«La lotta contro
il razzismo deve essere un riflesso quotidiano. Non bisogna mai abbassare la
guardia. Bisogna cominciare con il dare l’esempio e fare attenzione alle parole
che si usano. Le parole sono pericolose. Certe vengono usate per ferire e
umiliare, per alimentare la diffidenza e persino l’odio. Di altre viene distorto
profondamente il significato per sostenere intenzioni di gerarchia e di
discriminazione. Altre sono belle e allegre. Bisogna rinunciare alle idee
preconcette, a certi modi di dire e proverbi che vanno nel senso della
generalizzazione e per conseguenza del razzismo. Bisognerà riuscire ad
eliminare dal tuo vocabolario le espressioni che portano a idee false e
pericolose. La lotta contro il razzismo comincia con un lavoro sul linguaggio.
Questa lotta d’altra parte richiede volontà, perseveranza ed immaginazione. Non
basta più indignarsi di fronte a un discorso o a un comportamento razzista.
Bisogna anche agire, non dare spazio a una deriva di carattere razzista. Non
dire mai “non è poi così grave!”. Se uno lascia correre e lascia dire, permette
al razzismo di prosperare e di svilupparsi anche tra le persone che avrebbero
potuto facilmente evitare di abbandonarsi a quel flagello. Se non si reagisce,
e non si agisce, si rende il razzismo banale e arrogante. Sappi che ci sono le
leggi che puniscono l’incitamento all’odio razziale. Sappi anche che ci sono
associazioni e movimenti che lottano contro tutte le forme di razzismo e che
fanno un lavoro formidabile. Quando tornerai a scuola guarda bene tutti i tuoi
compagni e noterai che sono tutti diversi tra loro, e questa differenza è una
bella cosa. È una buona occasione per l’umanità. Quegli scolari vengono da
orizzonti diversi, sono capaci di darti cose che non hai, come tu puoi dargli
qualcosa che loro non conoscono. Il miscuglio è un arricchimento reciproco.
Sappi infine che
ogni faccia è un miracolo. È unica. Non potrai mai trovare due facce
assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose
relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto.
Nessuno ha diritto di umiliare un’altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua
dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò
che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza
del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità.»
Il brano è tratto,
come molti lettori avranno già inteso, dal libro Il razzismo spiegato a mia
figlia di Tahar Ben Jelloun. Un testo di enorme successo apparso nel 1998 e
successivamente riedito numerose volte. La copia che ho tra le mani è pubblicata
da Bompiani nel 2009, la traduzione è di Egi Volterrani. Una nuova edizione
ampliata è ora in commercio edita da La nave di Teseo aggiornata con
«1998-2018. Il razzismo è in buona salute». Questa aggiunta è drammatica perché
prende atto della estrema attualità del tema.
Più volte mi sono
imbattuto negli anni con questo dialogo, spesso utilizzato per incontri
con genitori, insegnanti, studenti. Il libro, lo ricordo appena, è il tentativo
da parte di un padre di spiegare alla figlia cosa sia il razzismo, da dove
nasce, e come si può prevenire e combattere. Un dialogo pacato, sereno; un
linguaggio sobrio, scorrevole, essenziale. L’autore ha sottoposto il suo lavoro
a continue riscritture e verifiche; ha sempre utilizzato parole misurate. Consapevole
della delicatezza e complessità dell’argomento, ha cercato di esprimersi con un
linguaggio semplice, accessibile, e mai banale; si è soffermato sui concetti,
anche quelli più spigolosi, con animo sincero. Ha evitato discorsi retorici,
lezioni melense.
Il testo è rivolto
essenzialmente ai giovani, ma è anche uno strumento utile per genitori e
educatori. L’autore era e rimane convinto che la comprensione del razzismo e la
sua lotta deve cominciare con l’educazione. «Non si nasce razzista, si diventa.
C’è una buona e una cattiva educazione. Tutto dipende da chi educa, sia nella
scuola come a casa.» In questo campo, nel campo dell’educazione intendo, considerato
gli esiti raggiunti, e la recrudescenza del fenomeno in più parti del mondo,
non esclusa l’Italia, evidentemente non si è fatto molto. Il mondo della scuola
dovrà pur chiedersi perché proprio tanti giovani adulti, che hanno lasciato i
banchi e le aule da poco, manifestano atteggiamenti razzistici in più
occasioni, e perché tanti giovanissimi che ancora frequentano le scuole
dell’obbligo e le superiori si lasciano attrarre dalle sirene nefaste dell’odio
verso chi si ritiene un diverso. «La scuola -afferma ancora l’autore- è fatta
apposta per questo, per insegnare ai ragazzi che gli uomini nascono e rimangono
uguali nei loro diritti pur essendo diversi, per insegnare che la diversità tra
gli uomini è una ricchezza, non un handicap.»
L’odio è
contagioso, lo sappiamo. Non risparmia nessuno. Anche chi odia prima o poi ne
rimane vittima. Cosa fare? Riprendere a dialogare, spiegare, ragionare e,
soprattutto, ascoltare. Spesso il razzismo è il risultato di un disagio
profondo, il frutto dell’ignoranza più bieca. Non c’è altra strada se non
affidarsi all’uso attento, intelligente, della parola che apre la mente, non quella
che ferisce, umilia, uccide. E ricordando a tutti noi che gli altri, in fondo,
siamo noi. E che non siamo superiori ad altri, così come altri
non sono superiori a noi. E se sconosciuti possono farci paura, noi
siamo sconosciuti ad altri, e destare, a nostra volta, paura. Noi
italiani, forse, non abbiamo fatto i conti in maniera seria e duratura con
quelle infami Leggi razziali che, purtroppo, il nostro paese ha
partorito, per colpa di pochi, nel silenzio di molti.