domenica 6 dicembre 2020

Il Natale di Rodari di Giovanni Pistoia


 Giornata tempestosa oggi, vento e pioggia a dire basta. Il sole non è apparso neanche per un secondo. E per chi come me ha bisogno dei suoi raggi più del pane sono tempi amari. La lettura è uno dei miei rifugi per restare nel mondo. Non è mai una fuga un buon libro; è solo un viaggio ben organizzato che, comunque, non sai dove possa portarti.

Ho ripreso nelle mani un volumetto di Gianni Rodari (alla mia età, dirà qualcuno; è così, alla mia età!). Il titolo è «Il giudice a dondolo». L’ho letto gioiosamente; i racconti di Rodari si leggono con facilità, ti afferrano per mano, tengono compagnia, e ti fanno anche riflettere. Tra i testi, uno brevissimo dal titolo Il bimbo, che mi piace sottoporre alla vostra attenzione poiché fra non molto sarà Natale. Un Natale quest’anno diverso dai tanti fino ad ora trascorsi. Dovremo essere prudenti per sconfiggere la pandemia che ha colpito il mondo. Un piccolo, microscopico virus, un esserino invisibile se non agli occhi attenti di studiosi con l’ausilio di mezzi tecnologici, sta seminando morti e angosce. L’uomo è fragile, ma è prendendo atto della sua fragilità che, forse, può trovare la forza per piegare il mostro e vivere, non proprio felici e contenti come nelle favole, ma certamente con più serenità, e godere delle bellezze che la terra conserva, nonostante l’uomo non si sia dimostrato, nel tempo, un intelligente custode.

Rodari era un maestro nei racconti brevi e fulminanti. Nella sua attività di giornalista, attento alle cronache delle città e paesi, ha disseminato, nei giornali e riviste, la sua passione di narratore. Il raccontino Il bimbo apparve, per la prima volta, il 25 gennaio 1948 su «l’Unità». Fu letto dai lettori di quel giornale che, essendo un quotidiano, fu subito messo da parte per cedere posto al numero del giorno dopo. È il destino del quotidiano: ha vita breve.

Vi fu, però, un lettore, giornalista anche lui, docente ma attento studioso di letteratura, che capì subito il valore di quei testi, li studiò e li raccolse con cura in una cartellina. Ne mise insieme un bel po’, li cucì in maniera armonica. Si rese conto che, predisponendoli organicamente in ben ragionate raccolte, quegli scritti acquisivano altri sapori; si gustavano come si fa con il pane caldo. Ne fece così vari libri.

Il bimbo fu messo accanto ad altri in un volumetto, che prese il nome di altro racconto, Il giudice a dondolo. Quel lettore, che tanto contribuì a valorizzare l’opera di Rodari, era Carmine De Luca. Curò il libro, che fu pubblicato nel 1989 dagli Editori Riuniti di Roma, con la prefazione di Giuliano Manacorda. De Luca stesso firmò una brevissima quanto istruttiva nota introduttiva. E così anche grazie a lui tanti lettori ebbero modo di conoscere questi racconti di Rodari. Più recentemente, nel 2013, l’editore Einaudi ha ristampato il libro con la prefazione di Mario Di Rienzo, che ben illustra in quale contesto questa raccolta si colloca tra i tanti altri di Rodari. E, tra le tante cose interessanti che scrive, afferma «… se oggi gli studi sull’opera di Rodari hanno allargato i loro orizzonti e sono diventati molto più agguerriti e affidabili, lo si deve anche al lavoro di ricerca, scavo e sistemazione fatto da Carmine De Luca.» E ora buona lettura in compagnia de Il bimbo.

 

***

 

La notte di Natale il Gran Ministro non può dormire.

Ad un tratto sente battere alla porta.

- Avanti, - grida con voce irritata.

La porta si apre timidamente, appare un bambino dal ciuffo nero, non più alto dello stivale delle guardie del Gran Ministro.

- Tu chi sei? Che cosa vuoi?

- Voglio il mio papà.

- Non so nulla di tuo padre. Vattene.

- Sì, tu lo hai fatto mettere in prigione dalle tue guardie. Era un disoccupato e chiedeva lavoro.

- Vattene, moccioso, - dice il Gran Ministro.

- Non ho tempo da perdere in chiacchiere. Devo preparare i doni di Natale per i miei figli.

