La bambina e la rivoluzione
Giovanni Pistoia
“Nel cortile di casa, il compagno Li e le guardie rosse stavano attaccando manifesti e slogan sui tronchi degli alberi e sulle facciate dei tre palazzi. L’aria era impregnata dall’odore dell’inchiostro fresco. Vidi un cartellone bianco con sopra il nome di papà scritto in inchiostro nero. Sopra il suo nome c’era una grande “X” rosso sangue.
“Perché fanno questo, papà?” mormorai. Mi strinse la mano ancora più forte e accelerò il passo senza rispondere. Una volta in casa, andò al caminetto, accese il fuoco e ci buttò dentro libri e lettere. Brandelli di carta bruciata svolazzavano nel focolare come nere farfalle spaventate. Ci buttò dentro anche la sua cravatta rossa e il libro d’inglese che avevamo fatto insieme. Il fuoco divorò lentamente la foto della ragazzina: prima il suo vestito, poi il gelato e infine il volto e i capelli, cercai di ricacciare indietro le lacrime, mentre sentivo che i miei giorni felici stavano andando in cenere insieme a quella ragazzina.”
La violenza e la bambina. Mi pare che si può rappresentare così il filo conduttore che unisce tutte le pagine del volume La Rivoluzione non è un pranzo di gala. (Ying Chang Compestine, La Rivoluzione non è un pranzo di gala, Giunti Junior, maggio 2009; Traduzione di Duccio Viani; Illustrazione di copertina: Paolo D’Altan; Progetto grafico: Lorenzo Pacini; http://www.giunti.it/). Un libro per adolescenti, che incanta anche gli adulti.
Il racconto è in gran parte autobiografico. Molti fatti e personaggi, lo dice l’autrice, sono ispirati a luoghi reali, gli eventi sono realmente accaduti. Il contesto storico è la Cina degli anni Settanta, la rivoluzione maoista è personificata dalle Guardie Rosse, i protagonisti della cosiddetta Rivoluzione culturale. Attraverso questo fenomeno di vaste proporzioni, non ancora ben studiato dalla storia, Mao, il Grande Timoniere della Cina, intende distruggere tutta la cultura della Cina pre-rivoluzionaria e con essa tutti gli avversari interni e quanti dissentano dalle sue idee.
Nel nome dell’ideologia si va alla caccia di presunti nemici del popolo, si cercano e si arrestano i cosiddetti contro-rivoluzionari, si sospetta di tutto e di tutti. Anche i villaggi si spaccano, le famiglie si dividono, i figli denunciano i genitori. “La Rivoluzione – scrive Mao – non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità, delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra”.
Ling, bambina di dieci anni, scopre sulla propria pelle questa tragica verità. Ling, che non vede l’ora di entrare nei Giovani Pionieri e indossare il fazzolettone rosso, è vittima dei giovanissimi figli dei dirigenti della Rivoluzione. La sua famiglia si sfascia, perché accusata di avere simpatie borghesi. E così il papà medico chirurgo è costretto a lasciare la sala operatoria per andare a pulire i bagni dell’ospedale prima per poi essere arrestato (salvo essere prelevato per operare e curare i dirigenti rivoluzionari). Anche la mamma, medico, subisce continue umiliazioni.
Ling vuole solo crescere, insieme al suo paese, che ama; vivere in libertà, vestire abiti con grandi fiori e portare capelli lunghi. Ma la violenza è più grande di lei, e lei con la violenza deve misurarsi.
Il libro è scritto con delicatezza, è ricco di particolari della tradizione e cultura orientale. Ma quei giorni di dolore non sono sullo sfondo, accompagnano il lettore fino all’ultima pagina, che si chiude con la morte di Mao e con la Rivoluzione culturale che finisce per inghiottire i suoi massimi ispiratori e protagonisti, a cominciare dalla moglie dello stesso Mao.
Nell’immagine la copertina del libro.
