domenica 11 agosto 2013

Non si allontani il tempo del sognare di Giovanni Pistoia


Non si allontani il tempo del sognare
di Giovanni Pistoia
«Forse un uomo di poca memoria
non è molto atto a gustare poesie»
Giacomo Leopardi

Avevo lasciato da poco il mare, era di un azzurro intenso, la linea d’orizzonte un filo d’argento luccicante; azzurro intenso anche il cielo; piccole nuvole bianche trasparenti sospese, come perse in un oceano senza inizio e fine, scavalcavano i monti del Pollino. Attraversavo la piana di Sibari ammantata dal verde delle pannocchie, che oscillavano appena mosse da un venticello rovente, come a volermi salutare.



La mattinata era calda, è vero, il sole esplodeva nella sua potenza, eppure nella mia auto l’aria era eccessivamente surriscaldata, perfino il condizionatore era andato in tilt. Sentivo come un brusio, un lamento accennato, qualcosa pulsava ed io cominciavo a guardarmi attorno: intanto stoppie ansimanti, vestite di giallo, stavano rigide nei campi; fasci giganteschi di girasoli facevano l’occhiolino al sole.

Sul sedile, alla mia destra, campeggiava la copertina di “Orizzonti in divenire”, libro consegnatomi, pochi minuti prima, da Francesco M. T. Tarantino. E il giallo della copertina, con venature di rosso e qualche accenno di ombra, si scompose: vidi i pennelli intrisi di arcobaleni del maestro Rocco Regina cambiare il colore alla tela. Quel volume, prigioniero, mi chiedeva, quasi timidamente, una sosta; aveva bisogno di respirare, prendere un po’ d’aria. Mi fermai in un viottolo di campagna sotto un albero ricco di foglie che mi accolse a braccia aperte:

«Accomodati pure, la mia ombra è la tua e sarà sempre del viandante che vorrà fermarsi fino a quando qualche mano piccola piccola non vorrà, cancellandosi, cancellarmi.»

Sfogliai il testo, un libro d’arte, un catalogo, una mostra itinerante di opere pittoriche, un susseguirsi di colori, quasi sempre accentuati, vibranti, vivaci, suggestivi; una forza della natura: eppure i paesaggi, sullo sfondo, rari e appena abbozzati, silenziosi. Non un volto sorridente, non un volto, che strano! eppure dentro quel pennello un’ansia di colori, squarci di vitalità, tumulti e tuoni e lampi, quasi tormenti d’animo, voci urlanti in deserti umani, un trionfo di grinta in muti spazi.

Gli alberi, le piante, l’erba verde e quella secca che mi circondava; come in un filmato al rallentatore si avvicendavano, davanti ai miei occhi, i paesaggi e i colori dei monti del Pollino, gli anfratti e le valli dell’Alto Jonio Cosentino, e quel poema di colori indescrivibili che è la Sila. E quel giallo, soprattutto quel giallo di Regina che mi accecava, che mi faceva vibrare: dentro le mani esperte, quel giallo mi conduceva a quello spavaldo dei girasoli, a quello grintoso della ginestra che pascola sulle alture, al giallo sfavillante dei limoni che illumina perfino il volto di un riflessivo Montale, a quello buono del grano d’oro.

Giallo e luce anche quando i titoli delle opere sanno di grigio: scomparse, case, disturbi, cavalcavie, vortici, triangolazioni, fenditure, sembianze, traiettorie, caos, inganni, e potrei continuare. E poi il rosso: appare in tantissime opere, ora appena abbozzato, ora come sottofondo, a volte come lingua di fuoco, cespugli di sangue. Il rosso che esplode, accompagnato dall’immancabile giallo, nella tela dal titolo “Rosso”. E il vocabolo “rosso” domina nella poesia di Francesco Tarantino che le sta accanto: versi della nostalgia, dell’inquietudine, della denuncia, del desiderio, dell’illusione e della delusione:

È rosso, il rosso dei ricordi;
e rossa è l’alternanza dei richiami:
la casa dei fantasmi
e l’inquietudine dei sogni
con il rosso dei prati
e il nero della guerra.

Barriere rosseggianti
di miserie e dolori,
intorno la solitudine
senza fiori da calpestare.

Restava un desiderio da colpire:
le rose rosse con le spine
per strappare alle stelle
l’incanto e la promessa
di un cuore rosso e nuovo che respira.

Nelle opere di Regina ci sono i colori di Calabria, ma non è una trasposizione meccanica, sia pure attraverso l’uso dotto delle tecniche pittoriche, dalla natura alla tela, ma molto di più: i colori sono animati e filtrati dall’anima dell’artista, una personalissima visione del tripudio dei colori, tra nodi e snodi, vincoli e svincoli, composizioni e scomposizioni, storie e inganni, geometrie e fantasie, traiettorie regolari e voli d’artista. La pittura è poesia silenziosa ma qui, attraverso alcune tonalità di colori, è eco deflagrante.

