[GERARDO TRISOLINO, Odio
Mèniére, San Cesario di Lecce, Manni, 2017, pp. 78. Prefazione di Antonio Lucio
Giannone, postfazione di Daniele Giancane]
di Dante MAFFIA
Raramente le prefazioni e le
postfazioni ai libri di poesia riescono a entrare nel vivo dei testi e infatti
molti lettori ormai vanno direttamente sui versi in modo da non farsi
fuorviare. Io sono testardo e mi piace confrontarmi con la critica e verificare
se le letture sono frutto di lavoro oppure appena un clemente dono d’amicizia.
Giannone e Giancane mi hanno
sbalordito, hanno saputo leggere questo bellissimo libro (e bellissimo non
suoni come un complimento generico) con competenza e con adesione, con intelligenza
e con quella giusta dose, obiettiva, di scientificità che serve a illuminare il
percorso di un testo prezioso e raro di questi tempi in cui trionfa ancora lo
spirito del disfattismo a favore di un approssimativo significante che non ha
portato e non porta da nessuna parte.
Ma la svolta è in atto e non
solo in Italia…
La poesia di Gerardo Trisolino
convince e fa scrivere le pagine di
Giannone e di Giancane perché è consustanziata da un potente lirismo ovviamente
saputo dosare e calibrare, oscillante tra un leggero dato realistico e una
punta lieve di metafisica.
Ciò permette al poeta di poter
maneggiare anche argomenti civili, sociali e politici senza cadere nel vizio
comiziale e retorico che ha inficiato perfino molti testi di Neruda o di Hikmet.
Trisolino ha la misura, quella che occorre per affrontare per esempio il
rapporto d’amore che trova un interprete insolito, direi sabiano, capace di
“illustrare” la quotidianità con sobrietà e dolcezza e renderla irripetibile
senso della gioia.
Il volume è diviso in cinque
sezioni che apparentemente sembrano essere materia diversa una dall’altra. Ma
se si ascolta il polso teso delle vibrazioni liriche si vedrà facilmente come
invece anche i temi più direttamente sociali, quelli, per intenderci riferiti al
“Salento flagellato” (che poi diventa Salento adunco) sono anima che cerca di
svelare a se stessa e al lettore i segreti che spesso si presentano davanti
come a chiedere udienza per non passare inosservati. Si legga, per esempio,
“L’anima delle cose” a questo proposito, ma non sfuggano i continui riferimenti
alla casalinghitudine, al rapporto con la compagna di vita, ai panni stesi, al
detersivo. (“Atti quotidiani”, “Talismani”).
Sono soltanto quarantaquattro
composizioni così complesse e così dense di riferimenti umani e letterari
(questi ultimi sfarinati con perizia e accortezza da consumato critico) che
riempiono il lettore portandolo in una dimensione condivisa. Non è casuale che
Daniele Giancane concluda il suo scritto affermando che si tratta di “una
silloge da leggere e da rileggere”.