La notte di Elie Wiesel
Giovanni Pistoia
“Notte. Nessuno pregava perché la notte passasse presto. Le stelle non erano che le scintille del grande fuoco che ci divorava. Quando questo fuoco si sarebbe estinto, un giorno, non ci sarebbe stato più nulla in cielo, ma solo delle stelle spente, degli occhi morti.
Non c’era altro da fare che mettersi a letto, nei letti degli assenti. Riposarsi, riprendere le forze.”
È un passo del testo autobiografico di Elie Wiesel, che descrive la cruda e nuda esperienza in alcuni campi di concentramento (Auschwitz e Buchenwald).
Elise, giovanissimo ebreo, appena quindici anni, è deportato insieme alla famiglia, dopo aver conosciuta la vita in un ghetto: una tragedia che colpirà milioni di persone negli anni dell’irrazionalità dilagante, l’emblema della distruzione della ragione.
La distruzione della ragione, con la conseguente lunga stagione dell’odio e del cinismo e della barbarie, ha condotto l’umanità a perdersi in una notte buia, dove anche le stelle esprimono un disagio senza aggettivi. Ma quella stagione della follia nazista e dei vari fascismi, che hanno infangato l’Europa del Novecento (si badi, del Novecento!) è stata davvero il frutto, amaro, della scomparsa della ragione? Oppure la ragione stessa è stata piegata, lucidamente, seguendo una logica aberrante, perché l’uomo massacrasse altri esseri umani in nome della “Razza, la più ingorda di tutti gli idoli”, in nome del potere assoluto? Quindi non irrazionalità in un’alba di delirio ma lento, progressivo, inesorabile disfacimento dell’umanità dell’uomo.
La testimonianza di Wiesel è drammatica. Espressa con chiarezza e disarmante sincerità, sofferta semplicità. Non sono poche le immagini che si fissano nella mente, mentre le pagine si leggono davvero come un romanzo; un romanzo, però, dove tutto è terribilmente vero, fatti e misfatti realmente accaduti, tormenti vissuti da tanti e dallo stesso autore.
Il giovane Elie perde subito la madre e la sorellina (la tenerissima Zipporà), perderà la fede (Dio è morto davanti a quei camini!) e rischia di restare privo della sua stessa umanità, dopo essere diventato solo un numero e spogliato di tutto: vestiti, nome, dignità.
Elie viene liberato, dopo aver perso anche il padre, dal campo di Buchenwald il 13 aprile del 1945, in seguito all’arrivo delle forze alleate contro il nazifascismo.
Solo nel 1955 Wiesel riesce a pubblicare una voluminosa testimonianza della sua drammatica esperienza.
Nel 1958 esce un’edizione ridotta con il titolo La nuit, grazie all’interessamento di F. Mauriac. Nel 2010, la ventunesima edizione ad opera della Casa Editrice Giuntina.
Nel giorno della memoria, ho visto molti adulti aver poca voglia di ricordare. Molti giovani disattenti. Il giorno della memoria rischia di diventare un rito, freddo e burocratico. Lo stesso invito rivolto agli studenti a leggere testi sull’olocausto senza che ciò venga accompagnato da un sano colloquio espone, paradossalmente, ad ampliare isole di insofferenze e di lassismo.
È accaduto e non accadrà più, perché continuare a parlarne? In questa frase un po’ la sintesi dell’imperturbabilità, del disincanto. Eppure non è così. Atrocità sono avvenute sempre; la barbarie nazista è crudele e vicinissima nel tempo, anche se il lume della ragione sembrava potesse trionfare sull’Europa, come ricorda Mauriac nell’introduzione al volume. Altri delitti orrendi si sono verificati (i Gulag, per esempio). Altre crudeltà si compiono ancora oggi in tante parti del mondo senza che se ne parli adeguatamente. Niente è dato per scontato e per acquisito. La ragione dell’uomo è fragile e può essere sempre utilizzata contro se stesso. L’unica arma possibile è comprendere la realtà, prevenirne i guasti. Il ricordo, la memoria, la conoscenza sono antidoti essenziali per un domani che non sia una ricaduta in quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Elie Wiesel
La notte
Giuntina 2010
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