LA FORZA DEI CAMPI
Intervista senza rete di JOLE CHESSA OLIVARES ad ANNA
MANNA per la pubblicazione del libro “Umili parole e grandi sogni – Cinque poesie
per tre pontefici” – Nemapress 2013
Non
sono un'abitudine le interviste nel mio percorso artistico, anzi forse questa è
la prima. Ma è nata da un lungo colloquio telefonico tra me e la poetessa Anna
Manna in un momento storico particolarissimo: l'annuncio delle dimissioni di
Benedetto XVI. Abbiamo cominciato con quella telefonata, densa, spontanea,
confusa e indimenticabile. Quando ci siamo scoperte a vicenda ed a vicenda ci
siamo comprese oltre ogni stereotipo.
Dopo
la pubblicazione del suo libro mignon dedicato ai tre pontefici, Anna mi ha
cercata, ha voluto riprendere quel discorso, ampliarlo.
Così
è nata l'intervista e lei dice che soltanto con me poteva avere questo scambio,
questo incontro, questo dialogo a margine del suo piccolissimo ed importante
libro.
Come sono nate queste poesie così particolari: le poesie per i tre
Pontefici! Sono il frutto di una ispirazione immediata ed attuale oppure sono
nate negli anni ed ora hai deciso di pubblicarle?
Non
avrei mai potuto scrivere nello stesso periodo queste cinque poesie, sono molto
diverse, fotografano stati d'animo talmente diversi... e talmente diverso è lo
stile che poterebbero idealmente rappresentare una mia evoluzione poetica.
Sono
poesie nate negli anni, così sporadicamente come confusamente nel mio cuore si
affacciava l'emozione, l'istanza poetica.
Mai
avrei immaginato di pubblicare un libro, anche se mignon, con le poesie per tre
pontefici.
Sono
veramente il frutto di una mia totale sincerità poetica.
Le
scrivevo per me, le consideravo poesie da tenere nel cassetto per ricordare
stagioni importanti della mia anima. Non erano destinate ad un lettore, forse
per questo non ho adoperato nessuna astuzia, nessun artificio seduttivo,
soltanto quello che sentivo, che affiorava dentro di me durante eventi
importanti per la sfera religiosa della mia anima.
Ora una domanda forse troppo intima, se non te la senti non rispondere. Il
silenzio mi dirà già molte cose.
Sono poesie nate da una fede certa? Sei credente?
Ho
ricevuto una educazione fortemente cattolica: sono stata a scuola dalle suore,
nelle prime classi, a Matera, e comunque mio padre, essendo uno scrittore
cattolico, ha impostato tutta la sua educazione culturale ed umana su basi
religiose e cattoliche.
Poi
negli anni ho frequentato ambienti che si ponevano come forze di contestazione.
Sono stata matricola a Lettere negli anni bollenti del '68... anche se non ho
partecipato in prima persona a quegli eventi - rifuggo da un'immersione nella
corrente, qualunque essa sia - comunque ho bevuto idee e messaggi della
contestazione.
Nel
mio primo libro di poesie, pubblicato da Kappa nel lontano 1996, il critico Vittoriano Esposito scrisse, nella
bellissima introduzione di cui mi ha onorato, che la mia poesia poteva
rappresentare il percorso di una intera generazione, testimonianza viva del
cammino di un'anima a contatto con tutte le problematiche e le inquietudini di
quegli anni. Il libro s'intitolava "La madonnella al porto", è
dedicato alla Madonnella del porto di Gaeta, mia città natale. C'è già nel
titolo la metafora di una divinità che scende tra gli umani, la madonnella che
scende nel mondo difficile dei naviganti, appunto al porto. Così nasce e si
sviluppa la mia fede, al capezzale dei miei cari quando sono stati malati, nei
momenti difficili da superare, a contatto con il dolore e le asprezze della
vita. Ha l'odore delle pecore come ha detto magistralmente Papa Francesco. Penso che questo Papa,
che lo Spirito Santo ci ha donato, sia il vero innovatore del linguaggio e
della comunicazione dell'era moderna. Se non fosse riduttivo, si dovrebbe
proporre di dare il Nobel della letteratura al Papa, grandissimo poeta nel
linguaggio vivo, eterno e quotidiano nello stesso tempo, spirituale e carnale
nello stesso istante della sintesi sublime. Una magnifica rivoluzione del
linguaggio!!!
Per
tornare al ricordo della mia giovinezza, comunque c'era in me un forte spirito
critico e ribelle ad una accettazione supina e passiva di qualsiasi dottrina.
