martedì 10 dicembre 2013

Rosanna GIOVINAZZO/ Alle radici del presente di Giovanni Pistoia





Una NOTA di Rosanna GIOVINAZZO a proposito del volume:

“ALLE RADICI DEL PRESENTE. CALABRIA: vita morale e materiale in un manoscritto del Seicento” di Giovanni Pistoia, seconda edizione, Photocity edizioni, ottobre 2013.


“Alle radici del presente - CALABRIA vita morale e materiale in un manoscritto del Seicento” di Giovanni Pistoia è un testo che offre un valido contributo alla ricostruzione storica ed alla conoscenza di particolari inediti riguardanti un periodo della nostra storia regionale: il Seicento. Si tratta della trascrizione di un manoscritto del XVII secolo conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana: Ms. Barberino Latino 5392.

Giovanni Pistoia ha avuto il grande merito di pubblicare questo manoscritto che ha come titolo “Relazione della Provincia di Calabria, e dello Stato di essa così nel Temporale come nello Spirituale” nella sua versione integrale, essendo stata, in parte, già pubblicata dal celebre bizantinologo nonché studioso della Calabria, Silvio Giuseppe Mercati (1877-1963). Nello specifico, il Mercati pubblicò nell’Archivio storico per la Calabria e la Lucania (12, a. 1942) con il titolo Calabria e calabresi in un manoscritto del XVII sec., le parti che ritenne utili per la conoscenza di fatti storici e di costume e società della Calabria del ‘600. Tralasciò invece, in massima parte, le parti riguardanti le origini e gli aspetti fisici e ambientali, ripromettendosi però di pubblicare la relazione per intero, in seguito. Ma ciò, in realtà, non avvenne. Passi della Relazione furono anche pubblicati in alcuni articoli della rivista Il Serratore a firma di Peppino De Rosis (n. 37/1995) e di Luigi De Luca (n. 38/1995).

L’autore della Relazione è ignoto e, secondo Giuseppe Mercati, non è calabrese ma, probabilmente, lombardo o piemontese, e ciò è deducibile da alcuni passi della relazione stessa. Inoltre, l’autore visse a Roma e scrisse la Relazione dopo aver visitato la Calabria, su incarico del Santo Uffizio. Non si conosce esattamente la data in cui fu scritta ma, da particolari inseriti nel testo (descrizione della Certosa di Serra San Bruno e del Convento di San Domenico di Soriano che, all’epoca della visita dell’autore, sono intatti) si può affermare che sia stata scritta prima del terremoto del 1659. Compongono il manoscritto 34 fogli cartacei, il cui contenuto viene suddiviso da Giovanni Pistoia in 46 paragrafi per rendere la lettura e la comprensione della Relazione stessa più agevole.

Paragrafi che riguardano gli aspetti storici, partendo dalla mitica fondazione di Reggio ad opera del pronipote di Noè, Aschenez, per giungere all’epopea omerica, alla gloriosa Magna Grecia, ai Bruzi, alle dominazioni romana, bizantina, normanna fino alle altre succedutesi fino agli Spagnoli. E poi, aspetti geografici, paesaggistico-ambientali (molto interessante il paragrafo riguardante la Sila) e quelli riguardanti la fauna, i prodotti: dai frutti alla seta, dal sale ai metalli, ai coralli che si pescano da “Pavola fino al Golfo di Sant’Eufemia…e nel Mar di Levante intorno al Promontorio di Leucopetra o Capo dell’Armi”, alla manna che si trova in molte parti della regione e che è di tre tipi: “manna di fronda, manna di corpo e manna sforzata.” E ancora, le more che in Lombardia vengono considerate “frutto singulare” e i cedri e limoni “d’ogni sorte”, la pesca “molto famosa non solamente per la quantità, ma molto più per la qualità de’ pesci onde abbondano queste riviere…” e la descrizione, veramente suggestiva, della pesca del pesce spada dello Stretto. Insomma, una descrizione fin qui idilliaca, di una Calabria bella e selvaggia, in ciò seguendo il mito di una Calabria terra favolosa, avvalorato da molti viaggiatori e letterati, mito  che, per certi versi, sopravvive ancora oggi in un parziale e “patriottico” atteggiamento descrittivo e valutativo di molti che propendono per una visione idilliaca, venata magari da una colta nostalgia per l’età dell’oro della Magna Grecia, che sarebbe più che giusta se, ad essa, si affiancasse un’analisi attenta ed obiettiva dei problemi, delle ambiguità e delle miserie di questa terra martoriata.

