Fatti, eventi, analisi nelle pagine di Mirco Dondi
Giovanni Pistoia
Mirco Dondi ha ricostruito la storia di alcune pagine importanti del Paese in un volume dal titolo “L’Italia repubblicana: dalle origini alla crisi degli anni Settanta” (archetipolibri, Bologna 2007).
L’autore prende in esame un periodo cruciale della storia più recente dell’Italia, in particolare quello che intercorre tra gli anni Quaranta e la fine degli anni Settanta. Anni nei quali, come è noto, il nostro Paese ha subito notevoli trasformazioni, molte delle quali ancora in atto.
Dondi, nel tratteggiare il profilo storico di quegli anni, inizia con l’affrontare le strategie che mettono in atto i partiti di massa, impegnati nel costruire un nuovo ordine democratico dopo la lunga parentesi fascista: è appena il caso di ricordare che proprio tra il 1943 e il 1978 l’Italia subisce cambiamenti che ne segneranno il futuro sviluppo e ne disegneranno il volto attuale.
Il centro non è più la campagna con quello che rappresentava in termini economici, culturali e di costume, l’epicentro si sposta nelle città, particolarmente in quelle dove, negli anni Sessanta, fiorirà il cosiddetto “miracolo economico”; lo svuotamento dei campi con i contadini che partono per diventare operai nelle grandi industrie del nord; l’impatto nella cultura del Paese della società dei consumi, con i suoi ritmi e i suoi miraggi.
Sul finire degli anni Sessanta prende corpo la grande contestazione, che culminerà nel famoso e ancora tanto dibattuto ’68. Dondi, dopo aver analizzato le cause di quel fenomeno che va sotto il nome di “autunno caldo”, punta il suo obiettivo su fenomeni acuti, quali le “trame nere”, il “biennio rosso”. Il terrorismo rosso costituisce, per l’autore, la seconda sfida alla democrazia italiana.
Dondi analizza, nei particolari, quello che chiama i costi del terrorismo con i suoi 14.591 atti di violenza di matrice politica che vengono registrati dal primo gennaio 1969 e il 31 dicembre 1987. Ondate di violenze, che non solo non costituiscono la premessa per nessuna rivoluzione o prospettive di miglioramento della società italiana ma sono i presupposti (anche se non sono i soli) che provocano un rifiuto della politica, un rinchiudersi nel privato. Non solo: muta, scrive Dondi, anche il rapporto con la violenza e con i miti rivoluzionari. “Lo strumento della violenza spacca la generazione degli anni Settanta, ma conduce le generazioni immediatamente seguenti a un netto rifiuto di questa politica”.
È proprio con le riflessioni su questa ondata di stragi e di delitti e, in particolare, dell’omicidio di Aldo Moro e la conseguente scelta unitaria delle forze politiche, concretizzatasi nella “solidarietà nazionale”, che si conclude questa parte: appena centosei pagine, che si leggono con grande facilità.
Il libro non finisce qui. Vi è una seconda parte ben documentata, atti provenienti da una molteplicità di fonti. È possibile, per esempio, leggere un documento conservato all’Archivio Centrale dello Stato sul numero dei morti fascisti dopo la liberazione e datato 4 novembre 1946, oppure quello su come si istruiscono gli agenti americani per condizionare la vita politica italiana. Si può riflettere su altre carte, che ci illuminano sui rapporti tra il Vaticano e la DC, oppure sul ruolo del PCI secondo alcuni documenti provenienti dagli archivi sovietici, e così via.
“Ogni fonte, scrive lo storico Dondi, ha la sua insidia e i suoi elementi celati”. Insidie che Dondi cerca di svelare facendo seguire al testo una breve chiave di lettura dello stesso: una guida, insomma, che nulla toglie al documento: l’intento, se mai, è quello, appunto, di renderlo più leggibile, collocandolo nel contesto storico, e non sostituendosi al esso.