Insomma non ero parrocchiana verso nessuna parrocchia. Una fede dunque che non
è nata dall'abitudine, dalla vicinanza costante e rassicurante della messa
domenicale. A poco a poco ho scoperto che fuori di me esisteva dell'altro. che
il mondo non poteva esaurirsi in me e nella mia visuale. Questo l'ho sempre
pensato, poi col passare degli anni ed affrontando le prove che la vita mi ha
riservato, ho scoperto, nonostante me, una vocazione sacra nelle mie
attitudini. Cioè tutto aveva un valore, niente era per divertimento o egoismo.
Così
anche scrivere aveva una sua sacralità. Poi la vita mia ha travolta nei suoi
impegni più pressanti ed ho dimenticato la poesia e forse anche le inquietudini
religiose. Anche se ho seguito in fondo ogni prassi: sposata in chiesa,
battesimo al mio bambino, fiducia nel matrimonio ecc. La dedizione alla famiglia
è un fatto tutto mio o deriva dalla educazione di donna meridionale ? Non direi
la prima ipotesi, sono io che sono appassionata in tutto quello che faccio e
dunque anche nella famiglia ho messo cuore e passione.
La
fede? E' una cosa seria che scopri quando sei vicina alla tua morte o alla
morte dei tuoi cari.
Quando
è morto mio padre, quando io sono stata in pericolo (sono caduta in malo modo
nella doccia ed ho rischiato di spezzarmi la schiena) allora ho intuito,
scoperto, intravisto una presenza al di fuori di me, forte, solida, resistente.
Ho
intuito una vita oltre questa. Ho sentito con una profondità incredibile l'altrove.
Una
fede dunque nonostante gli studi fatti negli anni delle rivolte, nonostante
l'educazione ricevuta nelle certezze.
Ho
una fede che mi tiene compagnia nelle mie fibre più vere.
E'
una certezza direi...anche se può sembrare strana questa affermazione. Ma sento
che non finiamo con la dimensione terrena, sento in me forze e fusioni,
intuizioni e proiezioni, che vanno oltre il quotidiano. Sono credente perché
non posso negare quello che sento in modo imperioso dentro di me. La forza di
un amore che supera le barriere dell'umano sentire. Un rispetto per l'esistenza
che somiglia ad una sacralità senza paramenti sacri e gerarchie ma forse più
forte di queste cose.
Queste poesie come le proponi al pubblico come un invito alla preghiera?
Come un invito alla poesia religiosa?
Oppure sono una confessione quasi a te stessa?
Sicuramente
sono una confessione a me stessa. Le ho scritte per me. Sono venute così come
le propongo, non sono né orgogliosa, né timida, né restia a mostrarle, né
pronta a vantarmene.
Sono
come un canto dentro il cuore, domande, tristezze reali. Tentennamenti ed in
certezze, il famoso dialogo con noi stessi, il famoso mondo interiore di cui
troppo spesso ci dimentichiamo. Se tutto questo può giovare anche agli altri io
volentieri dono agli altri questa mia esperienza come preghiera, come cammino
poetico che si inchina al fatto religioso, senza riuscire a spiegarlo, senza
riuscire a comprenderlo.
Sono
poesie religiose ma molto umane, somigliano appunto alle domande ed alle
speranze di un cuore semplice, forse anche un pochino infantile. Un cuore
giovane, senza riserve, un palpito sincero, un passo all'improvviso diverso dai
passi quotidiani.
Che posto occupa la fase religiosa nella tua vita?
Oggi
occupa un posto importantissimo: diciamo che la fede, questa mia stramba fede,
mi prende per mano ogni giorno e guida i miei passi.
Ed
io mi fido di lei, a lei mi abbandono. E' più forte del ragionamento, più forte
della letteratura, che sono ben poca cosa rispetto a questa forza che non
saprei definire. Che mi è madre e padre, sorella ed amica, guida e maestra.
E'
un incontro solido, senza tentennamenti.
Mi
sento come un soldato d'amore dalla vittoria continua come scriveva Quasimodo."L'uomo non muore / è un
soldato d'amore dalla vittoria continua".
L'uomo
non dovrebbe mai morire dentro. Oggi ci sono troppi cadaveri in giro e non mi
riferisco soltanto ai poveri morti che ci fanno rabbrividire nelle nostre
coscienze di occidentali davanti al naufragio di tante vite a Lampedusa. Ci
sono cadaveri che fanno ancora più paura: i cadaveri dell'indifferenza,
dell'egoismo, della sopraffazione.
Non
hanno un cimitero dove trovare pace.Vagano come bombe innescate nel mondo della
crudeltà
Qual è il concetto che ti ha più colpita nel linguaggio religioso, nel
bagaglio anche culturale che la religione ti propone?
Non
è facile rispondere a questa domanda capace di mettere a fuoco l'anima
dell'intervistato!
