La
narrativa di Maffia in un saggio di Marco Onofrio
di Giovanni Pistoia
Salto i preamboli, non servono. Bel
lavoro questo di Onofrio su Maffia. (Marco Onofrio, Come dentro un sogno. La narrativa di Dante Maffia tra realtà e
surrealismo mediterraneo, Città del Sole, Reggio Calabria, aprile 2014).
Saggio raffinato, acuto, documentato, elegante
e avvincente nello stile e nello sviluppo della narrazione. Saggio appassionato
ma di una passione controllata,
tenuta a freno da Onofrio, critico chiaro e rigoroso. È evidente nelle pagine
la stima per Dante Maffia ma non troverete, nel racconto letterario ed esistenziale di Onofrio per l’amico, nessun
afflato celebrativo, alcuna enfasi. Onofrio sviluppa i suoi ragionamenti
svelando la narrativa, vasta e complessa, dello scrittore calabrese, ma da anni
cittadino romano. Non posso parlare di Onofrio e di come il critico racconta Maffia, sarebbe operazione
miope e presuntuosa: il libro va letto, dalla prima all’ultima pagina. Se ne
ricaverà un ritratto lineare ed efficace della narrativa di Maffia, una
conferma della maturità del critico. Operazione, quella compiuta, non facile,
perché gli scritti di Maffia non solo non sono pochi, ma non sono testi
leggeri. Tutt’altro: sono complessi, articolati, scavi negli abissi dell’uomo e
della società.
Carmine Chiodo, che firma una breve interessante
nota, scrive: «Occuparsi degli scritti di Dante Maffia non è facile, l’ho
potuto constatare con alcuni studenti di Tor Vergata ai quali ho assegnato
varie tesi di laurea. Maffia è un vulcano in eruzione, un incessante fluire di
sorprese che si muovono in direzione della poesia, della saggistica, della
narrativa e perfino del teatro, e quindi è necessario scegliere un campo
specifico per indagare gli esiti, per goderne le pagine senza lasciarsi
prendere dall’irruenza». Un suggerimento metodologico al quale si attiene
scrupolosamente Onofrio, che non si lascia assorbire dalle sirene di ogni altra
produzione letteraria di Maffia, a cominciare da quella poetica, anche se non
mancano le incursione nella sua poetica, indispensabile per meglio comprendere
lo scrittore.
Le affermazioni di Chiodo mi richiamano
una conversazione con il caro Rocco Paternostro, a Roseto Capo Spulico, in occasione
della preparazione di un convegno di studi proprio sull’opera di Maffia.
Paternostro pensava di preparare il suo interevento su Maffia saggista (cosa che poi ha realmente fatto, e spero che
presto possa essere pubblicato quel suo contributo con il quale si è dato
inizio a quelle giornate). Mi diceva che l’attenzione, meritata, del Maffia
poeta oscura, in parte, la sua attività di narratore e saggista. «Nello studiare
la saggistica di Dante, mi sono ritrovato con casse di scritti: saggi brevi e
lunghi, recensioni, note critiche, commenti, presentazioni di libri,
postfazioni, una marea di documenti che potrebbero essere utilissimi se
raccolti per meglio comprendere non solo il pensiero dell’autore, ma la stessa
letteratura nazionale e mondiale».
