Non
si allontani il tempo del sognare
di Giovanni Pistoia
«Forse un uomo di poca memoria
non
è molto atto a gustare poesie»
Giacomo Leopardi
Avevo lasciato da poco il mare, era di
un azzurro intenso, la linea d’orizzonte un filo d’argento luccicante; azzurro
intenso anche il cielo; piccole nuvole bianche trasparenti sospese, come perse
in un oceano senza inizio e fine, scavalcavano i monti del Pollino. Attraversavo
la piana di Sibari ammantata dal verde delle pannocchie, che oscillavano appena
mosse da un venticello rovente, come a volermi salutare.
La mattinata era calda, è vero, il sole
esplodeva nella sua potenza, eppure nella mia auto l’aria era eccessivamente surriscaldata,
perfino il condizionatore era andato in tilt. Sentivo come un brusio, un
lamento accennato, qualcosa pulsava ed io cominciavo a guardarmi attorno:
intanto stoppie ansimanti, vestite di giallo, stavano rigide nei campi; fasci
giganteschi di girasoli facevano l’occhiolino al sole.
Sul sedile, alla mia destra, campeggiava
la copertina di “Orizzonti in divenire”, libro consegnatomi, pochi minuti
prima, da Francesco M. T. Tarantino. E il giallo della copertina, con venature
di rosso e qualche accenno di ombra, si scompose: vidi i pennelli intrisi di
arcobaleni del maestro Rocco Regina cambiare il colore alla tela. Quel volume,
prigioniero, mi chiedeva, quasi timidamente, una sosta; aveva bisogno di
respirare, prendere un po’ d’aria. Mi fermai in un viottolo di campagna sotto un
albero ricco di foglie che mi accolse a braccia aperte:
«Accomodati
pure, la mia ombra è la tua e sarà sempre del viandante che vorrà fermarsi fino
a quando qualche mano piccola piccola non vorrà, cancellandosi, cancellarmi.»
Sfogliai il testo, un libro d’arte, un
catalogo, una mostra itinerante di opere pittoriche, un susseguirsi di colori,
quasi sempre accentuati, vibranti, vivaci, suggestivi; una forza della natura:
eppure i paesaggi, sullo sfondo, rari e appena abbozzati, silenziosi. Non un
volto sorridente, non un volto, che strano! eppure dentro quel pennello
un’ansia di colori, squarci di vitalità, tumulti e tuoni e lampi, quasi
tormenti d’animo, voci urlanti in deserti umani, un trionfo di grinta in muti
spazi.
Gli alberi, le piante, l’erba verde e
quella secca che mi circondava; come in un filmato al rallentatore si avvicendavano,
davanti ai miei occhi, i paesaggi e i colori dei monti del Pollino, gli
anfratti e le valli dell’Alto Jonio Cosentino, e quel poema di colori
indescrivibili che è la Sila. E quel giallo, soprattutto quel giallo di Regina
che mi accecava, che mi faceva vibrare: dentro le mani esperte, quel giallo mi conduceva
a quello spavaldo dei girasoli, a quello grintoso della ginestra che pascola
sulle alture, al giallo sfavillante dei limoni che illumina perfino il volto di
un riflessivo Montale, a quello buono del grano d’oro.
Giallo e luce anche quando i titoli
delle opere sanno di grigio: scomparse,
case, disturbi, cavalcavie, vortici, triangolazioni, fenditure,
sembianze, traiettorie, caos, inganni, e potrei continuare. E poi il
rosso: appare in tantissime opere, ora appena abbozzato, ora come sottofondo, a
volte come lingua di fuoco, cespugli di sangue. Il rosso che esplode,
accompagnato dall’immancabile giallo, nella tela dal titolo “Rosso”. E il
vocabolo “rosso” domina nella poesia di Francesco Tarantino che le sta accanto:
versi della nostalgia, dell’inquietudine, della denuncia, del desiderio, dell’illusione
e della delusione:
È
rosso, il rosso dei ricordi;
e
rossa è l’alternanza dei richiami:
la
casa dei fantasmi
e l’inquietudine
dei sogni
con
il rosso dei prati
e
il nero della guerra.
Barriere
rosseggianti
di
miserie e dolori,
intorno
la solitudine
senza
fiori da calpestare.
Restava
un desiderio da colpire:
le
rose rosse con le spine
per
strappare alle stelle
l’incanto
e la promessa
di
un cuore rosso e nuovo che respira.
Nelle opere di Regina ci sono i colori
di Calabria, ma non è una trasposizione meccanica, sia pure attraverso l’uso dotto
delle tecniche pittoriche, dalla natura alla tela, ma molto di più: i colori sono
animati e filtrati dall’anima dell’artista, una personalissima visione del
tripudio dei colori, tra nodi e snodi, vincoli e svincoli, composizioni e
scomposizioni, storie e inganni, geometrie e fantasie, traiettorie regolari e voli
d’artista. La pittura è poesia silenziosa
ma qui, attraverso alcune tonalità di colori, è eco deflagrante.