Ma
credo che già accettare un'intervista da una poetessa così profonda e
penetrante come Iole Chessa Olivares sia prova della disponibilità a farsi
mettere a nudo. La mia scelta indicherà certamente di quale trama è la
bandiera, di quale tessuto è il sudario, quale aspetto della fede e della
storia della religione mi richiamano a maggiore attenzione. Per questo sarò
sincera e ti racconterò veramente quale mistero mi affascina, quale frase mi accompagna
ogni giorno e quale aspetto della fede mi consegna alla sfera religiosa. Certamente
sono più attratta dal mistero pasquale piuttosto che dal Natale.anche perché il
Natale è spesso offuscato dal peso delle rose! Cioè l'aspetto mondano dei
regali, della festa ha offuscato il senso più profondo. E comunque è la Pasqua
che veramente rende importante e sacro tutto il resto. Dunque la primavera
pasquale, l'avvento di una stagione risorta, il rinnovarsi del mondo alla luce
della rivelazione mi sostengono nel cammino. E di questo fermento primaverile
del mondo c'è una scena che mi è rimasta nel cuore sin da quando ero ragazza.
La Maddalena si reca al Sepolcro e vede Cristo risorto. E' la prima che lo
vede. Non capisce neppure cosa sia avvenuto. Lo vede e l'occhio della donna
crede subito in un evento positivo. Non immagina che sia un miraggio o una
visione.Vuole toccarlo e si avvicina per toccare la persona, la realtà. Ma
allora dal labro del Risorto viene formulata la frase più bella che sia stata
detta in tutti i tempi del mondo: "Noli me tangere".
Spesso
questa frase è stata tradotta "Non mi toccare!" come una
distanza posta tra il divino e l'umano, come un addio deciso ed un ordine
preciso che ponga la differenza tra chi ancora è in terra e chi ormai non appartiene
più alla terra. Ho approfondito questo aspetto e sono rimasta totalmente
affascinata da altri più ampi significati: noli me tangere, non toccare me, nel
senso di non trattenermi nell'umano, non tentarmi con il ricordo dell'umano,
non impedire con il laccio dei ricordi umani la mia missione che ormai non è
più di questa terra. E' una frase di una dolcezza infinita, una risposta di una
gentilezza sublime, una comprensione del dolore di chi è rimasto, un sostegno a
chi rimane dopo il distacco, dopo la tragedia e nello stesso tempo un
riconoscere l'infinita bellezza dell'esistenza capace addirittura di trattenere,
anche se per un attimo, il cammino verso il ritorno ai cieli. Io sono incantata
da questo dialogo estremo, in un momento estremo. Una sintesi repentina,
immediata eppure di una melodia e di un rigore insieme che mi lasciano
tramortita. Ammiro tutti i quadri che la dipingono, come tutti gli studi che
sono nati attorno a questo attimo estremo sono per me fonte di ammirazione e
stupore. Questa linea di confine tra la realtà e l'altrove, tra l'umano ed il
divino, tra il miraggio e la realtà, tra la visione e la veggenza, ebbene tutto
questo mi ricorda proprio la POESIA.
Dentro
di me ho sempre pensato che la poesia abita questo momento estremo. Tanto è
vero che mi è cara la frase: "Forse la poesia è l'eternità che si è
innamorata della vita ed è rimasta imbrigliata nei giorni!".
E la
poesia può attardarsi, non deve ascendere i cieli come il Figlio di Dio, può
avere rimpianti e tentennamenti, può perdere tempo a cullarsi negli avvolgenti
ricordi della vita. Questa pausa, questo ritardo, questo tempo rubato,
dilatato, questa vita rinnovata, ha qualcosa di divino anche se, inevitabilmente,
ne perde il rigore . Perché la Poesia, il momento poetico, sembra dire "Eccomi
trattienimi pure, appartengo a questo mondo".
La
poesia è un abbraccio concesso, un'attardarsi sul ciglio dell'eterno, un
sospiro, una piuma, una rivelazione che nulla dice del regno dei cieli ma li
presuppone. E' il momento del riconoscimento, dell'abbandono totale, della
gioia per il ritrovarsi e la tristezza infinita di un nuovo addio. Appartiene
al regno dell'immutabile anche se ad ogni verso la Poesia si rinnova, muta e
prende nuova vita
Pensi che la religione sia un bagaglio di certezze o uno sprone al dialogo
con il dubbio?
Sicuramente
il dialogo è la forma più sicura di certezza perché appunto chiarisce. La
religione è un lungo cammino, un velo che cade dagli occhi, un'aprirsi alla
dolcezza ed alla comprensione. Non può essere, non serve che sia, un insieme di
dogmi, una compilazione di precetti.
La
religione non è un bagaglio è quella forza che ti solleva il bagaglio dalle
spalle e lo fa diventare zappa per aprire la terra alla fecondazione del
futuro.
Quando hai scritto la prima poesia per Giovanni Paolo II pensavi di aprire
un filone nella tua poetica?