Va detto, a questo punto, come il cartaceo –il libro stampato in questo caso- si coniuga con lo spazio virtuale. Per scelta, credo, dell’editore e dell’autore, vengono messi in internet, a disposizione del lettore e di chi naviga in rete, altri documenti, che si aggiungono a quelli presenti sul libro. Cliccando sul sito www.archetipolibri.it/dondi.htm è possibile visionare e scaricare altre pagine importanti della nostra storia, tutti in PDF. Si tratta di un centinaio di pagine con scritti di Simona Colarizi sulla scissione del PSIUP, di Pietro Scoppola “L’incomprensione italiana della svolta gollista”, di Raffaele Romanelli “L’attuazione delle regioni a statuto ordinario”, di Rosario Minna, “Terrorismo di destra” e di Nando Dalla Chiesa “Terrorismo di sinistra”, nonché di Silvio Lanaro “Milano e Torino”. Tra i documenti presenti è interessante e originale un’intervista (la fonte utilizzata, in questo caso, è quella “orale”) realizzata da Mirco Dondi a due militanti comunisti. Si propone, in questo caso, il brano di un’intervista che Dondi effettua a due militanti del Partito comunista italiano della zona bolognese di Molinella “per fotografare, nel momento della fine del PCI, la memoria dei suoi militanti”. È una delle tante interviste –una trentina- effettuata da Dondi in occasione dello scioglimento del PCI. Non è il caso di soffermarmi su questo documento, lo trovo assai significativo per comprendere lo stato d’animo di tanti militanti, sulle speranze e sugli errori maturati dall’esperienza comunista, sul perché il partito comunista italiano ebbe tanti suffragi e sul ruolo di questa forza politica nel contribuire a “costruire” il senso della cittadinanza e dello Stato.
Non è ancora tutto: completa il volume una terza parte, dedicata alla produzione storiografica legata alla storia dell’Italia repubblicana. Dopo un’ampia e istruttiva analisi di Dondi, che sviluppa il suo ragionamento partendo dalla prima sintesi di rilievo, quella di Paul Ginsborg, “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi”, è possibile, quindi, ragionare su testi di Claudio Pavone, Cesare Bermani, Massimo Legnani, Mariuccia Salvati, Paolo Pombeni, Simona Colarizi, Marcello Flores, Nicola Gallerano, Piero Ignazi, Claudia Petraccone, Guido Crainz, Silvio Lanaro, Pietro Scoppola, Angelo Panebianco, Guido Melis, Yannis Voulgaris, Paul Ginsborg, Carlo Tullio-Altan, Salvatore Lupo.
Quello che ho chiamato impropriamente parti, costituiscono, in effetti, l’insieme del lavoro, dal momento che il ricco repertorio documentale e l’antologia che segue sono componenti integranti dei fatti, degli eventi e delle analisi di Dondi. Un criterio, questo adottato dall’autore (e credo d’intesa con l’editore), che offre la possibilità a chi si avvicina al testo non solo di conoscere il pensiero dell’autore del manuale –il quale, va detto, si esprime soprattutto nel racconto e nella selezione ragionata degli eventi- ma di valutare autonomamente, e senza filtri, i testi a firma di storici e intellettuali di diversi orientamenti culturali, oltre che avere la fortuna di avere tra le mani tantissimi documenti non facilmente reperibili. E quando uno storico offre materiale di primo mano o, comunque, non facilmente disponibile, a prescindere dalle analisi sue proprie, compie un atto di fiducia e di rispetto verso i lettori, e questa semplice ma significativa scelta effettuata, è già di per se un’opera altamente meritoria.
Trecento pagine in tutto: un manuale di storia per studiosi e studenti, certo, ma accessibilissimo, comunque, a chi abbia voglia di tuffarsi nell’atmosfera di una Italia povera e umiliata dalla dittatura, ridotta a brandelli dalla guerra e dagli atti violenti successivi.
Credo che proprio per agevolare il compito di chiunque si avvicini al libro, nella parte centrale del volume viene proposta un’ampia cronologia (eventi politici, economia, cronaca), che accompagna il lettore lungo un arco di storia che va dal 25 aprile 1945, l’insurrezione di Milano, Genova e Torino, al 16 ottobre del 1978, giorno in cui diventa papa il vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. La sezione “economia” della cronologia va dal giugno 1944, che segna l’accordo per la ricostituzione di un sindacato unitario, e fino al gennaio-febbraio 1978: si cita l’intervista, che tante discussioni animò, che Luciano Lama rilasciò a Repubblica nella quale dichiarava che le aziende hanno il diritto di licenziare se l’azienda è in crisi e le decisioni della CGIL-CISL e UIL, che va sotto il nome di “Linea dell’Eur”, per favorire il rilancio degli investimenti e l’occupazione. L’ampia cronologia dà spazio agli avvenimenti più significativi, che hanno caratterizzato il periodo 1945-1978 nel campo della cultura, dello spettacolo, della musica, nonché dei principali accadimenti europei e mondiali. (Sul sito citato la cronologia è molto più analitica).
