martedì 22 novembre 2022

STANISLAO DONADIO, Alla radice impura, Bisignano (Cosenza), 2022, pp. 282. Prefazione di Giovanni Pistoia. Immagine di Copertina di Rocco Regina, letto da Dante Maffia



Una Prefazione di sedici pagine fa immediatamente pensare di essere al cospetto di un’opera importante, specie se è a firma di uno studioso e scrittore di grande valore come Giovanni Pistoia. Ma avrò modo di tornare sullo scritto di Pistoia. Intanto leggiamo i quattro anni di poesia offerta da Stanislao, entriamo nel suo giardino fiorito e vediamo di individuare il “qualcosa, o qualcuno, che dentro vuole disperatamente essere”. Partiamo da un testo intitolato “Poesia del pane”, per una ragione semplice, per me la poesia deve essere pane, fatta con la semplicità con cui s’impasta il pane. L’ho detto e ridetto mille volte e devo constatare che Stanislao Donadio agisce proprio come le massaie dei nostri paesi (le poche rimaste), impasta idee, immagini, parole dense e vive con acqua e sale e niente più. Da cui la forza della sua poesia che ha radici pure e che poi diventano, ahimè, radici impure. Nel contatto col mondo.

 

La densità del libro ha troppa forza contundente, Donadio (mi piace che ogni poesia sia “Poesia del… per ribadire che siamo dentro un luogo, direbbero i giapponesi, in cui ormai contano le misure dell’anima, i profumi del cielo) si è calato in una dimensione che ha qualcosa di magico ed è per questo che riesce a scrivere versi di estremo interesse e carichi di tenerezza. Valga per tutti “Poesia dell’alloro in movimento”, in cui il poeta riesce a creare una misura universale di emozioni coinvolgendo sé stesso, gli animali e le piante. Non è casuale il mio riferimento al Giappone.

 

Ma torniamo allo scritto, di rara bellezza e profondità, di Giovanni Pistoia. A parte la disamina, quel suo raccontare facendo critica, come ci ha insegnato Francesco De Sanctis, Pistoia a un certo punto sente la necessità di avvisare il lettore che non si può leggere Donadio a cuor leggero, come passeggiando distrattamente: “Non pensi il lettore di attraversare queste poesie come si può fare con un campo di musco; qui il cuore non fa rima con amore, e il cielo azzurro non sempre è azzurro, la pioggia non sempre bagna, e il vissuto dell’autore, e attraverso l’autore il vissuto di chi in quei versi si ritrova, non è una danza primaverile; spesso è un intricato inverno. E lo stesso codice linguistico del poeta è, non poche volte, un percorso a ostacoli, dove il reale e l’irreale, il paradosso e il surreale, il fisico e il metafisico, si incontrano e si scontrano, si ritrovano per poi perdersi ancora”.

 

Pistoia è riuscito a fotografare la sostanza vera, intima, direi segreta della poesia di Stanislao focalizzando il suo fare, rivelandoci la valanga di interessi che ha intravisto e mettendo in rilievo la necessità interiore di una inquietudine che “pretende” quasi di possedere il mondo e di cancellarlo e ricostruirlo.

 

Infatti “Alla Radice Impura” è una summa di intendimenti, di progetti, di sogni, di cadute a picco nel mistero e nell’angoscia, una resurrezione che poi però perde la sua grazia, un viaggio infinito nel visibile e nell’invisibile, proprio come ha sempre pensato che si debba fare Rainer Maria Rilke se si vuole ottenere grande poesia.

 

Sì, Donadio è un poeta che bisogna leggere e rileggere, nelle sue corde ci sono molti interessi e molte fioriture sempre in atto ecco perché la sua parola è, a un tempo, delicata e possente, profumo di pane appena sfornato e accetta luccicante che anela a trovare la fessura del mistero per rubargli le essenze e le ragioni della vita e della morte.

 

Insomma, a dirla apertamente, Stanislao Donadio è un poeta a tutto tondo, autentico, accorto, con le stimmate nelle mani e nel cuore, ma anche con le finestre della sua anima spalancate per suggere la brezza della speranza, la bellezza di ogni alba nuova.

 

Roma, novembre 2022

 

 

 

 

 

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