venerdì 12 aprile 2024

Studi di Luigi De Luca curati da Giovanni Pistoia

 

Luigi De Luca

SCRITTI VARI

Note d’arte, recensioni, appunti di storia, curiosità linguistiche, toponomastica, tradizioni popolari, poesie

a cura di Giovanni Pistoia

Edizione fuori commercio, aprile 2024

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Luigi De Luca

CALABRIA.

Breve storia della contea di Corigliano

a cura di Giovanni Pistoia

Edizione fuori commercio, marzo 2024

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“Antichità” rinascimentali a Corigliano e altri studi

di Luigi De Luca

a cura di Giovanni Pistoia

Edizione fuori commercio, gennaio 2024

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martedì 9 aprile 2024

Luigi De Luca, SCRITTI VARI, a cura di Giovanni Pistoia

 

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Luigi De Luca, SCRITTI VARI, a cura di Giovanni Pistoia




I testi che si pubblicano sono apparsi principalmente sulla rivista il Serratore da1988 e fino al 1997; in ogni modo le fonti sono indicate di volta in volta per ogni singolo contributo. Si è conservato complessivamente la struttura degli interventi originari.  Sono apportate soltanto quelle modifiche rese necessarie da evidenti errori di stampa. Le note sono dell’autore, riportate integralmente senza integrazioni o omissioni; solo adattate tipograficamente al nuovo formato e modificate lievemente per esigenza di uniformità; si è tentato di eliminare qualche refuso. Nel riportare i testi non è stato seguito un ordine cronologico in base alla data della loro prima pubblicazione ma si è cercato, nei limiti del possibile, di armonizzare gli scritti con riferimento al loro contenuto. L’intervento del curatore è sempre tra parentesi quadre.

 

In copertina: Luigi De Luca. Le foto dello studioso sono fornite gentilmente dalla famiglia De Luca, che si ringrazia.

Le foto inserite nel testo sono di Giovanni Ursino, che si ringrazia.

 

IN:

https://www.academia.edu/117230882/Luigi_De_Luca_SCRITTI_VARI_a_cura_di_Giovanni_Pistoia_

 

 https://independent.academia.edu/GiovanniPistoia

 

giovannipistoia@libero.it

 

 

https://independent.academia.edu/GiovanniPistoia


venerdì 15 marzo 2024

MONICA LANZILLOTTA, Cesare Pavese – Una vita tra Dioniso e Edipo, Roma, Carocci Editore 2022, pp. 302 [Letto da Dante MAFFIA]

 


Finora Cesare Pavese, tranne poche eccezioni, è stato letto e interpretato soprattutto per ciò che ha prodotto sugli altri, per gli effetti che le sue opere hanno avuto, indubbiamente di grande rilievo, nei giovani che lo hanno seguito. Monica Lanzillotta, Docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi della Calabria, affronta l’opera di Pavese nella sua estensione e nella sua profondità partendo da Dioniso, “che rappresenta l’infanzia, epoca che contiene i contrari, e Edipo, che rappresenta l’adultità, fase della vita in cui il destino è tracciato”. Così ci avvisa il risvolto di copertina del testo e le affermazioni non sono smentite dalla cura certosina con la quale i capitoli sono scanditi.

Pur essendo un saggio condotto e sviluppato con impegno scientifico si legge agevolmente e così si viene a confermare il magistero di uno scrittore capace di assorbire i nuovi fermenti in atto, perfino quelli lontani che arrivavano dagli Stati Uniti, e se  ne comprende la portata letteraria, umana e perfino politica, nel senso aristotelico della parola, forse perché Pavese “rispetto agli scrittori suoi contemporanei, sfugge a ogni collocazione nel territorio strettamente letterario del primo Novecento”.

Questo dato, subito evidenziato da Monica Lanzillotta, ci mette sulla strada giusta per poter entrare liberamente nell’arsenale ricchissimo dello scrittore che aveva assorbito esperienze d’ogni tipo, perché onnivoro e convinto che senza i fremiti e l’impatto con la realtà del quotidiano non trovano spazio neppure non dico le utopie ma neppure i progetti ideali per il riassesto di una realtà che in Italia fu tragica all’epoca in cui egli visse.

La Lanzillotta ha la pazienza di saper entrare anche negli angoli più nascosti della vita e delle opere di Pavese ed è per questo che finalmente abbiamo un ritratto a tutto tondo del personaggio, ma soprattutto abbiamo un giudizio adeguato delle opere.