- Io non l’ho avuto il dono di Natale, sai. A me non me ne importa, ma i miei fratellini hanno pianto tutto il giorno.

- Vattene altrimenti ti farò gettare fuori dalle mie guardie.

- Perché non provi a chiamarle? – dice il bambino.

- Guardie, a me! – grida il Gran Ministro con la voce che fa tremare tutto il palazzo.

Ma le guardie non arrivano. Forse si sono ubriacate e dormono nelle stanze più lontane. Il Gran Ministro spalanca la porta che dà sul corridoio, si affaccia per chiamare di nuovo ma la voce gli si ferma in gola.

Il corridoio è pieno zeppo di bambini piccoli e neri nei loro abitini leggeri e strappati: guardano tutti in faccia al Ministro con gli occhi dolci e severi senza dire una parola, gli mostrano i piedini coperti di geloni, molti hanno una fascia a lutto sul braccio.

-Vedi? – dice il bambino dal ciuffo nero alle spalle del Gran Ministro. – A quello là le tue guardie gli hanno ucciso il papà in mezzo alla piazza: era un povero contadino affamato.

Il Ministro chiude la porta con fracasso, si precipita alla finestra, la spalanca: anche il giardino è pieno di bambini, tranquilli e quieti, con gli occhi dolci e severi.

- Guardie! – chiama il Ministro.

I bambini lo guardano in silenzio.

- Sono venuti a chiederti il loro papà, - dice il ciuffo nero alle sue spalle. Il Gran Ministro si volta.

Ma come si è cambiato, adesso, il bambino! È tutto sporco di sangue, ha delle lividure in faccia, delle ferite aperte in ogni parte del corpo. Ha un’aureola attorno al ciuffo.

È lui, il Bimbo, non lo avete ancora capito?

- Perché mi hai picchiato? – dice al Gran Ministro. – Ogni volta che facevi picchiare dalle tue guardie gli operai e i contadini, facevi picchiare me. Ogni volta che facevi piangere uno di quei bambini innocenti, ero io che piangevo. Non tentare di baciare la croce che hai sul petto, non ti serve a niente. Siamo venuti per non lasciarti mai più; sei il nostro prigioniero. Perché non chiami le guardie? Perché non ci fai picchiare con i manganelli? Perché non ordini di caricare i fucili? Tu, Gran Ministro, perché non puoi dormire?

 

***

 

Altre volte Rodari si è chiesto quanto pesasse una lacrima di un bambino capriccioso, e la risposta fu: «meno del vento» e quanto, invece, quella di un bambino affamato, e la risposta fu: «pesa più di tutta la terra.» Sono trascorsi settantadue anni, settantadue Natale, da quando Gianni Rodari scrisse questo raccontino. Moltissime cose sono cambiate. Per esempio, si parla sempre meno di contadini (secondo alcuni quasi scomparsi), di operai che non sono più identificati come classe, come si diceva tanto tempo fa. La parola disoccupato è sempre di moda, purtroppo. Bambini vittime di guerre, della fame, ve ne sono ancora tanti. Altri li vediamo che naufragano nei nostri amati mari, perché non riescono a raggiungere la spiaggia. Li notiamo distrattamente attraverso la televisione, mentre siamo a pranzo o a cena. Quello che permane inalterata è l’ipocrisia degli uomini. Ce ne andiamo in giro con la croce sul petto, oppure appiccicata alle orecchie, ai polsi, perfino tatuata sulla pelle. Povero Cristo ridotto a icona del vuoto e del nulla. Un orpello. E tutti a dimenticarci del suo messaggio, forte e rivoluzionario, per chi crede e anche per chi non crede; un messaggio tutto teso a favore di chi non ha, e spesso chi non ha non è. Invisibile a tutti. Il Natale che ci accingiamo a ricordare, proprio per le condizioni in cui siamo costretti a viverlo, è l’occasione buona, non tanto per vedere le pagliuzze negli occhi degli altri, ma per osservare le travi che ci portiamo nei nostri. Sperare di darsi una mano per il trionfo di un po’ di umanità è doveroso, così come è doveroso lavorare concretamente perché il miracolo si realizzi e, come ci ricorda ancora Rodari in una bella filastrocca, se ci diamo la mano i miracoli si fanno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno.

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