No
assolutamente no, odio le etichette e quindi quando scrivo non metto mai
l'etichetta sopra.
Scrivo,
poi dopo mi rendo conto di cosa ho scritto e quale potrà essere il posto di
quella mia testimonianza.
A parte queste poesie dichiaratamente rivolte ad una dimensione religiosa
c'è nella tua poesia una dimensione
religiosa o sono due aspetti di te (la poesia sacra e profana)
completamente separati, quasi in contrasto?
Nessun
contrasto. Tutta la mia poesia ha qualcosa di sacro. Ma nel senso ampio del
termine. Il grande poeta Elio Fiore lo
scrisse nell'introduzione al mio libro di poesie d'amore "Le rosse
pergamene" edito da Pagine nel 2001.
Dunque
anche nell'amore profano c’è una tensione all'eternità dell'evento. Non che io
creda scioccamente nelle storielle del cuore ed una stanza, dell’amore eterno
ecc. Ma la tensione c'è, che è cosa diversa dall'illusione o dalla speranza. E'
una forza sotterranea che solleva le emozioni più profane verso una dimensione
più alta. Una freccia sempre tesa all'infinito. Anche il desiderio può essere
sublimato e diventare fuoco sacro ed eterno.
Anche
il vissuto, può diventare scrigno di ricordi ed emozioni per sempre. Chi mi
dice che conosce la noia, chi mi descrive sentimenti e storie che si
disintegrano praticamente mi descrive lo scarso impegno che mette nel vivere le
sue storie. La noia non è nella situazione è in noi. Nella nostra incapacità di
guardare più a fondo. Poi certamente bisogna fare i conti con le cose della
vita, con le circostanze ecc. Ma, almeno, sentire la tensione verso il valore
di ciò che dura è importante. L'avventura più interessante diventa tradizione,
ciò che si rinnova vuol dire che riesce sempre ad attrarci. Insomma la novità
per la novità e basta conta poco. Il contatto intelligente è un contatto di
anime prima che di corpi, di affetti prima che di piacere e basta. Con queste
premesse tutto può acquistare un alone di sacralità: non è forse sacro il vino
nel calice, e acqua e farina nell'ostia non diventano forse altro, ecco la
sacralità è la capacità di trovare anche nelle cose più semplici quel sapore
sacro, quel sublime cha nasce a volte dall'infinitamente piccolo.
Scrivere queste poesie ti ha coinvolta in tutti gli aspetti della tua
personalità oppure sono poesie concettuali, che non ti hanno trafitto
nell'emozione?
Sono
soltanto emozione, certamente sorretti dai concetti ricevuti in anni di
eduzione, di inquietudini, di ribellioni, di scontri, di cadute.
Sono
l'emozione che risorge dalla ceneri di una fede infantile e si scalda in una
dimensione adulta della fede.
Quanto abbiamo bisogno della fede oggi ? E tu quanto ne trai sostegno?
Marianna Bucchich scritto per le mie poesie: "La poesia di Anna
Manna è un pensiero d'eternità che contiene tutte le illusioni della
vita."
Mi
piace molto questa definizione. E' in questa linea di confine tra il profano ed
il sacro, tra l'istante e l'eterno, tra la carne e lo spirito che nascono le
mie emozioni. Una vertigine poetica come ha scritto Carmelo Aliberti.
Uno
sbandamento che cerca nell'oscillazione l'equilibrio, nel superamento dello
sbandamento la comunicazione, il messaggio, il contatto. Del resto la poetica
del naufragio che mi caratterizza ha insito in sè stessa il momento del crollo
ed il momento del recupero, il momento del disastro ed il momento della
ricostruzione. Esiste un momento che precede il naufragio, il dramma
nell'attimo del dramma ed il dopo, il momento di quello che resta. A volte la
lusinga, le lusinghe della vita affondano, ma resta sempre un appiglio,
qualcosa che ci aiuta a riprendere la navigazione.
Guardiamo
i campi, la forza dei campi : la natura continua a fiorire dopo i terremoti. A
L'Aquila, a primavera, sulle rovine sono comparsi fiorellini apparentemente
fragili, teneri, ma sono fortissimi.
E'
la risposta della vita alla morte. E' il dopo che avanza e riprende quota.
Questa forza naturale ma atavica dei campi, questa loro voglia di rifiorire non
ha contrasti, non porta distinzioni. E' sacra e profana insieme. E' terra e
spirito. Ecco la poesia per me è questo: questa incredibile forza dei campi che
si esprime anche attraverso il tremolare di un piccolissimo stelo. Abbiamo
bisogno di un pensiero di eternità tutti noi, oggi soprattutto. Per ritrovare
la forza della vita, imitare la natura, trovare il coraggio di fiorire di
nuovo.
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