GIOVANNI PISTOIA, La parola e il tempo – pagine sparse, Pozzuoli (Napoli), Photocity,
2013
Ricordo, in maniera approssimativa, una
raccomandazione di Luigi Einaudi, stare attenti anche a un appunto preso per
fare la spesa, potrebbe servire per ricostruire momenti importanti
dell’economia, per illuminare percorsi che altrimenti prenderebbero una piega
imprecisa. Questo suggerimento mi ha fatto sempre tenere in gran conto gli
appunti degli scrittori, i loro taccuini, le lettere, tutto ciò che sembra
essere casuale e che poi si rivela necessario per molteplici aspetti. E in gran
conto ho tenuto sempre anche le “pagine sparse”, quelle che uno scrittore
realizza fuori dai progetti. Spesso si sono rivelate fonti inesauribili per
comprendere meglio le opere maggiori, i testi strutturati e organizzati. Ecco
perché, quando ho avuto tra le mani La
parola e il tempo di Giovanni Pistoia ho subito pensato che attraverso
questi scritti potevo ripercorrere la sua vita e dare maggiore senso a tutta la
sua produzione.
Nella Nota introduttiva Pistoia specifica il senso e la portata della sua
operazione dicendo che si tratta di “Scritti che si vogliono offrire, come
semplice riflessione, non a pochi, ma a tanti, senza alcuna pretesa, né
nozionistica né dispensatrice di facili soluzioni…”. In realtà egli è
consapevole della preziosità di questi scritti e ne conosce la valenza sociale
e politica e sa quindi che sortiranno un effetto che solleverà una serie di
meditazioni.
Trenta anni di vicende offerte con il piglio del narratore, imperniate per lo più sulle
questioni che riguardano Corigliano Calabro non passano inosservate e
certamente faranno riflettere sia gli amici e sia i nemici dell’autore, perché
molti si sentiranno scoperti nella loro incapacità a comprendere questioni che
si sarebbero potuto risolvere agevolmente e che invece sono state lasciate a
marcire nell’attesa più stupida e vuota che si possa immaginare.
Al fondo dell’insieme degli scritti c’è
il rammarico che il suo paese abbia perduto delle occasioni che ormai hanno
creato, tra l’altro, alcuni dissesti e hanno sospinto verso uno stato d’animo
di popolazioni perdenti che perdura nell’immaginario. Ma fare agli inetti,
sembra voler dire Giovanni Pistoia, il ripasso dei loro errori, della loro
mancata adesione al bene comune non fa male e mette scomodi, perché Giovanni
non ha tagliato, menomato o ripulito della passione del momento le sue pagine e
perciò se ne avverte ancora l’indignazione, la calda partecipazione che mirava
alle soluzioni di tanti progetti.
Isnardi era solito ripetere che tante
briciole fanno un pane e dunque questo pane Giovanni Pistoia ce lo offre,
convinto che possa giovare a rivisitare irrisolti problemi d’ogni genere. Del
resto ormai la microstoria ha trovato finalmente la sua degna collocazione
all’interno di quella che viene chiamata semplicemente la Storia con la
maiuscola. La microstoria offerta da questo libro è documento prezioso che
andrà a fiorire chissà dove e basta questa speranza per “giustificare” una
fatica del genere, per capire che Giovanni Pistoia rende un servizio importante
alla sua comunità facendolo senza toni alti, senza rimproveri, ma non
modificando comunque nulla, come dichiara, da come gli scritti furono in
origine concepiti e pubblicati.
Roma, aprile 2013
Dante
Maffia
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