L’esposizione delle vicende è asciutta, rigorosa, proprio di chi è abituato a raccontare fatti, eventi, senza bardature e cedimenti ideologici e senza, però, che le idee vengano sacrificate: e tutto con lo stile del narratore, per cui la fredda cronaca diventa storia e la storia coinvolgente.
In fondo, si tratta della nostra storia, quella di ieri, di oggi, che condiziona gli anni che viviamo e che ipotizza il domani già iniziato. Pagine, quelle raccontate da Dondi, che aiutano a capire un passato, sia pure molto recente, a far emergere processi, a decodificare eventi. Scritti, soprattutto, indispensabili per capire l’Italia di oggi e, forse, per costruire un Paese migliore, meno depresso, più volitivo, più dinamico, più aperto al nuovo che ai rimpianti per i treni persi o per l’individuazione di responsabilità, spesso, cercate, non per isolare errori da non commettere più ma semplicemente per insistere nel pantano nel quale siamo caduti e non riusciamo, o non vogliamo, tirarci su.
Forse anche appuntamenti come questi possono aiutarci a ritrovare il filo dei nostri anni, anche e soprattutto per le realtà meridionali, perché con quel filo ritrovato tessere il futuro. Quel futuro che ci fa sempre più paura, proprio nel momento in cui, invece, credo, bisogna recuperare il senso di obiettivi alti da perseguire con tenacia e anche con una buona dose di utopia. Proprio a partire dalle realtà a noi più vicine.
In fondo queste pagine ci dicono che proprio nei momenti bui, il Paese ha saputo trovare la forza per il cambiamento: così dopo la guerra nazi-fascista e le sanguinose violenze successive, così dopo gli anni cupi dei terrorismi. Tanti motivi ben combinati hanno permesso di ricostruire le macerie. Forse uno è stato il collante: la speranza.
Cerchiamo, oggi, di intravedere il nostro domani attraverso la quantità e la qualità dei beni materiali che abbiamo o non abbiamo. Il futuro ci appare incerto, nero, perché abbiamo come punto di riferimento la materialità dei beni. E, invece, credo che bisogna cercare di far venire fuori quei doni invisibili, immateriali, impalpabili come la fiducia, la volontà, la speranza, che sono in ciascuno di noi, in ogni piccola o grande comunità.
Foto: Mirco Dondi e Giovanni Pistoia
(28 dicembre 2007)
Giovanni Pistoia
Mirco Dondi ha ricostruito la storia di alcune pagine importanti del Paese in un volume dal titolo “L’Italia repubblicana: dalle origini alla crisi degli anni Settanta” (archetipolibri, Bologna 2007).
L’autore prende in esame un periodo cruciale della storia più recente dell’Italia, in particolare quello che intercorre tra gli anni Quaranta e la fine degli anni Settanta. Anni nei quali, come è noto, il nostro Paese ha subito notevoli trasformazioni, molte delle quali ancora in atto.
Dondi, nel tratteggiare il profilo storico di quegli anni, inizia con l’affrontare le strategie che mettono in atto i partiti di massa, impegnati nel costruire un nuovo ordine democratico dopo la lunga parentesi fascista: è appena il caso di ricordare che proprio tra il 1943 e il 1978 l’Italia subisce cambiamenti che ne segneranno il futuro sviluppo e ne disegneranno il volto attuale.
Il centro non è più la campagna con quello che rappresentava in termini economici, culturali e di costume, l’epicentro si sposta nelle città, particolarmente in quelle dove, negli anni Sessanta, fiorirà il cosiddetto “miracolo economico”; lo svuotamento dei campi con i contadini che partono per diventare operai nelle grandi industrie del nord; l’impatto nella cultura del Paese della società dei consumi, con i suoi ritmi e i suoi miraggi.
Sul finire degli anni Sessanta prende corpo la grande contestazione, che culminerà nel famoso e ancora tanto dibattuto ’68. Dondi, dopo aver analizzato le cause di quel fenomeno che va sotto il nome di “autunno caldo”, punta il suo obiettivo su fenomeni acuti, quali le “trame nere”, il “biennio rosso”. Il terrorismo rosso costituisce, per l’autore, la seconda sfida alla democrazia italiana.
Dondi analizza, nei particolari, quello che chiama i costi del terrorismo con i suoi 14.591 atti di violenza di matrice politica che vengono registrati dal primo gennaio 1969 e il 31 dicembre 1987. Ondate di violenze, che non solo non costituiscono la premessa per nessuna rivoluzione o prospettive di miglioramento della società italiana ma sono i presupposti (anche se non sono i soli) che provocano un rifiuto della politica, un rinchiudersi nel privato. Non solo: muta, scrive Dondi, anche il rapporto con la violenza e con i miti rivoluzionari. “Lo strumento della violenza spacca la generazione degli anni Settanta, ma conduce le generazioni immediatamente seguenti a un netto rifiuto di questa politica”.
