio farti assaggiare il pane 

di grano duro, la soppressata,

perché tu possa sentire

che le mie parole 

sono condite di questi sapori,

o, come diceva Nelo Risi,

sentire 

che ho saputo rubare a mia madre

la fragilità della creazione.

Tu l’hai avuta una madre?


Una madre 

che ti diceva parole come il pane

condito con olio e sale,

parole che spesso è il mare a darle

senza incartarle 

con la raucedine del risaputo,

parole con troppo sole, forse,

ma distillate in abbracci senza sosta.

Vladimir,

diventa parola alata,

fuoco di gioia, 

abbandona la guerra,

il Potere ha troppe vipere e spine,

rivolgiti a tua madre,

l’hai avuta, vero?,

tua madre, la ricordi?

Chiedile se è giusto uccidere,

recidere i fiori appena sbocciati.