Voglia di libertà
Giovanni Pistoia
“Era di primo mattino, e il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare appena increspato.
A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data la voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova dura giornata.
Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Livingston. Si trovava a una trentina di metri d’altezza: distese le zampette palmate, aderse il becco, si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscio lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali. Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo… d’un paio… di centimetri… quella… penosa torsione e… D’un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù.
I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore.
Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.
La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov’è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importa tanto procurarsi il cibo, quando volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.”
Penso a questo speciale gabbiano quando mi trovo a osservarne qualcuno planare verso il mare. Ma il gabbiano Jonathan non intende seguire, in maniera acritica, il suo stormo. Vuole di più. Vuole vivere in libertà, cercare altri orizzonti, “pensare” con la propria testa, sbagliare, se necessario, pur di raggiungere vette più alte.
“Il gabbiano Jonathan Livingston” è un classico della letteratura. Richard Bach, con questo libro, ha ottenuto un successo strepitoso. Il gabbiano Jonathan diventa il simbolo della libertà, dell’autonomia, della passione, della volontà e, nello stesso tempo, della voglia di far bene, di imparare sempre, di cercare di raggiungere nuovi traguardi, di scoprire le potenzialità che sono in ognuno di noi.
Un inno alla gioia di vivere, all’ansia di pulizia, alla voglia di cieli azzurri, di aria pulita.
Ne abbiamo davvero bisogno.
Richard Bach
Il gabbiano Jonathan Livingston
Fotografie di Russell Munson
Bur 2008 (cinquantacinquesima edizione)
http://www.bur.eu/
giovannipistoia@libero.it
360.52.52.25
Giovanni Pistoia
“Era di primo mattino, e il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare appena increspato.
A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data la voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova dura giornata.
Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Livingston. Si trovava a una trentina di metri d’altezza: distese le zampette palmate, aderse il becco, si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una torsione tale da consentirgli di volare lento. E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscio lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali. Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo… d’un paio… di centimetri… quella… penosa torsione e… D’un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù.
I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore.
Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.
La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov’è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importa tanto procurarsi il cibo, quando volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.”
Penso a questo speciale gabbiano quando mi trovo a osservarne qualcuno planare verso il mare. Ma il gabbiano Jonathan non intende seguire, in maniera acritica, il suo stormo. Vuole di più. Vuole vivere in libertà, cercare altri orizzonti, “pensare” con la propria testa, sbagliare, se necessario, pur di raggiungere vette più alte.
“Il gabbiano Jonathan Livingston” è un classico della letteratura. Richard Bach, con questo libro, ha ottenuto un successo strepitoso. Il gabbiano Jonathan diventa il simbolo della libertà, dell’autonomia, della passione, della volontà e, nello stesso tempo, della voglia di far bene, di imparare sempre, di cercare di raggiungere nuovi traguardi, di scoprire le potenzialità che sono in ognuno di noi.
Un inno alla gioia di vivere, all’ansia di pulizia, alla voglia di cieli azzurri, di aria pulita.
Ne abbiamo davvero bisogno.
Richard Bach
Il gabbiano Jonathan Livingston
Fotografie di Russell Munson
Bur 2008 (cinquantacinquesima edizione)
http://www.bur.eu/
giovannipistoia@libero.it
360.52.52.25
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