Il testamento spirituale di Marilena Amerise
Giovanni Pistoia
“Il Sole 24 Ore” di domenica 30 agosto 2009 ha ospitato un puntuale articolo di mons. Gianfranco Ravasi, Voci dall’Oriente cristiano, su alcuni nuovi studi per conoscere i grandi padri della Chiesa. Si tratta di saggi che non interessano solo gli studiosi di patristica, ma che aiutano a comprendere anche il mondo di oggi, dove culture, tradizioni, storie, religioni si incontrano, si intrecciano, interagiscono, configgono. Un tuffo in alcune pagine della storia culturale del mondo arabo e cristiano, per esempio, ci aiuta a capire tanti misteri quotidiani. Non solo: studi che affrontano temi che non hanno tempo né spazi precostituiti, quesiti filosofici, esistenziali.
Giovanni Pistoia
“Il Sole 24 Ore” di domenica 30 agosto 2009 ha ospitato un puntuale articolo di mons. Gianfranco Ravasi, Voci dall’Oriente cristiano, su alcuni nuovi studi per conoscere i grandi padri della Chiesa. Si tratta di saggi che non interessano solo gli studiosi di patristica, ma che aiutano a comprendere anche il mondo di oggi, dove culture, tradizioni, storie, religioni si incontrano, si intrecciano, interagiscono, configgono. Un tuffo in alcune pagine della storia culturale del mondo arabo e cristiano, per esempio, ci aiuta a capire tanti misteri quotidiani. Non solo: studi che affrontano temi che non hanno tempo né spazi precostituiti, quesiti filosofici, esistenziali.
Ravasi, nell’articolo citato, si sofferma sui discorsi di Isacco di Ninive, sulla biografia di Cipriano di Cartagine, su Gregorio di Nissa, e su altri. Proseguendo in questo itinerario storico-culturale nel IV secolo, cita l’epistolario di Girolamo, il celebre traduttore latino della Bibbia. E per presentare le 154 lettere a noi pervenute di Girolamo, Ravasi segnala il saggio di Marilena Amerise, “Girolamo e la senectus”. Il prof. Ravasi, che definisce Marilena “una straordinaria studiosa”, considera il lavoro della ricercatrice coriglianese, scomparsa improvvisamente nel febbraio 2009 a soli 33 anni, “un piccolo gioiello di acribia testuale e di analisi tematica attorno alle età della vita e alla morte, così come sono delineate nell’epistolario geronimiano che l’autrice vaglia con estrema finezza, inconsapevole di lasciare con questo suo scritto un vero e proprio testamento spirituale.”
Il testo di Marilena Amerise, citato dal noto biblista, ha come titolo “Girolamo e la senectus. Età della vita e morte nell’epistolario”. È stato pubblicato dall’Institutum Patristicum Augustinianum di Roma nel 2008. Il tema affrontato è quello della vecchiaia. “L’uomo per tutta la sua vita subisce un processo di cambiamento continuo, fisico e spirituale e con l’avanzare dell’età avverte il melanconico desiderio della lontana giovinezza. L’invecchiamento non è altro che la percezione visibile del tempo che scorre e tutto cambia… ”, come avevano affermato Eraclito e Platone. E una riflessione sulla vecchiaia non può che condurre, inevitabilmente, a quella sulla morte, e anche di quella morte quando essa avviene in modo prematuro, lasciando nel dolore e nella disperazione parenti e amici. Ecco perché Ravasi parla di questo lavoro di Marilena come suo testamento spirituale.
Quell’abbraccio
Ma permettetemi di aprire una parentesi. Una copia di questo studio, insieme ad altri lavori di Marilena, mi era stata consegnata, nella sede della Fondazione Carmine De Luca, dalla mamma di Marilena, la bravissima maestra Rosanna, che aveva deciso di dare una mano alla Fondazione stessa e, in particolare, all’avvio della Biblioteca dei bambini e ragazzi. Sapeva benissimo, la maestra Rosanna, che gli studi di Marilena erano molto specialistici e lontani dalla mia capacità interpretativa, eppure voleva che me ne occupassi un po’. Piano piano arricchivo la mia conoscenza degli studi di Marilena anche attraverso altri saggi e articoli che la studiosa andava scrivendo su riviste e giornali.
Nel dicembre del 2008, era il periodo natalizio, incontrai Marilena con i suoi genitori, davanti ad un noto supermercato cittadino. Sapeva tutto di me, perché informata dalla mamma. Sapeva anche che avevo i suoi libri e mi raccomandò di parlarne a bassa voce, di darne notizia ma senza enfasi. Con leggerezza. Ci lasciammo per risentirci telefonicamente o a mezzo internet. Quell’abbraccio, quella stretta di mano e quel sorriso ampio e spensierato mi si sono conficcati dentro come una spina, una spina che mi porto addosso con amara dolcezza.
Ma i progetti terreni, a volte, non tengono conto che siamo come foglie ingiallite d’autunno appiccicate a un albero. E Marilena, che era foglia verdissima e tenerissima, “se ne volò leggera leggera in cielo”, per citare il suo Girolamo. Era pur sempre una foglia, delicatissima, fragilissima. Come lo siamo tutti, in tutte le stagioni.