Non è un autore facile Maffia. Non
devono trarre in inganno la sua scrittura leggera, la magia della parola che
usa e manipola a suo piacimento, l’arguzia e l’ironia sugli eventi che narra,
le zampate dissacratorie, i giochi linguistici, le ardite provocazioni, le
suggestioni accattivanti. Potrebbe apparire la sua scrittura, proprio perché è
bravissimo nell’uso del vocabolario e delle metafore vellutate e fantasiose, un
giardino fiorito, dove tutto è bello e profumato, ma non è così; è un giardino
pieno di spine con un manto erboso in fermento e invisibile. La scrittura di
Maffia è tanto lieve quanto profonda. Una lettura superficiale, frettolosa non
si addice alla problematica delle sue pagine, ai temi che affronta. Sarebbe
come guardare la luna senza ascoltarne il canto, osservare le onde senza
pensare agli abissi marini, lavarsi la faccia senza pensare all’energia
dell’acqua. Quella di Maffia «occorre sottolinearlo, è produzione artistica
dotta, erudita, nella quale confluiscono, rielaborate con voce propria e
originale e in cui un posto centrale lo gioca il ricorso alla fantasia,
centinaia e centinaia di letture che fanno di lui un intellettuale ascrivile a
ragione alla Weltliteratur. A quella Weltliteratur sognata e agognata e nella
quale hanno creduto e per cui hanno combattuto, per fare solo alcuni nomi,
studiosi quale Auerbach ed il nostro Arturo Farinelli». (Rocco Paternostro, Ironica dissacrazione atomismo narrativo in
San Bettino Craxi e altri racconti di Dante Maffia, il testo è apparso sul
mio blog L’albero delle mele d’oro il
26 maggio 2012).
La portata della scrittura di Maffia è
ben nota a Onofrio, che dedica alcune pagine istruttive all’argomento: «… una
scrittura concreta, robusta, multisensoriale, pregna di umori e di lampi, che
segue come sismografo la curva oscillante dei pensieri per esplorare lo spazio
interiore del mondo, dove batte un cuore dentro noi, raccogliendo le parole del
silenzio. La scrittura visibile tende così a farsi traccia in filigrana delle
scritture invisibili che ci attraversano: auscultazione attenta e riemersione
occulta di ciò che non si tocca e non si afferra». E ancora: «La naturalezza
organica della sua scrittura ricompone in superiore unità i corni opposti di
natura e cultura: è cultura naturalizzata al fuoco della vita, per
consapevolezza delle proprie radici e superamento degli esiti acquisiti.
L’apparente spontaneità nasce dall’assimilazione profonda di una cultura che si
è fatta istinto, abito percettivo, approccio di pensiero, modo di guardare alle
cose». Tutto ciò è frutto del suo talento ma è anche il risultato dei
tantissimi libri letti. Maffia è, secondo Onofrio, un bibliomante. «L’amore e l’ossessione per i libri ha addirittura
risvolti erotici, di conquista e dominio fisico …». Maffia ha, a suggello delle
cose detto da Onofrio, un vero e proprio rapporto … libridinoso … con libri!
Nonostante le difficoltà, Onofrio
analizza con pazienza certosina le opere di narrative, i caratteri dei
personaggi, lo stile, i contenuti. Un’altalena di fatti reali o surreali, crudi
o teneri, tenui o duri come sassi, insomma la vita, perché Maffia è assetato di
vita e di immortalità, e l’immortalità è solo nel presente, quello che viene
dopo è solo morte. E Maffia «cerca la vita attraverso la letteratura: la vita
ricomposta e manifestata nell’infinito ventaglio dei suoi sensi. La vita nella
letteratura e, quindi, la vita della letteratura (cioè, necessariamente, la
letteratura della vita)», come ben sintetizza Onofrio.
Vi sono tanti pseudo critici, recensori,
commentatori che scrivono per sentito dire, scopiazzandosi a vicenda, oppure
dopo letture distratte e parziali, senza, quindi, uno studio dell’autore e
dell’opera che si vuole recensire. Una mortificazione non solo per la
letteratura ma per l’intelligenza. Fenomeno ancora più triste perché praticato
da uomini di cultura. Certo, ci vuole
tanta fatica e tanto tempo per fare le cose sul serio. L’impegno di Onofrio lo
dimostra. Un giovane critico che si è nutrito di pagine e pagine dello
scrittore calabrese, che con rigore scientifico elabora le tue tesi, avanza le
sue analisi. Si può essere d’accordo o no sulle conclusioni ma il suo lavoro,
del resto come gli altri che portano la sua firma, fa onore a chi crede ancora
nel valore della critica letteraria, a chi doverosamente vuole svolgere con
serietà il proprio compito. E non è cosa da poco in un tempo di pressapochismo,
di visibilità a buon mercato, di degrado culturale ancora prima che morale.
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