Intanto un lungo ramo, per attirare la
mia attenzione, penzola sul parabrezza dell’auto:
«Amico
se vuoi continuare a godere della mia frescura dovresti spostarti un poco più
in là, non vedi che il sole batte sul tuo viso?»
Aveva ragione: immerso nella carta
patinata, avevo quasi dimenticato la mia postazione.
Il libro vibrava nelle mie mani: grafica
raffinata, ottima impaginazione, indovinato il grigio delle pagine che esalta
le tele di Regina e le poesie di Tarantino; cantore e interprete, Tarantino,
dei tumulti del pittore e, nello stesso tempo, originalissimo nei contenuti e
dal registro stilistico vario; versi rivelatori sinceri delle tempeste
interiori del poeta.
Una coppia di artisti, un pittore e un
poeta, un caleidoscopio di immagini e una raccolta di poesie, e dentro un
pullulare di emozioni, palpitazioni esistenziali, sussulti del cuore, pacatezza
di sentimenti, struggenti riflessioni, mescolanze di ombre e turbolenze,
aspirazioni e sogni per un’alba che rinnovi per davvero un uomo che scivola
verso scomposte derive, alla ricerca di un faro
dopo aver lasciato finalmente le grotte.
Squilla il telefonino. È tempo di
ritornare a casa. Il campo di granturco è una distesa di verde sotto il cielo azzurrino.
In lontananza un casolare rosso scalcinato, dalla finestra sbrindellata un panno
lacerato bianco. Nessuna presenza umana. No, c’è un uomo dal volto nerissimo
con una zappa in mano che cammina dentro una cunetta ai bordi della strada, e
nulla più.
Bel lavoro questo di Regina e Tarantino,
ma bravi tutti gli altri che hanno lasciato la propria firma: dalle edizioni
Lepisma di Roma al progetto grafico di Francesco Spinelli, dalla fotografia di
Domenico Olivito alla stampa Zaccara di Lagonegro, da Maria Teresa Oliva per
l’attenta rilettura dei testi in correlazione alle immagini alla Comunità della
Cultura di Roma per la collaborazione artistica, allo staff della Sirio per il
supporto tecnico.
Pitture e poesie tenute strette e
coccolate dalla pirotecnica e incandescente prefazione di Francesco Aronne e dalla
serena e acuta postfazione di Dante Maffia che chiariscono, e non poco, l’intero
percorso culturale proposto dai due artisti.
Regina è pittore sensibilissimo e possiede
un pennello che fa magia nelle sue mani, ha immortalato paesaggi e ambienti
della sua terra. Nell’osservare questi oli, che prendono fuoco nel volume, mi
chiedo: dove sono le case, le campagne, i vicoli, i balconi, gli scorci, i
caminetti ripresi nelle varie forme che quasi quasi vedi il fumo che non c’è?
Tutto cancellato? L’artista ha deciso di usare la spugna e dire addio al suo
mondo, di tuffarsi, annullarsi, o esaltarsi, nello sfavillare di colori che
scorticano la vista e l’anima? Come è possibile questo cambiamento di rotta?
Regina, cultore dei suoi ambienti, caccia nel dimenticatoio memorie e ricordi?
Ha rassettato tutto, direbbe Aronne con il suo linguaggio tecnologizzato.
Leggo, con attenzione e devozione, le poesie di Tarantino: un crogiuolo di
tensioni attraversa i versi, anche lo stile è diverso dalle altre sue raccolte;
meno rime, ma non meno musicalità e forte incisività. Ma come! Anche il poeta
cantore della memoria perfino di alberi recisi è stanco di tutto e di tutti?
Anche Tarantino intraprende, sia pure con autonomo pathos espressivo, un nuovo
viaggio che porta a dimenticare tutto, a imboccare nuove vie, più intimiste ed
esistenziali? Anche lui sceglie la via della fuga verso la dissoluzione, e dice addio mia bella Calabria addio di te
mi sono stancato, e alla malora la memoria putrefatta delle memorie?
Sono intento con i miei interrogativi
quando squilla il telefono di casa:
«Pronto?»
«Pronto. Sei a casa?»
«Sì, rispondo da casa! Con chi parlo?»
«Come? Non mi riconosci più? Non è da
te. Mi deludi. Se sei un uomo di poca
memoria non sei molto atto a gustare poesie. Sono Giacomo.»
«Giacomo Leopardi? Ma da dove chiami?»
«Chiamo dallo Zibaldone e per dirti proprio questo: … un uomo di poca memoria non è molto atto a gustare poesie. E Regina
e Tarantino sono artisti in pittura e in parole; sui ceppi degli alberi recisi,
voglio ricordartelo, di Mormanno, hanno ideato una mostra sulla poesia e che
oggi, a Laino Castello, si istituzionalizza il Giardino della Poesia. Studia bene la loro opera, non essere
facilone. Non a caso la presentazione del loro libro è nell’ambito dell’inaugurazione
di una Mostra sulle Memorie in Esilio, perché, come io
sostengo, gli uomini che non hanno dimestichezza con la memoria non sapranno
gustare mai la poesia.»