Non viene trascurato niente e non vi sono giudizi generici magari mutuati da un entusiasmo preso in prestito dalle vicende politiche e da altri elementi riguardanti la persona. La Lanzillotta esamina le opere considerandole in tutti i loro aspetti in modo da far comprendere che siamo al cospetto di un gigante e infatti, nonostante che Pavese abbia scritto pagine impegnate (La letteratura dell’engagement, pag. 131), non cade mai nel “vizio” comiziale, ma crea, da grande scrittore, personaggi ed eventi che siano portatori di valori e di impegno, ma restando sempre nella narratività più fluida e ben congegnata che non sciupa il dettato.

Il suo magistero consiste soprattutto nell’aver saputo realizzare protagonisti   che hanno interpretato i valori ideali della politica senza diventare veicoli avulsi dalla quotidianità, restando sempre integralmente uomini.

Almeno un passo di questa importante opera che ha saputo sintetizzare il mare immenso pavesiano e farcelo comprendere nella sua intensità e nella sua dimensione planetaria:

 “Le opere di Pavese sono incentrate sul riemergere delle origini (“la prima volta”) superate e rimosse, che permettono di comprendere chi si é: le trame ruotano intorno all’indagine conoscitiva che porta progressivamente il personaggio a riconoscere il destino, la forza inconscia che lo risospinge in una sola direzione, verso le origini, per cui i miti sottostanti alle storie raccontate da Pavese sono quella di Dioniso, che rappresenta lo stato costitutivo dell’infanzia, il caos indifferenziato, il mostruoso perché nel dio convivono i contrari e i generi (è al tempo stesso dio,  uomo, donna, animale, pianta, ecc.),  e quello di Edipo celebrato da Sofocle, che scopre di essere diventato parricida e di avere sposato la madre Giocasta, come destino”.

Mi pare evidente che Monica Lanzillotta sia potuta arrivare a questa profondità di analisi avendo, come dire? vissuto le istanze e i sentimenti di molti dei protagonisti dei libri di Pavese in modo da poter cogliere, dall’interno, i fermenti e le accensioni ideali con convinzione e in armonia col proprio universo.

Pavese ha sempre avuto qualcosa di appiccicaticcio, ha sempre “preteso” che il suo lettore diventasse complice in tutte le sue azioni. Ne è prova lampante l’appendice curata da Flavio Poltronieri e Manlio Todeschini intitolata “Opere musicali ispirate a Cesare Pavese”. Ben quindici pagine tra riferimenti alla musica leggera e a quella classica.

Nessuno scrittore, mai, ha avuto tante adesioni.

Ma non si trascurino le pagine dedicate a “La nuova edizione di Lavorare stanca”, perché la poesia di Pavese è un capitolo ancora aperto sia per la sostanza poetica dell’opera e sia, forse soprattutto, per la svolta impressa a tutta la poesia, non solo italiana, che cincischiava su formule e formulette d’accatto.

Insomma, questo testo di Monica Lanzillotta è davvero importante, dire essenziale, per entrare nel mondo di uno dei maggiori narratori del Novecento e direi di uno dei maggiori poeti del Novecento.

“La volontà testamentaria di Pavese non viene però rispettata e la sua figura viene ‘smembrata’…tra pettegolezzi, curiosità morbose, mitizzazioni, stroncature. Uno sparagmòs, peraltro, che si addice ai grandi, e non certo ai mediocri, che si pratica su figure eretiche e martiriali, se non su divinità o semi-divinità’ (Gigliucci, 2001, p. 92).

Il viaggio nella vita e nelle opere di Pavese si chiude su questo passo, che restituisce lo scrittore al rito di rinascita di Dioniso, il dio a cui somiglia”.

 

Finora Cesare Pavese, tranne poche eccezioni, è stato letto e interpretato soprattutto per ciò che ha prodotto sugli altri, per gli effetti che le sue opere hanno avuto, indubbiamente di grande rilievo, nei giovani che lo hanno seguito. Monica Lanzillotta, Docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi della Calabria, affronta l’opera di Pavese nella sua estensione e nella sua profondità partendo da Dioniso, “che rappresenta l’infanzia, epoca che contiene i contrari, e Edipo, che rappresenta l’adultità, fase della vita in cui il destino è tracciato”. Così ci avvisa il risvolto di copertina del testo e le affermazioni non sono smentite dalla cura certosina con la quale i capitoli sono scanditi.

Pur essendo un saggio condotto e sviluppato con impegno scientifico si legge agevolmente e così si viene a confermare il magistero di uno scrittore capace di assorbire i nuovi fermenti in atto, perfino quelli lontani che arrivavano dagli Stati Uniti, e se  ne comprende la portata letteraria, umana e perfino politica, nel senso aristotelico della parola, forse perché Pavese “rispetto agli scrittori suoi contemporanei, sfugge a ogni collocazione nel territorio strettamente letterario del primo Novecento”.