Giovanni Pistoia
“Nel cortile di casa, il compagno Li e le guardie rosse stavano attaccando manifesti e slogan sui tronchi degli alberi e sulle facciate dei tre palazzi. L’aria era impregnata dall’odore dell’inchiostro fresco. Vidi un cartellone bianco con sopra il nome di papà scritto in inchiostro nero. Sopra il suo nome c’era una grande “X” rosso sangue.
“Perché fanno questo, papà?” mormorai. Mi strinse la mano ancora più forte e accelerò il passo senza rispondere. Una volta in casa, andò al caminetto, accese il fuoco e ci buttò dentro libri e lettere. Brandelli di carta bruciata svolazzavano nel focolare come nere farfalle spaventate. Ci buttò dentro anche la sua cravatta rossa e il libro d’inglese che avevamo fatto insieme. Il fuoco divorò lentamente la foto della ragazzina: prima il suo vestito, poi il gelato e infine il volto e i capelli, cercai di ricacciare indietro le lacrime, mentre sentivo che i miei giorni felici stavano andando in cenere insieme a quella ragazzina.”
La violenza e la bambina. Mi pare che si può rappresentare così il filo conduttore che unisce tutte le pagine del volume La Rivoluzione non è un pranzo di gala. (Ying Chang Compestine, La Rivoluzione non è un pranzo di gala, Giunti Junior, maggio 2009; Traduzione di Duccio Viani; Illustrazione di copertina: Paolo D’Altan; Progetto grafico: Lorenzo Pacini; http://www.giunti.it/). Un libro per adolescenti, che incanta anche gli adulti.
Il racconto è in gran parte autobiografico. Molti fatti e personaggi, lo dice l’autrice, sono ispirati a luoghi reali, gli eventi sono realmente accaduti. Il contesto storico è la Cina degli anni Settanta, la rivoluzione maoista è personificata dalle Guardie Rosse, i protagonisti della cosiddetta Rivoluzione culturale. Attraverso questo fenomeno di vaste proporzioni, non ancora ben studiato dalla storia, Mao, il Grande Timoniere della Cina, intende distruggere tutta la cultura della Cina pre-rivoluzionaria e con essa tutti gli avversari interni e quanti dissentano dalle sue idee.
Nel nome dell’ideologia si va alla caccia di presunti nemici del popolo, si cercano e si arrestano i cosiddetti contro-rivoluzionari, si sospetta di tutto e di tutti. Anche i villaggi si spaccano, le famiglie si dividono, i figli denunciano i genitori. “La Rivoluzione – scrive Mao – non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità, delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra”.
Ling, bambina di dieci anni, scopre sulla propria pelle questa tragica verità. Ling, che non vede l’ora di entrare nei Giovani Pionieri e indossare il fazzolettone rosso, è vittima dei giovanissimi figli dei dirigenti della Rivoluzione. La sua famiglia si sfascia, perché accusata di avere simpatie borghesi. E così il papà medico chirurgo è costretto a lasciare la sala operatoria per andare a pulire i bagni dell’ospedale prima per poi essere arrestato (salvo essere prelevato per operare e curare i dirigenti rivoluzionari). Anche la mamma, medico, subisce continue umiliazioni.
Ling vuole solo crescere, insieme al suo paese, che ama; vivere in libertà, vestire abiti con grandi fiori e portare capelli lunghi. Ma la violenza è più grande di lei, e lei con la violenza deve misurarsi.
Il libro è scritto con delicatezza, è ricco di particolari della tradizione e cultura orientale. Ma quei giorni di dolore non sono sullo sfondo, accompagnano il lettore fino all’ultima pagina, che si chiude con la morte di Mao e con la Rivoluzione culturale che finisce per inghiottire i suoi massimi ispiratori e protagonisti, a cominciare dalla moglie dello stesso Mao.
Nell’immagine la copertina del libro.
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