È proprio con le riflessioni su questa ondata di stragi e di delitti e, in particolare, dell’omicidio di Aldo Moro e la conseguente scelta unitaria delle forze politiche, concretizzatasi nella “solidarietà nazionale”, che si conclude questa parte: appena centosei pagine, che si leggono con grande facilità.
Il libro non finisce qui. Vi è una seconda parte ben documentata, atti provenienti da una molteplicità di fonti. È possibile, per esempio, leggere un documento conservato all’Archivio Centrale dello Stato sul numero dei morti fascisti dopo la liberazione e datato 4 novembre 1946, oppure quello su come si istruiscono gli agenti americani per condizionare la vita politica italiana. Si può riflettere su altre carte, che ci illuminano sui rapporti tra il Vaticano e la DC, oppure sul ruolo del PCI secondo alcuni documenti provenienti dagli archivi sovietici, e così via.
“Ogni fonte, scrive lo storico Dondi, ha la sua insidia e i suoi elementi celati”. Insidie che Dondi cerca di svelare facendo seguire al testo una breve chiave di lettura dello stesso: una guida, insomma, che nulla toglie al documento: l’intento, se mai, è quello, appunto, di renderlo più leggibile, collocandolo nel contesto storico, e non sostituendosi al esso.
Va detto, a questo punto, come il cartaceo –il libro stampato in questo caso- si coniuga con lo spazio virtuale. Per scelta, credo, dell’editore e dell’autore, vengono messi in internet, a disposizione del lettore e di chi naviga in rete, altri documenti, che si aggiungono a quelli presenti sul libro. Cliccando sul sito www.archetipolibri.it/dondi.htm è possibile visionare e scaricare altre pagine importanti della nostra storia, tutti in PDF. Si tratta di un centinaio di pagine con scritti di Simona Colarizi sulla scissione del PSIUP, di Pietro Scoppola “L’incomprensione italiana della svolta gollista”, di Raffaele Romanelli “L’attuazione delle regioni a statuto ordinario”, di Rosario Minna, “Terrorismo di destra” e di Nando Dalla Chiesa “Terrorismo di sinistra”, nonché di Silvio Lanaro “Milano e Torino”. Tra i documenti presenti è interessante e originale un’intervista (la fonte utilizzata, in questo caso, è quella “orale”) realizzata da Mirco Dondi a due militanti comunisti. Si propone, in questo caso, il brano di un’intervista che Dondi effettua a due militanti del Partito comunista italiano della zona bolognese di Molinella “per fotografare, nel momento della fine del PCI, la memoria dei suoi militanti”. È una delle tante interviste –una trentina- effettuata da Dondi in occasione dello scioglimento del PCI. Non è il caso di soffermarmi su questo documento, lo trovo assai significativo per comprendere lo stato d’animo di tanti militanti, sulle speranze e sugli errori maturati dall’esperienza comunista, sul perché il partito comunista italiano ebbe tanti suffragi e sul ruolo di questa forza politica nel contribuire a “costruire” il senso della cittadinanza e dello Stato.
Non è ancora tutto: completa il volume una terza parte, dedicata alla produzione storiografica legata alla storia dell’Italia repubblicana. Dopo un’ampia e istruttiva analisi di Dondi, che sviluppa il suo ragionamento partendo dalla prima sintesi di rilievo, quella di Paul Ginsborg, “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi”, è possibile, quindi, ragionare su testi di Claudio Pavone, Cesare Bermani, Massimo Legnani, Mariuccia Salvati, Paolo Pombeni, Simona Colarizi, Marcello Flores, Nicola Gallerano, Piero Ignazi, Claudia Petraccone, Guido Crainz, Silvio Lanaro, Pietro Scoppola, Angelo Panebianco, Guido Melis, Yannis Voulgaris, Paul Ginsborg, Carlo Tullio-Altan, Salvatore Lupo.
