ION DEACONESCU, “Ecoul, doar el – L’eco, solo lei”,
(Testo a fronte), Pasturana (AL), Puntoacapo Editrice, 2019, pp. 140.
Traduzione di Cinzia Demi, Prefazione di Giuseppe Manitta. [letto da Dante
MAFFIA]
“Il canto dell’usignolo in agonia… i treni stanchi… l’ora
dei gigli velenosi… il banchetto dei ricordi… gli arazzi di sabbia…la palpebra
dell’alba…”.
Quando termino la lettura un libro di poesia chiudo gli
occhi e attendo che un flusso di immagini, di metafore, di scatti lirici si
presentino perentori a testimoniare che ho attraversato la sapienza del cuore e
dell’anima ed è per questo che sono rimasti degli strascichi che mi
suggestionano e mi danno la certezza di essere entrato nelle verità del poeta,
nella sostanza del suo mondo variegato.
Ho fatto così anche con “L’eco, solo lei” e la prova è
stata molto ricca e coinvolgente, perché Ion Deaconescu, evidentemente, è
riuscito a mettere nelle parole le accensioni della sua spiritualità, la
saldezza di un rapporto con la vita e con l’amore che ha davvero dello
strabiliante: in ognuna delle poesie si sente che la distillazione della
lingua, del pensiero e del sentimento è avvenuta con naturalezza e che gli
esiti sono una simbiosi perfetta della natura del poeta e dello studio assiduo
fatto diventare lievito delle espressioni, musica sottile e vibrata del senso
infinito.
Deaconescu è riuscito a indagare vari mondi letterari,
quello rumeno, naturalmente, ma anche quello francese, italiano, spagnolo e
russo. Alla base delle sue composizioni c’è la cultura che però egli ha saputo
far diventare essenza leggera e vagante di una condizione umana e perciò può
esprimersi in maniera diretta, focalizzando i momenti di un percorso che non
casualmente comincia con una poesia intitolata “Il viaggio”.
Perché questo libro è un vero viaggio all’interno della
propria anima (forse c’entrano Céline e Rimbaud), un percorso che si snoda e si
dipana senza scossoni e fibrillazioni inconsuete. Il poeta possiede la
“conoscenza” e conosce il “senso” degli stati d’animo e può esprimersi con
precisione, con fermezza, con considerazioni capaci di illuminare i processi
che divampano dietro la realtà (c’entra Baudelaire?) e scrostano il risaputo
per affermare la delicatezza della scoperta, del rapporto esistente tra l’esistere
e il sognare di esistere, tra l’essere e il non essere…
A tratti ho visto baluginare anche la lezione di Jorge
Luis Borges e quindi l’insieme si è proiettato come un campo visivo ricco e
palpitante, a tratti metafisico, a tratti lucidamente nascosto, sottratto alle intemperie della filologia.
C’è, nella poesia di Ion Deaconescu, il fuoco vivo degli
accadimenti giornalieri che non diventano mai sterile letteratura. Ognuna delle
poesie presenti nella raccolta è un pezzetto di cielo e di luna, ma anche un
pezzetto di anima, di morte, di resurrezione.
Non nascondo che quando, all’inizio del libro, ho letto
dei “treni stanchi” ho subito amato il poeta, perché mi ha trasmesso
immediatamente una sorta di religione impostata tra la cosa e la spiritualità,
tra la realtà e il sublime.
E’ una costante del libro e di tutta la produzione di
Ion. Me ne sono già occupato altra volta e ritrovo il suo passo apparentemente
pacato, la sua voce suadente, lo scatto improvviso che sa rubare all’aria e
alla luce la soavità del dettato.
Tutte le poesie del libro hanno qualcosa di arioso, una
scansione sincopata che è, a un tempo, musica sinfonica e musica jazz. Ion non
bleffa mia, nelle parole mette il suo fiato, il suo sangue e la tenerezza che
un tempo ebbe in dono e che adesso ridà in scatti che grondano di bellezza e
accendono nel lettore il piacere di sentirsi vivo.
Si badi come i versi si muovono, quasi, in una danza che
nel momento in cui potrebbe diventare abbaglio si smorza e prende un ritmo
piano, la cadenza di un appagamento di rara efficacia e di sicura bellezza espressiva.