Un saluto e la cornetta va giù. E così
Leopardi, che come tutti i grandi non muore mai, mi dà la dritta per scavare
tra i versi complessi di Tarantino e le turbolenze cromatiche di Regina.
Se si fa attenzione, la Calabria di Regina
è ben presente anche in questi oli, è presente soprattutto quando scompare
nelle pitture astratte, surreali, enigmatiche; è presente nei versi, a volte,
disincantati del poeta Tarantino. Certo, gli ambienti cari a Regina non
emergono in primo piano in questo lavoro, quanto meno nei termini consueti
all’artista, sono appena accennati in alcune opere; prevale, invece, e domina, il
colore, che tutto ammanta e tutto esalta ed esprime uno stile maturo e
rinnovato, veicola un messaggio forte: gli ambienti sono rivisitati e parlano
un nuovo linguaggio. Come a dire che c’è una Calabria che muore, che sfuma, che
non ritorna più, c’è un ambito che appartiene inesorabilmente al passato, che
fa parte della nostra memoria collettiva e personale, che scompare e sbiadisce
sempre più, e una Calabria il cui futuro è ancora incerto, informe, nebuloso, un’astrazione,
un enorme punto interrogativo pur in un trionfo di colori che la mano selvaggia
dell’uomo non è riuscita ancora, e per fortuna, ad annientare. Calabria
presente, Calabria assente, Calabria in fuga, Calabria da ritrovare, Calabria e
gli abissi, gli abissi della Calabria, Calabria da ricordare, perché la
Calabria viva e vada oltre il grigio orizzonte del presente.
La memoria, in queste pagine, tra
pitture e versi, è l’anima che sostiene il tutto senza traumatizzare il cuore e
la mente. È una memoria del futuro più che un ricordo senza futuro; una forza
in divenire più che una genuflessione alla nostalgia.
Oggi c’è un attacco alla memoria, perché
così facendo ci permettono di vivere ma, di fatto, non vivendo, e di morire quotidianamente
con l’illusione di essere vivi. I colori accesi, le suggestioni oniriche, le
geometrie virtuose di Regina, i versi ora rabbiosi, ora di denuncia civile, ora
espressioni di tormenti e angosce di Tarantino sono una risposta al tentativo in
atto di narcotizzare cervello e cuore, un campanello d’allarme per restare
svegli:
Non
ti lascerò tra gli inganni
e
ti prometto
che
starò più attento a non scivolare
e
frangerò le porte
della
desolazione.
La memoria non come atto passivo di fuga
dalla realtà, ma una piccozza per scalare vette. Un robusto sostegno per
guardare oltre il passato e costruire un futuro ben solido, come un albero che
svetta tra le nuvole restando ben radicato nella terra ferma. Una collina dolce
e austera dove guardare in faccia, a muso duro, l’orizzonte e il suo divenire,
verso l’infinito:
È
il giallo del grano e il sudore
che
mi solleva dal dolore
e
mi spinge verso un altrove
dove
incontrerò cose nuove.
L’ultima opera pittorica (e la poesia di
Tarantino) che chiude, io dico apre, il libro ha come titolo “Orizzonti in
divenire”, che diventa, poi, quello dell’intero volume. Anche in questa tela
prevale il giallo, striature di rosso, ombre nere; una luna (o un sole?) gialla
indica l’alba, oppure il tramonto? A prescindere dall’intuizione e dalla
volontà dell’artista, l’opera, una volta consegnata allo sguardo del visitatore,
acquista una vita sua, e ognuno può vederci quello che la sua sensibilità
riesce a cogliere. Raccoglie benissimo il senso complessivo del lavoro la
poesia di Tarantino, un chiaroscuro d’immagini e di sensibilità, segni di
ferite e dolori, un percorso di speranze, una ricerca di orizzonti in divenire,
un canto che dischiude ansia di avvenire:
Fermo
e indefinito quest’orizzonte
che
mi si affaccia agli occhi e che m’inquieta
ché
s’allontana il tempo del sognare.
Io
resto abbarbicato a un sole spento
e
di lontano scorgo spazi incerti
infranti
senza più luci e senza ombre
che
confondono l’anima e lasciano
ferite
aperte e piaghe in ogni dove.
Bisognerà
scomporre ogni disturbo
gli
inciampi, le erranze e lo smarrimento
finché
non s’incrina l’affanno e lascia
intravedere
– per quanto confusa –
una
disarmonia in movimento
che
mi rimanda alla disperazione.
Perché
il sentiero non è illuminato
e
oscura ogni cammino e l’impresenza?
Eppure
c’è luce intorno al battito
e
il gioco d’ombre si dirada ancora!
Come
un canto che arriva da lontano
ti
stringe il cuore e dopo lo rischiara
e
vedi un orizzonte in divenire.
Intervento in occasione
dell’inaugurazione del “Giardino della Poesia”, della Mostra “Poesie in Esilio”
e della presentazione del Libro d’Arte “Orizzonti in divenire” di Rocco Regina
e Francesco M.T. Tarantino (Edizioni Lepisma, Roma 2013).
LAINO CASTELLO, 10 agosto 2013
In:
Pagina facebook
Nessun commento:
Posta un commento