Quello che ho chiamato impropriamente parti, costituiscono, in effetti, l’insieme del lavoro, dal momento che il ricco repertorio documentale e l’antologia che segue sono componenti integranti dei fatti, degli eventi e delle analisi di Dondi. Un criterio, questo adottato dall’autore (e credo d’intesa con l’editore), che offre la possibilità a chi si avvicina al testo non solo di conoscere il pensiero dell’autore del manuale –il quale, va detto, si esprime soprattutto nel racconto e nella selezione ragionata degli eventi- ma di valutare autonomamente, e senza filtri, i testi a firma di storici e intellettuali di diversi orientamenti culturali, oltre che avere la fortuna di avere tra le mani tantissimi documenti non facilmente reperibili. E quando uno storico offre materiale di primo mano o, comunque, non facilmente disponibile, a prescindere dalle analisi sue proprie, compie un atto di fiducia e di rispetto verso i lettori, e questa semplice ma significativa scelta effettuata, è già di per se un’opera altamente meritoria.
Trecento pagine in tutto: un manuale di storia per studiosi e studenti, certo, ma accessibilissimo, comunque, a chi abbia voglia di tuffarsi nell’atmosfera di una Italia povera e umiliata dalla dittatura, ridotta a brandelli dalla guerra e dagli atti violenti successivi.
Credo che proprio per agevolare il compito di chiunque si avvicini al libro, nella parte centrale del volume viene proposta un’ampia cronologia (eventi politici, economia, cronaca), che accompagna il lettore lungo un arco di storia che va dal 25 aprile 1945, l’insurrezione di Milano, Genova e Torino, al 16 ottobre del 1978, giorno in cui diventa papa il vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. La sezione “economia” della cronologia va dal giugno 1944, che segna l’accordo per la ricostituzione di un sindacato unitario, e fino al gennaio-febbraio 1978: si cita l’intervista, che tante discussioni animò, che Luciano Lama rilasciò a Repubblica nella quale dichiarava che le aziende hanno il diritto di licenziare se l’azienda è in crisi e le decisioni della CGIL-CISL e UIL, che va sotto il nome di “Linea dell’Eur”, per favorire il rilancio degli investimenti e l’occupazione. L’ampia cronologia dà spazio agli avvenimenti più significativi, che hanno caratterizzato il periodo 1945-1978 nel campo della cultura, dello spettacolo, della musica, nonché dei principali accadimenti europei e mondiali. (Sul sito citato la cronologia è molto più analitica).
L’esposizione delle vicende è asciutta, rigorosa, proprio di chi è abituato a raccontare fatti, eventi, senza bardature e cedimenti ideologici e senza, però, che le idee vengano sacrificate: e tutto con lo stile del narratore, per cui la fredda cronaca diventa storia e la storia coinvolgente.
In fondo, si tratta della nostra storia, quella di ieri, di oggi, che condiziona gli anni che viviamo e che ipotizza il domani già iniziato. Pagine, quelle raccontate da Dondi, che aiutano a capire un passato, sia pure molto recente, a far emergere processi, a decodificare eventi. Scritti, soprattutto, indispensabili per capire l’Italia di oggi e, forse, per costruire un Paese migliore, meno depresso, più volitivo, più dinamico, più aperto al nuovo che ai rimpianti per i treni persi o per l’individuazione di responsabilità, spesso, cercate, non per isolare errori da non commettere più ma semplicemente per insistere nel pantano nel quale siamo caduti e non riusciamo, o non vogliamo, tirarci su.
Forse anche appuntamenti come questi possono aiutarci a ritrovare il filo dei nostri anni, anche e soprattutto per le realtà meridionali, perché con quel filo ritrovato tessere il futuro. Quel futuro che ci fa sempre più paura, proprio nel momento in cui, invece, credo, bisogna recuperare il senso di obiettivi alti da perseguire con tenacia e anche con una buona dose di utopia. Proprio a partire dalle realtà a noi più vicine.
In fondo queste pagine ci dicono che proprio nei momenti bui, il Paese ha saputo trovare la forza per il cambiamento: così dopo la guerra nazi-fascista e le sanguinose violenze successive, così dopo gli anni cupi dei terrorismi. Tanti motivi ben combinati hanno permesso di ricostruire le macerie. Forse uno è stato il collante: la speranza.
Cerchiamo, oggi, di intravedere il nostro domani attraverso la quantità e la qualità dei beni materiali che abbiamo o non abbiamo. Il futuro ci appare incerto, nero, perché abbiamo come punto di riferimento la materialità dei beni. E, invece, credo che bisogna cercare di far venire fuori quei doni invisibili, immateriali, impalpabili come la fiducia, la volontà, la speranza, che sono in ciascuno di noi, in ogni piccola o grande comunità.
Foto: Mirco Dondi e Giovanni Pistoia
(28 dicembre 2007)