Questo dato, subito evidenziato da Monica Lanzillotta, ci mette sulla strada giusta per poter entrare liberamente nell’arsenale ricchissimo dello scrittore che aveva assorbito esperienze d’ogni tipo, perché onnivoro e convinto che senza i fremiti e l’impatto con la realtà del quotidiano non trovano spazio neppure non dico le utopie ma neppure i progetti ideali per il riassesto di una realtà che in Italia fu tragica all’epoca in cui egli visse.

La Lanzillotta ha la pazienza di saper entrare anche negli angoli più nascosti della vita e delle opere di Pavese ed è per questo che finalmente abbiamo un ritratto a tutto tondo del personaggio, ma soprattutto abbiamo un giudizio adeguato delle opere.

Non viene trascurato niente e non vi sono giudizi generici magari mutuati da un entusiasmo preso in prestito dalle vicende politiche e da altri elementi riguardanti la persona. La Lanzillotta esamina le opere considerandole in tutti i loro aspetti in modo da far comprendere che siamo al cospetto di un gigante e infatti, nonostante che Pavese abbia scritto pagine impegnate (La letteratura dell’engagement, pag. 131), non cade mai nel “vizio” comiziale, ma crea, da grande scrittore, personaggi ed eventi che siano portatori di valori e di impegno, ma restando sempre nella narratività più fluida e ben congegnata che non sciupa il dettato.

Il suo magistero consiste soprattutto nell’aver saputo realizzare protagonisti   che hanno interpretato i valori ideali della politica senza diventare veicoli avulsi dalla quotidianità, restando sempre integralmente uomini.

Almeno un passo di questa importante opera che ha saputo sintetizzare il mare immenso pavesiano e farcelo comprendere nella sua intensità e nella sua dimensione planetaria:

 “Le opere di Pavese sono incentrate sul riemergere delle origini (“la prima volta”) superate e rimosse, che permettono di comprendere chi si é: le trame ruotano intorno all’indagine conoscitiva che porta progressivamente il personaggio a riconoscere il destino, la forza inconscia che lo risospinge in una sola direzione, verso le origini, per cui i miti sottostanti alle storie raccontate da Pavese sono quella di Dioniso, che rappresenta lo stato costitutivo dell’infanzia, il caos indifferenziato, il mostruoso perché nel dio convivono i contrari e i generi (è al tempo stesso dio,  uomo, donna, animale, pianta, ecc.),  e quello di Edipo celebrato da Sofocle, che scopre di essere diventato parricida e di avere sposato la madre Giocasta, come destino”.

Mi pare evidente che Monica Lanzillotta sia potuta arrivare a questa profondità di analisi avendo, come dire? vissuto le istanze e i sentimenti di molti dei protagonisti dei libri di Pavese in modo da poter cogliere, dall’interno, i fermenti e le accensioni ideali con convinzione e in armonia col proprio universo.

Pavese ha sempre avuto qualcosa di appiccicaticcio, ha sempre “preteso” che il suo lettore diventasse complice in tutte le sue azioni. Ne è prova lampante l’appendice curata da Flavio Poltronieri e Manlio Todeschini intitolata “Opere musicali ispirate a Cesare Pavese”. Ben quindici pagine tra riferimenti alla musica leggera e a quella classica.

Nessuno scrittore, mai, ha avuto tante adesioni.

Ma non si trascurino le pagine dedicate a “La nuova edizione di Lavorare stanca”, perché la poesia di Pavese è un capitolo ancora aperto sia per la sostanza poetica dell’opera e sia, forse soprattutto, per la svolta impressa a tutta la poesia, non solo italiana, che cincischiava su formule e formulette d’accatto.

Insomma, questo testo di Monica Lanzillotta è davvero importante, dire essenziale, per entrare nel mondo di uno dei maggiori narratori del Novecento e direi di uno dei maggiori poeti del Novecento.

“La volontà testamentaria di Pavese non viene però rispettata e la sua figura viene ‘smembrata’…tra pettegolezzi, curiosità morbose, mitizzazioni, stroncature. Uno sparagmòs, peraltro, che si addice ai grandi, e non certo ai mediocri, che si pratica su figure eretiche e martiriali, se non su divinità o semi-divinità’ (Gigliucci, 2001, p. 92).

Il viaggio nella vita e nelle opere di Pavese si chiude su questo passo, che restituisce lo scrittore al rito di rinascita di Dioniso, il dio a cui somiglia”.





lunedì 5 febbraio 2024

LUIGI TROCCOLI, Lettere dalla montagna in fiore, Castrovillari, Edizioni Prometeo, 2023 [LETTO DA DANTE MAFFIA]

LUIGI TROCCOLI, Lettere dalla montagna in fiore, Castrovillari, Edizioni Prometeo, 2023, pag. 184, euro 10.