Ma, addentrandosi in aspetti relativi alla società e alla vita degli uomini, l’autore della Relazione sembra cambiare repentinamente nei toni descrittivi e ci presenta una realtà difficile e amara. Così come aveva già fatto, oltre un secolo prima, il monaco domenicano Leandro Alberti che nella sua Descrittione di tutta Italia,avendo visitato la Calabria, offre di essa un quadro desolante in quanto a povertà delle popolazioni calabresi che nelle loro case avevano “la tavola ignuda con qualche vaso di terracotta, però pochi, con qualche frutta per il suo viver del giorno…” (Gustavo Valente, Leandro Alberti in Calabria, Tac, Cosenza 1968).

La realtà che ci presenta l’anonimo estensore della Relazione è via via sempre più dura e cruda, dalla descrizione della gente di “bassa mano” che vive di “tristo pane e di acqua pura”, alla denuncia della brutalità del Fisco e della prepotenza di soldati e baroni. E poi l’Amministrazione della Giustizia che è una farsa perché “non s’ha riguardo al pubblico bene de’ sudditi, ma ciascheduno de’ Ministri è intento al proprio guadagno”, per non parlare dei Tribunali ecclesiastici, anche questi corrotti al massimo livello, così come vengono denunciati l’”incorrigibile licenza de’ Chierici”, lo stato di abbandono e di trascuratezza di riti ed ornamenti religiosi non perché “si dee recar la colpa alla scarsezza dell’entrate Episcopali, come che non possano supplire al sostentamento de’ Vescovi e alle necessità delle Chiese…” e l’abuso scandaloso delle chiese-rifugio che, da luogo di sicurezza per chi aveva commesso reato, si trasformavano in luoghi dove “s’introducono conversazioni indegne, comerci lascivi, vi si trionfa colla crapula, vi si trattiene col giuoco, vi si esercitano quelle disonestà, che ne’ postriboli istessi obbrobriose, e sozze vengono riputate…”

Interessanti anche i paragrafi riguardanti i Monasteri le cui chiese, spesso, risultano essere “desolate, diserte, rovinose, cadenti, scoperte alle pioggie, e ridotte in sembianza di luogo profano giudicato all’apparenza anzi ricetto d’immondi animali, che Tempio di Dio, senza che alcuno si prenda pensiero di risarcirne le rovine, o ripararle”; l’Abbazia della Trinità di Mileto, fondata dal conte Ruggiero; la Certosa di Santo Stefano di cui vengono elogiate alcune opere come il Tabernacolo, per la “ricchezza della materia e la sottigliezza del lavoro” ed il Coro e la Sagrestia per “fattura d’intaglio”; il Convento di San Domenico a Soriano, il più illustre fra i Conventi degli Ordini  Mendicanti famoso “per la quantità de’ miracoli ch’ivi alla giornata succedono in virtù di un’immagine di San Domenico…”

Infine, l’anonimo estensore della Relazione dedica la sua attenzione anche a quelle che oggi definiremmo minoranze religiose, ma che all’epoca erano considerate e trattate da sette eretiche con tutti i risvolti discriminatori, tragici e sanguinosi che conosciamo: i Valdesi di “Guardia, Vaccarecio, e San Sisto” e gli Ebrei soprattutto di Catanzaro.

Appare evidente che, nel manoscritto, la visione della Calabria come terra bella, verde, fertile, ricca di risorse minerarie, dal mare pescoso, insomma una regione baciata dalla fortuna, venga, in un certo senso, oscurata dalla tragicità della realtà socio-politico-economica, che è espressa con obiettività e con una sottesa tensione morale dell’autore, volta alla rivendicazione di una società più giusta, tali e tanti sono i soprusi, la miseria, il degrado morale e materiale cui assiste durante il suo viaggio in Calabria.

Una testimonianza, quella dell’anonimo autore di questa Relazione, che andava assolutamente divulgata sia per la preziosità delle notizie che per il rigore, direi scientifico in senso lato, con cui è stata scritta. Del resto l’importanza della Relazione non è sfuggita al prof. Giuseppe Galasso che nel suo volume “La Calabria spagnola”, edito da Rubettino nel 2012, ha ampiamente citato il lavoro di Pistoia (la prima edizione de “Alla radice del presente” risale, infatti, al 1996).

Un plauso dunque va a Giovanni Pistoia per aver realizzato quest’opera di trascrizione del manoscritto, la cui lettura è stata facilitata dall’ampia e chiarissima sua introduzione, che rivela, a monte, un appassionato ed attento lavoro di ricerca.

Rosanna GIOVINAZZO
Dicembre 2013

Giovanni Pistoia
ALLE RADICI DEL PRESENTE
CALABRIA: vita morale e materiale in un manoscritto del Seicento
seconda edizione
Photocity Edizioni, 2013




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