Intanto un lungo ramo, per attirare la mia attenzione, penzola sul parabrezza dell’auto:

«Amico se vuoi continuare a godere della mia frescura dovresti spostarti un poco più in là, non vedi che il sole batte sul tuo viso?»

Aveva ragione: immerso nella carta patinata, avevo quasi dimenticato la mia postazione.

Il libro vibrava nelle mie mani: grafica raffinata, ottima impaginazione, indovinato il grigio delle pagine che esalta le tele di Regina e le poesie di Tarantino; cantore e interprete, Tarantino, dei tumulti del pittore e, nello stesso tempo, originalissimo nei contenuti e dal registro stilistico vario; versi rivelatori sinceri delle tempeste interiori del poeta.
Una coppia di artisti, un pittore e un poeta, un caleidoscopio di immagini e una raccolta di poesie, e dentro un pullulare di emozioni, palpitazioni esistenziali, sussulti del cuore, pacatezza di sentimenti, struggenti riflessioni, mescolanze di ombre e turbolenze, aspirazioni e sogni per un’alba che rinnovi per davvero un uomo che scivola verso scomposte derive, alla ricerca di un faro dopo aver lasciato finalmente le grotte.

Squilla il telefonino. È tempo di ritornare a casa. Il campo di granturco è una distesa di verde sotto il cielo azzurrino. In lontananza un casolare rosso scalcinato, dalla finestra sbrindellata un panno lacerato bianco. Nessuna presenza umana. No, c’è un uomo dal volto nerissimo con una zappa in mano che cammina dentro una cunetta ai bordi della strada, e nulla più.


Bel lavoro questo di Regina e Tarantino, ma bravi tutti gli altri che hanno lasciato la propria firma: dalle edizioni Lepisma di Roma al progetto grafico di Francesco Spinelli, dalla fotografia di Domenico Olivito alla stampa Zaccara di Lagonegro, da Maria Teresa Oliva per l’attenta rilettura dei testi in correlazione alle immagini alla Comunità della Cultura di Roma per la collaborazione artistica, allo staff della Sirio per il supporto tecnico.
Pitture e poesie tenute strette e coccolate dalla pirotecnica e incandescente prefazione di Francesco Aronne e dalla serena e acuta postfazione di Dante Maffia che chiariscono, e non poco, l’intero percorso culturale proposto dai due artisti.

Regina è pittore sensibilissimo e possiede un pennello che fa magia nelle sue mani, ha immortalato paesaggi e ambienti della sua terra. Nell’osservare questi oli, che prendono fuoco nel volume, mi chiedo: dove sono le case, le campagne, i vicoli, i balconi, gli scorci, i caminetti ripresi nelle varie forme che quasi quasi vedi il fumo che non c’è? Tutto cancellato? L’artista ha deciso di usare la spugna e dire addio al suo mondo, di tuffarsi, annullarsi, o esaltarsi, nello sfavillare di colori che scorticano la vista e l’anima? Come è possibile questo cambiamento di rotta? Regina, cultore dei suoi ambienti, caccia nel dimenticatoio memorie e ricordi? Ha rassettato tutto, direbbe Aronne con il suo linguaggio tecnologizzato. Leggo, con attenzione e devozione, le poesie di Tarantino: un crogiuolo di tensioni attraversa i versi, anche lo stile è diverso dalle altre sue raccolte; meno rime, ma non meno musicalità e forte incisività. Ma come! Anche il poeta cantore della memoria perfino di alberi recisi è stanco di tutto e di tutti? Anche Tarantino intraprende, sia pure con autonomo pathos espressivo, un nuovo viaggio che porta a dimenticare tutto, a imboccare nuove vie, più intimiste ed esistenziali? Anche lui sceglie la via della fuga verso la dissoluzione, e dice addio mia bella Calabria addio di te mi sono stancato, e alla malora la memoria putrefatta delle memorie?

Sono intento con i miei interrogativi quando squilla il telefono di casa:

«Pronto?»
«Pronto. Sei a casa?»
«Sì, rispondo da casa! Con chi parlo?»
«Come? Non mi riconosci più? Non è da te. Mi deludi. Se sei un uomo di poca memoria non sei molto atto a gustare poesie. Sono Giacomo.»
«Giacomo Leopardi? Ma da dove chiami?»
«Chiamo dallo Zibaldone e per dirti proprio questo: … un uomo di poca memoria non è molto atto a gustare poesie. E Regina e Tarantino sono artisti in pittura e in parole; sui ceppi degli alberi recisi, voglio ricordartelo, di Mormanno, hanno ideato una mostra sulla poesia e che oggi, a Laino Castello, si istituzionalizza il Giardino della Poesia. Studia bene la loro opera, non essere facilone. Non a caso la presentazione del loro libro è nell’ambito dell’inaugurazione di una Mostra sulle Memorie in Esilio, perché, come io sostengo, gli uomini che non hanno dimestichezza con la memoria non sapranno gustare mai la poesia.»

