Fausta Genziana Le Piane, Ostaggio della
vallata, Edizioni Tracce 2014
E
tornerà la parola a rinverdire la vallata
di Giovanni Pistoia
Bambini giocano sulla spiaggia. Hanno
tra le mani biglie colorate. In piccoli solchi costruiti sulla sabbia rotolano e
vanno verso il mare. Ed entrano in un castello da favola, arrivano fino alla
stanza del re e regaleranno la collana delle meraviglie alla regina. Le biglie
sono le parole che sgusciano tra le dita di Fausta, e ne tessono sogni e ne
raccontano emozioni. Il fantastico e il reale s’intrecciano, la vita e i suoi
colori si abbarbicano e chiedono un abbraccio, un senso, una meta; chiedono di
essere rivelati, e chi meglio di una buona poesia sa dare loro ansia e palpiti,
sorrisi e nostalgia.
“Torneranno le parole” è la poesia con
la quale Fausta Genziana Le Piane chiude la raccolta, intensa e problematica,
dal titolo suggestivo “Ostaggio della vallata” (Edizioni Tracce, marzo 2014).
Torneranno le parole.
E saranno come biglie colorate
spinte
dalle agili dita
di bambini concentrati
sul gioco dell’estate.
Rotoleranno impazzite
frettolose alla meta
nel solco sinuoso della sabbia
che porta all’entrata di un
castello sognato.
Entreranno trionfanti
fino alla stanza del re
e regaleranno una collana
scintillante alla regina.
Le parole non sono mai andate via dalle
mani fruttuose di Fausta. Chi conosce i suoi testi sa con quanto amore,
intelligenza, conoscenza e sincerità lei scrive, consegnando alla carta
stampata, stati d’animo, impressioni e riflessioni, perché rendano partecipe il
lettore della linfa che scorre nel suo corpo, fatto di sangue, carne, anima. E
di profumi che non conoscono aggettivi. E le parole non sono andate via neanche
e soprattutto in questa raccolta, che non va letta ma sorseggiate, distillata,
analizzata, fatta propria.
Una raccolta di poesie non può essere
raccontata, commentata, recensita -una raccolta è già di per sé un racconto-
anche se, me ne rendo conto, le note critiche contribuiscono a rendere più
chiare le istanze formali e sostanziali di un poeta. La fortuna di chi non è un
critico letterario, né di professione né per passione, è quella di non dover
soggiacere a una rigorosa metodologia nell’approcciarsi a scrivere qualcosa.
Ecco perché mi permetto, quando mi capita, di stendere sulle parti bianche del
libro, o su un foglietto a parte, qualche annotazione mia, tutta mia, a
registrare, in un certo senso, quello che quei versi mi hanno lasciato nella
mente e nel cuore. Per questo motivo non leggo, in prima istanza, la
prefazione, non desidero essere condizionato da nessuno. Voglio essere solo io
e i versi, il dialogo, se s’instaura, deve essere non condizionato, senza alcun’altra
presenza. Se quei versi mi parlano, parlano anche di me, se mi fanno
riflettere, se mi accarezzano il cuore, vuol dire che è scoppiato un amore, una
forte amicizia, una intesa con quelle poesie, poesie che, ora, graffiano la
vita, ne scorticano gli arcani, ne cercano un senso, il limite, il finito e
l’infinito. Certo, poi, leggo, e anche con interesse, l’eventuale nota critica
presente, ma ormai non può più condizionarmi, può solo confermarmi o meno
alcune valutazioni, aprire nuove strade di lettura. È accaduto anche con
“Ostaggio della vallata”, che mi ha rapito, mi ha portato lontano e, nello
stesso tempo, mi ha parlato delle cose minute che, comunque, riempiono le
nostre giornate.
Sono stato soprattutto “ostaggio” della
ricerca di Fausta, della parola giusta, raffinata, sobria, per esprimere un
concetto, un contenuto. Non, quindi, una fuga nel contenuto a scapito della
forma e del linguaggio, né il contrario, una ricerca stilistica vuota. Ho come
l’impressione che Fausta non si accontenti mai della parola che usa. Mi viene
in mente un verso, molto bello, di Domenico Brancale nella raccolta “L’ossario
del sole” (Passigli, 2007): “Non sarò mai al sicuro dentro la parola”. Mi pare,
e non so se sbaglio, che Fausta non si senta mai sicura della parola che usa,
del verso che detta, ma cerca dentro
la parola e il verso tutta se stessa. E questa ansia stilistica, ma che non è
solo stilistica, coinvolge il lettore. C’è dentro questa fatica non solo la sua
visione poetica ma anche, suppongo, la sua passione di traduttrice.
Non ho potuto, ovviamente, non tuffarmi,
sia pure in un secondo momento, nelle note critiche che accompagnano il volume.
Plinio Perilli firma la prefazione e la postfazione. Ma non solo: a piè pagine
di ogni poesia vi è un suo commento, una riflessione, una suggestione, una
interpretazione. È come se Perilli, con la sua capacità di critico sottile e di
poeta, afferrasse per mano Fausta e il lettore e li accompagnasse in questo
giardino poetico, dove le spine non mancano e Fausta, con le sue dita delicate
e comunque abituate alla corteccia rude delle querce, tenta di spuntarle. A
volte restano, in bella vista, le rose, altre volte, le spine hanno il
sopravvento, e quando pungono ne avverti il dolore. Un po’ come la vita:
profuma, ma quanta sofferenza lascia sul campo, quante ferite nella vallata che
vuole solo rinverdire.
Settembre 2014
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