Vorrei sottolineare che raggiungimenti così riusciti non
si ottengono solo per l’inclinazione e la vocazione presenti nell’animo del
poeta; dietro c’è anche un lavoro costante, un esercizio linguistico che sa badare
ormai ai particolari, intesi proprio nella accezione di cui parlava Francesco Guicciardini.
Facciamo un esempio preciso, prendiamo uno dei testi a
caso, non so “Le lacrime dei sogni”:
è caduto
dalla parete il pendolo
le ore si sono disperse
come i resti
che non sai dove buttare
sul pavimento bagnato
le lacrime dei sogni
aumentano la ruggine del tempo
e già a una prima lettura ci rendiamo conto di come, in
maniera diretta, il poeta sappia cogliere l’essenza delle atmosfere e delle
situazioni. Si badi, però, che anche le più complesse in Deaconescu non
diventano problematiche, tutt’al più assumono il dubbio, si dibattono nella
tentazione di uscire dall’indistinto per trovare l’essenza di un rapporto
sempre umano, umanissimo. Si faccia caso come, con la semplicità più assoluta,
è il pendolo a cadere e a di conseguenza a fare disperdere le ore, cioè il
Tempo. Qual è la conseguenza diretta? Che le lacrime dei sogni, capite?, le
lacrime dei sogni, aumentano la ruggine del tempo: Qui la metafisica diventa
palpito che afferma la vita nel suo farsi e disfarsi, e il poeta annota senza
scandalizzarsi, senza gridare con angoscia: perché gli eventi hanno una loro
ragione dinamica e fuori dalla logica
comune, e quindi navigano dentro processi di cui non si può tenere il
regesto.
Mi sono domandato più volte il motivo per cui ho subito
amato la poesia di Ion Deaconescu e continuo ad amarla considerandola una delle
più prestigiose in assoluto dell’intera Europa. All’inizio ho pensato, con le
parole di Umberto Saba, che egli ha saputo cogliere “l’infinito nell’umiltà”,
che è vero. Ma c’è di più. In questo libro c’è un’amarezza mai sorda, mai
slegata dalle intemperie della vita; un’angoscia risolta negli approdi di
metafore lancinanti che sembrano nascere da corti circuiti a ciel sereno.
L’atteggiamento, la voce, lo sguardo, il passo, il sogno
del poeta è quello di volere e poter cogliere l’assoluto nel suo estrinsecarsi
consueto, portandolo alle vette espressive, riempiendolo di allusioni, di
ammiccamenti che producono la pietà e la gioia, il senso della perdita perenne,
il fluire della vita.
Per la poesia di Deaconescu non valgono gli epiteti
soliti, le etichette di pessimista, ottimista, solitario, pensoso, in lui c’è
lo schiudersi delle albe che giorno dopo giorno assecondano la luce e creano,
nel mentre lo svelano, il mistero della vita, della morte e dell’amore.
E tutto ciò è fatto con piglio da letterato che nega la
letteratura; con l’afflato tempestoso del metafisico che riporta alla realtà il
sogno; con la libertà più assoluta che si svincola da tutti i pesi per esistere
in quel momento, assolutamente in quell’istante.
Tutto questo non può che far dire che siamo al cospetto
di un grandissimo poeta che ha saputo entrare e uscire di continuo dai germogli
ossessivi che gli studi gli hanno regalato e ha saputo decifrare gli enigmi che
rapidamente transitano nel suo cuore. Il risultato è questo libro gioiello che
a leggerlo e a rileggerlo lascia in bocca il sapore antico e nuovo, inedito, di
una musica alta, semplice e solenne:
agli angoli delle strade i mercanti di maschere
ti chiamano per nome e ti offrono una maschera
straziata da tante smorfie
incise nel suo ovale di ghiaccio
maschere sorridenti o insidiose
nascondono riso e pianto
con un ritornello di cori
con centinaia di voci suadenti
che divampano sulla soglia del tramonto
maschere tristi con
le lacrime scavano l’alveo
nel corpo stanco del gioco urlante
e del dolore nell’ombra
maschere di ogni tipo
maschere per chiunque
maschere per la grande festa
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