venerdì 13 marzo 2020

GIOVANNI CASERTA, Dante settecento anni dopo 1321-2021, Potenza, Villani Editore, 2020, pp. 263. All’interno disegni di Franco Carella.




“… Non di rado, alcuni professori, pensando di sbalordire, si perdono fra mille  considerazioni critiche e discettazioni sulla struttura, sulla distribuzione delle anime, sul nome dei singoli cori angelici, e altre cose di tal genere”. Sono parole prese dall’”Introduzione” di Caserta a questo “Dante” che finalmente ha trovato un interprete in grado di suggerire l’importanza della poesia, non gli orpelli, che riguardano “gli studiosi. L’alunno ha bisogno di sentire la poesia e farsene trasportare. Questo è il compito  della scuola, che deve soprattutto educare, affinare la sensibilità, dare valori…”.
Chiaro, dunque, il libro è destinato soprattutto ai giovani in modo da poter entrare nel palpito, nel vivo di un mondo che, ancora e sempre, dice e dirà di un viaggio da compiere per scoprire l’essenza umana, la verità del divenire.

All’Università sono stato allievo di Giorgio Petrocchi e si può dunque immaginare quanta fatica ho dovuto fare impegnandomi in percorsi filologici interessanti e noiosi. Una volta non mi tenni dal dire al Maestro che forse Tommaso Campanella aveva ragione a non considerare la filologia. Se niente produce di affascinante, come nel caso dell’Alighieri, allontana moltissimi dalla strada principale, cioè dalla poesia.

Personalmente a me non importano le beghe fiorentine e la memorizzazione di tanti nomi illustri e meno illustri, se non per toccare il polso alle irritazioni e alle rivendicazioni del poeta che poi trasforma in poesia qualsiasi cosa, allontanandola dalla contingenza, portandola su un piano in cui tutto diventa metafora concreta, accesa, direi verificabile. Ecco perché siano benvenuti i libri come questo di Giovanni Caserta. Grazie ai quarant’anni di dimestichezza con la “Commedia”, è riuscito “in stile facile, piano, armonioso” a darci “quasi un racconto o romanzo”, lo dice Villani, facendoci finalmente “gustare” la terrestrità angelica di parole che hanno saputo attingere alle verità eterne e suggerne le valenze universali.

Giovanni Caserta ha la capacità di accompagnarci cantica dopo cantica senza imporci nulla. Si sostituisce a Virgilio e si pone davanti la lettore disarmato e semplice coinvolgendolo ma senza imporre nulla e nulla trascurando della bellezza della poesia. Non è facile riuscire a “insegnare come l’uom s’eterna”, non è facile trovare la misura e dipanare il groviglio dantesco per trarne limpidamente i fili d’oro dalla matassa ingarbugliata e appesantita spesso, tra l’altro, da secoli di critica che ogni lettore di Dante ha sulle spalle, a cominciare da Barbi, da Singleton, da De Sanctis e da Croce fino ad arrivare a Natalino Sapegno, a Edoardo Sanguineti e ad Enrico Malato, per fare appena qualche nome.

Devo dire che ho cominciato a leggere il libro di Caserta con un minimo di diffidenza. Pur conoscendo il valore e la profonda cultura di un maestro come lui, temevo di dover affrontare di nuovo i mille nodi di postille che portano alla noia. Non amo quello che lui stesso chiama le discettazioni… ma via via che andavo avanti mi rendevo conto che Giovanni Caserta spesso e volentieri si è nutrito della sostanza della “Commedia” non ingoiando e supinamente accettando gli insegnamenti dall’alto. Egli ha vissuto e rivissuto il Poema facendolo diventare suo sangue, riuscendo a individuare la carnalità d’un messaggio che è innanzi tutto umanità tesa a vedere e a riveder le stelle.

Caserta ha qualche precedente che, seppure con modi e maniere critiche e divulgative diverse, pone in essere la consistenza d’un messaggio che non appare mai tale se lo si vive come suggerimento. Mi vengono in mente i nomi di Giovanni Papini, del poeta russo Osip Mandelstam, di Piero Bargellini. Intendiamoci, tre modi diversi di leggere e di intendere, ma tre modi che hanno saputo dare significato all’attualità di una poesia che, pur carica di errori scientifici e di beghe strettamente fiorentine, non ha perso nulla della freschezza del dettato che fa fiorire l’animo e lo accende di propositi sempre tesi alle verità dell’essere.

Qui si aprirebbe il solito, mai risolto problema dell’attualità di Dante e, in genere, dei poeti del passato, naturalmente soltanto per i pedanti che ancora credono che la Poesia appartenga al  tempo della sua scrittura e non a quello senza tempo.

In questi giorni ho provato a leggere anche gli scritti su Dante di alcuni grandi poeti del Novecento tra cui quello di Eugenio Montale. Lo so che irriterò molti, ma diciamolo una buona volta che Montale non poteva capire la libertà del folle volo. Il suo scritto perciò va avanti e indietro affermando e negando. Ma Umberto Saba l’aveva capito. Ne aveva subito come ferite le ondate di emozioni ricevute e ancora continuava a dire, nella vecchiaia, che il più bel verso della poesia di tutti i tempi è “La bocca mi baciò tutto tremante”. E’ un’indicazione da tenere in sommo conto. Giovanni Caserta ha tenuto in sommo conto la forza della poesia di Dante, ne ha messo in rilievo la possanza, la bellezza, la naturalezza, la necessità. Sì, la necessità. E questo la dice lunga sulla sua sensibilità di uomo, di professore, di studioso attento, acuto, profondo.

Dante Alighieri è sicuramente orgoglioso di aver trovato un interprete come lui, un amico così fedele e leale.

DANTE MAFFIA


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