Un saluto e la cornetta va giù. E così Leopardi, che come tutti i grandi non muore mai, mi dà la dritta per scavare tra i versi complessi di Tarantino e le turbolenze cromatiche di Regina.

Se si fa attenzione, la Calabria di Regina è ben presente anche in questi oli, è presente soprattutto quando scompare nelle pitture astratte, surreali, enigmatiche; è presente nei versi, a volte, disincantati del poeta Tarantino. Certo, gli ambienti cari a Regina non emergono in primo piano in questo lavoro, quanto meno nei termini consueti all’artista, sono appena accennati in alcune opere; prevale, invece, e domina, il colore, che tutto ammanta e tutto esalta ed esprime uno stile maturo e rinnovato, veicola un messaggio forte: gli ambienti sono rivisitati e parlano un nuovo linguaggio. Come a dire che c’è una Calabria che muore, che sfuma, che non ritorna più, c’è un ambito che appartiene inesorabilmente al passato, che fa parte della nostra memoria collettiva e personale, che scompare e sbiadisce sempre più, e una Calabria il cui futuro è ancora incerto, informe, nebuloso, un’astrazione, un enorme punto interrogativo pur in un trionfo di colori che la mano selvaggia dell’uomo non è riuscita ancora, e per fortuna, ad annientare. Calabria presente, Calabria assente, Calabria in fuga, Calabria da ritrovare, Calabria e gli abissi, gli abissi della Calabria, Calabria da ricordare, perché la Calabria viva e vada oltre il grigio orizzonte del presente.
La memoria, in queste pagine, tra pitture e versi, è l’anima che sostiene il tutto senza traumatizzare il cuore e la mente. È una memoria del futuro più che un ricordo senza futuro; una forza in divenire più che una genuflessione alla nostalgia.

Oggi c’è un attacco alla memoria, perché così facendo ci permettono di vivere ma, di fatto, non vivendo, e di morire quotidianamente con l’illusione di essere vivi. I colori accesi, le suggestioni oniriche, le geometrie virtuose di Regina, i versi ora rabbiosi, ora di denuncia civile, ora espressioni di tormenti e angosce di Tarantino sono una risposta al tentativo in atto di narcotizzare cervello e cuore, un campanello d’allarme per restare svegli:

Non ti lascerò tra gli inganni
e ti prometto
che starò più attento a non scivolare
e frangerò le porte
della desolazione.

La memoria non come atto passivo di fuga dalla realtà, ma una piccozza per scalare vette. Un robusto sostegno per guardare oltre il passato e costruire un futuro ben solido, come un albero che svetta tra le nuvole restando ben radicato nella terra ferma. Una collina dolce e austera dove guardare in faccia, a muso duro, l’orizzonte e il suo divenire, verso l’infinito:

È il giallo del grano e il sudore
che mi solleva dal dolore
e mi spinge verso un altrove
dove incontrerò cose nuove.

L’ultima opera pittorica (e la poesia di Tarantino) che chiude, io dico apre, il libro ha come titolo “Orizzonti in divenire”, che diventa, poi, quello dell’intero volume. Anche in questa tela prevale il giallo, striature di rosso, ombre nere; una luna (o un sole?) gialla indica l’alba, oppure il tramonto? A prescindere dall’intuizione e dalla volontà dell’artista, l’opera, una volta consegnata allo sguardo del visitatore, acquista una vita sua, e ognuno può vederci quello che la sua sensibilità riesce a cogliere. Raccoglie benissimo il senso complessivo del lavoro la poesia di Tarantino, un chiaroscuro d’immagini e di sensibilità, segni di ferite e dolori, un percorso di speranze, una ricerca di orizzonti in divenire, un canto che dischiude ansia di avvenire:

Fermo e indefinito quest’orizzonte
che mi si affaccia agli occhi e che m’inquieta
ché s’allontana il tempo del sognare.
Io resto abbarbicato a un sole spento
e di lontano scorgo spazi incerti
infranti senza più luci e senza ombre
che confondono l’anima e lasciano
ferite aperte e piaghe in ogni dove.
Bisognerà scomporre ogni disturbo
gli inciampi, le erranze e lo smarrimento
finché non s’incrina l’affanno e lascia
intravedere – per quanto confusa –
una disarmonia in movimento
che mi rimanda alla disperazione.
Perché il sentiero non è illuminato
e oscura ogni cammino e l’impresenza?
Eppure c’è luce intorno al battito
e il gioco d’ombre si dirada ancora!
Come un canto che arriva da lontano
ti stringe il cuore e dopo lo rischiara
e vedi un orizzonte in divenire.


Intervento in occasione dell’inaugurazione del “Giardino della Poesia”, della Mostra “Poesie in Esilio” e della presentazione del Libro d’Arte “Orizzonti in divenire” di Rocco Regina e Francesco M.T. Tarantino (Edizioni Lepisma, Roma 2013).

LAINO CASTELLO, 10 agosto 2013


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