Di Dante MAFFIA

Due annotazioni immediate.

La prima: questo è un libro che tradotto in giapponese diventerebbe un best seller in poche settimane.

La seconda: Jorge Luis Borges ha sempre sostenuto che è molto più difficile scrivere un racconto anziché un romanzo.

A leggere questi racconti, ognuno dei quali ha un fiato meraviglioso e di rara bellezza, do piena ragione allo scrittore argentino.

Altra annotazione da fare: i racconti hanno una loro fisionomia unica, ben realizzata, eppure, sottilmente, sono anche capitoli di un percorso che Luigi Troccoli ha compiuto con un fiato unico. Raro esempio di una coerenza stilistica e tematica ormai quasi dimenticata dai nuovi narratori che spesso e volentieri mettono a cuocere argomenti che tra di loro non hanno nessuna affinità.

Ancora. Si noti la ricchezza e la forbitezza del linguaggio e poi delle citazioni a dimostrazione di un interesse di Troccoli che non è soltanto d’amore per i luoghi, ma anche di cultura che illumina le ragioni del mondo vegetale, della montagna, nella sua estensione e nella sua bellezza.

Da Carlo Darwin a John Ruskin, da Mario Rigoni Stern a Tenore- Petagna – Terrone, da Johan Wolfgang Goethe a Marlen Haushofer, da Immanuel Kant a Francesco Petrarca, da Plinio a Ugo Foscolo, da Thomas Mann a Khalil Gibran, da Hermann Hesse a Lord Byron, da Jean Jacques Rousseau a Leonardo da Vinci, a Honoré de Balzac.

Un lungo elenco, lo so, ma necessario per far intendere come lo scrittore ha proceduto per rendere le pagine ricche di fiato naturale e di fiato culturale.

Ma andiamo ai racconti. Alla loro sostanza, alla loro bellezza, al loro modo di porsi.

Ovviamente, perché non risultasse un libro di meditazione  alla maniera orientale, lo scrittore ha inserito, durante le passeggiate di Scilla e di Giorgio, degli avvenimenti, il vecchio di Viggianello che cerca la genziana e che chiama Egiziana, la presenza della pittrice (che poi sarà Scilla) che si perde nel bosco e che poi torna magicamente, la storia di Donna Maria, storia che nei libri di Mastriani è frequente ma che Troccoli ha saputo inserire nel contesto sociale con una abilità narrativa che la rende unica, il bacio… che ha il fiato della grande pittura, il pastorello Ianagio, storia di violenza e di tragica risoluzione… e poi la storia del Pino che ha qualcosa di divino e di assoluto, il grido della ferriera, l’abbaglio dell’oro, addirittura il Mare Piccolo che Troccoli risolve con genialità senza argomentare sulla contraddizione se non con una frase, il grido che soltanto Scilla sente, l’albero dell’Amore… quella pagina sublime  in cui Giorgio e Scilla dialogano, a pag. 157:

“Che senti?” gli chiese Scilla, come al solito sempre prima nel tentare di prevenire una durata eccessiva dei silenzi, quasi che temesse l’insorgenza di un abulico, repentino e temuto distacco della sua attenzione verso di lei.

“E ti senti felice o incompleto?”

“Sono felice e incompleto. Felice perché non desidero niente di materiale che già non posseggo e niente di immateriale che vorrei raggiungere; incompleto, perché ti sento troppo distante, nonostante tu sia qui al mio fianco”.

“In questo momento -ella disse- mi sembra che noi e il mondo siamo senza peccati, come se il male non esistesse… Sto vivendo una condizione di purezza: tutto è puro su questo monte, attorno a noi e dentro di noi”.

Ho detto all’inizio che Troccoli ha percorso i vari racconti con un unico fiato e che addirittura potremmo configurare l’opera con il romanzo di Scilla e di Giorgio che ci mostrano la montagna in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue magie.

Ci sono descrizioni superbe, da prosa d’arte, che ci fanno sentire il palpito del paesaggio in tutti i risvolti, nei mutamenti sottili, nella frenesia dei colori e del silenzio, nel respiro divino che si apre e detta luce senza riserva.

Che dire? Il mio entusiasmo fa comprendere subito che si tratta di un vero capolavoro e di una guida sacra per chi volesse visitare il Pollino in tutte le sue diramazioni.

Troccoli non è nuovo a simili sorprese, ma con “Lettere dalla montagna in fiore” ha raggiunto un risultato davvero raro, un esito poetico convincente e così limpido da farmi pensare alla scrittura di Vincenzo Cardarelli.