La fragilità
Il tema della fragilità del vivere è uno dei concetti che caratterizzano l’epistolario di Girolamo (spesso indicato da Marilena come “il monaco di Betlemme”) e del quale si parla ampiamente nel saggio: “Ma la vera saggezza, afferma Girolamo, è nella consapevolezza della propria caducità. L’ideale da raggiungere era pertanto la sapienza del cuore, unico “antidoto” alle sofferenze del tempo presente. Girolamo nelle sue lettere più volte menziona la fragilitas della condizione umana e si riallaccia agli autori profani, che avevano trattato della brevità della vita, accanto ai quali menziona motivi biblici.”
Per chi si occupa di storia del cristianesimo antico sono tanti i motivi per accostarsi all’epistolario di Girolamo di Stridone (347-410 d.C.). Nel saggio, Marilena Amerise, con scrittura rigorosa e sobria, si sofferma sulla vecchiaia quale motivo di studio nel mondo pagano e in quello cristiano. In verità, “Nella letteratura cristiana non si trovano infatti trattati dedicati alla vecchiaia, al contrario di quanto avveniva nella produzione classica.” Girolamo, invece, rappresenta “un caso particolare”: pur non avendo scritto un de senectute lascia un epistolario molto interessante, una delle testimonianze cristiane “più cospicue in riferimento alla vecchiaia”. E se spesso alla vecchiaia è legato il concetto della morte, un binomio inscindibile, in Girolamo questo rapporto non è assoluto. “La vecchiaia è considerata come l’età nella quale l’uomo deve prepararsi alla morte, come indicano bene le parole di Seneca: (61,2) ante senectutem curavi ut bene viverem, in senectute ut bene moriar. Nell’epistolario di Girolamo, con l’eccezione dell’epistola 140, non emerge questo collegamento. Tale tendenza conferma quanto evidenziato da Gnilka: la tradizionale accusa secondo cui la vecchiaia era una età infelice perché prossima alla morte non ha più valore nella mentalità cristiana, che sviluppa una diversa concezione della morte. Girolamo, nell’epistolario, non considera tanto il nesso tra vecchiaia e morte quanto piuttosto approfondisce i temi della morte prematura e del dolore.”
La letteratura consolatoria
L’ultima parte del saggio è un’analisi approfondita sulla letteratura consolatoria. La morte precoce provoca dolore e strazio tra parenti e amici. Girolamo, attraverso le sue lettere, cerca di dare risposte allo sgomento provocato da una morte in tenera età: dalla morte come fine all’esilio terreno alla morte prematura come segno di predilezione di Dio. Ma queste motivazioni possono non essere del tutto consolatorie, in quanto “la morte prematura di giovani innocenti destava un tormentoso interrogativo che metteva sotto accusa la giustizia divina.”
E mentre i pagani ricorrevano al fato, al destino, i cristiani “ricorsero all’argomento dell’imperscrutabilità dei disegni divini.” Scrive la Amerise: “Il monaco di Betlemme si era posto la domanda su quale senso potevano avere le morti di piccoli innocenti o di uomini nel fiore degli anni, violentemente strappati alla vita. Nella commemorazione di Blesilla, morta all’età di 20 anni, Girolamo si sofferma a riflettere sullo scandalo della prosperità degli empi e della morte dei giusti e confessa che anche lui era martoriato dal dubbio.” A questo dubbio Girolamo risponde con l’imperscrutabilità dei disegni divini. L’uomo “non può comprendere tutto, ma deve credere che dietro al male apparente c’è un disegno divino d’amore”, chiarisce Marilena Amerise. Di conseguenza anche il dolore di chi resta, pur comprensibile, non deve mai divenire disperazione.
Da tutto ciò discende un altro concetto caro alla concezione cristiana della vita: la compiutezza della vita è indipendente dalla durata della stessa. Non è l’età che definisce la maturità della persona, la saggezza, la virtù, ma la qualità del tempo vissuto. In sostanza, come per Seneca, anche per Girolamo l’accento è “sulla qualità della vita e non sulla quantità.” Ecco perché, per Girolamo, non è così perentorio il nesso vecchiaia/morte; egli sposta la sua attenzione “sull’atteggiamento che i cristiani devono avere di fronte alla morte ed in particolare a quella prematura. A questo riguardo – aggiunge la Amerise – utilizza i motivi consolatori presenti anche nella letteratura consolatoria pagana: il tema della morte come una legge comune a tutti; e si può notare che la meditazione sull’universalità del morire sia per i cristiani sia per i pagani risulta essere il primo motivo di alleviamento del dolore; il motivo della morte prematura vista come un segno di predilezione da parte di Dio.”
Girolamo è considerato “un efficace testimone della complessità che caratterizza la fine del IV secolo”, nonché la sintesi di “una fondamentale continuità tra tradizione classica e pensiero cristiano”: forse sono questi alcuni motivi che hanno spinto Marilena Amerise a uno studio così analitico dell’epistolario. Forse vi è anche un qualche motivo recondito; certo è sorprendente la coincidenza tra le cose scritte e la sua storia personale: una vita intensamente vissuta, una morte precoce. E lei stessa, che collabora a redigere l’ennesima lettera consolatoria, quasi un Girolamo dei nostri tempi, per dare delle motivazioni a una morte così prematura a quanti, piombati nello sconforto totale e nello smarrimento quotidiano, considerano ingiusto strappare alla vita chi ancora è nel fiore degli anni.
Spero, parafrasando le ultime righe riportate da Marilena a conclusione del saggio, che questo breve scritto resti come un canto in sua memoria. Se non ci è possibile averla fisicamente vicina, teniamola abbracciata con il ricordo; e poiché non ci è dato di parlare con lei, non smettiamo un istante di averla sulle labbra.
Nessun commento:
Posta un commento