mercoledì 30 dicembre 2020

FRANCESCANTONIO MAZZARIO, La elezione del deputato nel Collegio di Matera in marzo 1867, - Introduzione e cura di GIUSEPPE TREBISACCE, Rende (CS), Jonia Editrice, pp. 123 [letto da Dante MAFFIA

Ha fatto bene Giuseppe Trebisacce, nella sua Introduzione, a richiamare il momento in cui la microstoria ha assunto un ruolo non più marginale rispetto alla grande storia. Prima si consideravano gli imperatori e i condottieri, i regnanti e al massimo i generali, come se la gestione di un popolo o il combattimento di una guerra fossero merito solo e soltanto di una persona. Finalmente giustizia è fatta, direbbe un grande amico scrittore, ma è fatta soprattutto perché studiosi della profondità e della serietà di Giuseppe  Trebisacce non hanno mai abbandonato la ricerca per ridisegnare gli eventi nella loro essenza, nella loro verità spicciola, periferica.

 Prova ne è la scoperta, come altrimenti chiamarla?, di questa vicenda rimasta sepolta per quasi un secolo e mezzo, anche se nelle dicerie paesane, nei racconti dei nonni e dei bisnonni si vociferava di Francescantonio Mazzario come  difensore della giustizia, uomo colto che conosceva non solo la “Commedia” di Dante Alighieri, ma anche le opere di Orazio, di Seneca, di Campanella e di Alfieri.

 Pesco queste reminiscenze di notizie nella vaghezza di ciò che raccontava mia nonna o Zi Mingo Capitano che quasi settanta anni fa mi teneva fermo per ore davanti al camino in ininterrotte trame di vicende variegate e colorate di un acceso e ingenuo romanticismo che ripercorreva gli accadimenti e i personaggi di Roseto.

 Ma torniamo al libro che Giuseppe Trebisacce ci ripropone illustrandone, nella sua illuminante introduzione, i pregi, quelli obiettivi, e proprio per evitare che sia solo e soltanto amor di patria.

 Ma prima dello scritto di Trebisacce ci sono delle pagine di Rosanna Mazzia, Sindaco di Roseto Capo Spulico, che spiegano che cosa significa recuperare la memoria, che cosa sono le radici  di un popolo e a che valgono.

 “Gli scritti che si è scelto di ripubblicare, arricchiti  da  note  esplicative  delle  parti  di  minore comprensione, offrono  al  lettore  la  riproposizione  di  tutti i mali  che  contraddistinguono  da sempre la politica (con la minuscola) al punto che gli scritti appaiono contemporanei, infarciti come sono di riferimenti alla corruttela, al clientelismo, al trasformismo, al collateralismo, alla compravendita di voti, ma anche al rampantismo, al qualunquismo e all’approssimazione”.

 Attualità a parte, i documenti sono la prova lampante che niente nasce per caso e niente si evolve se in una società, piccola o grande che sia, non ci sono uomini che seminano fermenti, idee che circolano, proposte che tentano di rinnovare la maniera di vivere, l’organizzazione delle istituzioni.

Mi pare che Francescantonio Mazzario sia stato un uomo che aveva una saggezza e una visione della comunità con vedute di vera democrazia. Non si era arroccato sui privilegi che la sua condizione economica e sociale gli dava, ma si era messo in gioco presentandosi alle elezioni a deputato nel collegio di Matera nel 1967.

 Non aveva vinto, non era un facinoroso, un intrigante  e  così la “Penisoletta”, come Zanotti Bianco chiamò l’Alto Jonio, la “Cenerentola”, come lo definì Don Pietro De Tomamso, senza un fautore convinto, senza un difensore che conosceva le piaghe dilaganti di Roseto e degli altri paesi, rimase indietro, abbandonata  ai capricci e ai soprusi di dispotici proprietari di terre, baroni o delinquenti.

 Non entro assolutamente nella questione apertasi tra Francescantonio Mazzario e Nicola Franchi, nella loro dialettica che pure ha dei momenti di sana lezione politica intensa nella più umana ed equilibrata accezione, ma affermo che questa operazione culturale, saggiamente culturale, aperta di Giuseppe Trebisacce, possa avere un seguito sempre più agguerrito e fattivo. Non è casuale che le note esplicative siano puntuali e precise per fare in modo che la lettura sia agevolata e non fraintesa.

 Si vedono segni di studio di microstoria a Cassano Jonio, a Corigliano Calabro, a Morano, a Rossano e quindi la fioritura è cominciata. E non è fioritura che deve accendere soltanto l’orgoglio campanilistico, deve semmai dare la consapevolezza che non siamo figli di nessuno neppure quando siamo cresciuti sulle falde del Pollino, nei Sassi di Matera, nella malaria di Sibari. Le radici hanno un senso straordinario per darci la dignità, non la superbia di essere apparentati  a Pitagora, ma la convinzione che ci fu un seme che germogliò, poi fu seminato e riseminato e se ne sono avute diversità, ma sempre in cammino.

 Grazie Rosanna Mazzia, grazie Giuseppe Trebisacce di questa lezione di storia che, se sarà letta con pacata adesione diventerà  fermento etico ed estetico, coscienza di fare parte di una identità di uomini veri.

 

 

 


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