venerdì 8 gennaio 2021

Il cavallo saggio (che uccideva i microbi) di Giovanni Pistoia



 C’era una volta un cavallo molto saggio, aiutava le vecchine ad attraversare la strada nei giorni di pioggia. Per loro gettava ponti di barche sulle pozzanghere. Però le vecchine un po’ per goffaggine o impazienza cadevano dai ponti (poveretti!). La piena le trascinava dal Ticino al Po, dal Po all’Adriatico, che si riempiva di vecchiette. Ce ne erano migliaia da Cervia a Cesenatico, se ne stavano nell’acqua fino al piloro facendo la calza (facendo la calza?!) e borbottando continuamente, tanto che sembravano delle sirene di mercatili.

     Che storia strambatala! un po’ bizzarra e un po’ anche drammatica. Ma proseguiamo. La gente è chiusa nelle case per ripararsi dal malocchio, e sentiva sirene. E diceva che verrà la carestia e i nostri bambini piangeranno e ci chiederanno pane, e la colpa sarà di tutte quelle vecchie che ostruiscono con le loro sottogonne la foce del Po. La situazione era davvero critica. Bisognava provvedere. Ma che storia bislacca! Leggiamo il seguito. Dicevamo: la gente non ne poteva più. E così si rivolse a un certo cavallo saggio, che stava da quelle parti. Un cavallo saggio? E cosa faceva per essere definito saggio? Fumava la pipa! Ma questa è una stramberia?! Non solo fumava la pipa ma uccideva i microbi -ah, ecco!- e aveva un sistema tutto suo per liberare i bambini dai vermi, oltre al fatto che aiutava i vecchietti. Forte di questa riconosciuta autorità, la gente chiese al cavallo saggio di intervenire, di risolvere il dramma.

Il cavallo, che era saggio e non stupido, capì. Comprese che era tempo di prendere provvedimenti e si accinse alla bisogna con le migliori intenzioni. Ma cosa avvenne? Che i provvedimenti non si lasciarono prendere. Saltarono sul tetto della casa del parroco e invocarono il diritto d’asilo, e da lassù bersagliarono i passanti con tegole marce e nidi di rondine. La gente si assembrava sempre più sul sagrato, e chi patteggiava per il cavallo saggio e chi si schierava a favore dei provvedimenti. Ma ben presto i cittadini cominciarono a schierarsi contro di loro. Così cominciò la caccia ai provvedimenti che più nessuno ormai osava difendere; erano in realtà provvedimenti molto impopolari. I provvedimenti non si lasciavano prendere, il cavallo saggio non riusciva più a salvare le vecchiette e a uccidere i microbi; la confusione era sempre più triste. Il cavallo saggio non resse la tensione e si ammalò gravemente.

Il suo grido di dolore fu ascoltato dal fratello minore che, pur essendo lontano in altri luoghi, capì cosa stesse succedendo e di quali famarci il saggio fratello avesse bisogno. Si sarebbe sicuramente salvato, e con rinnovate energie ritornato alle sue utili occupazioni. Ma bisognava recapitargli con urgenza il farmaco. I cittadini informati si dettero subito da fare. Un ciclista si offrì di portare le pastiglie, inforcò la biciletta a vela e il vento lo spinse veloce. Tutti gli altri a fargli largo con impegno degno di onesta causa comprendendo l’importanza degli avvenimenti, e servendosi degli strumenti che si trovavano a portata di mano in quel tempo, spianarono montagne, gettarono ponti sui fiumi, insomma fecero di tutto e di più per facilitare il compito del ciclista. Il risultato di questo magnifico sforzo collettivo, come dire nessuno si salva da solo, fu che il farmaco arrivò in tempo e il cavallo saggio, recuperate le forze, catturò i provvedimenti, li costrinse a bere le pozzanghere e così le vecchiette poterono attraversare la strada all’asciutto e non intasare più la foce del Po. Ma, soprattutto, il saggio cavallo poté continuare a uccidere i microbi. Li uccideva uno alla volta, schiacciandoli tra i due zoccoli; morendo essi pronunciavano frasi storiche ma sconnesse e facevano addirittura testamento a favore della città.

 Che storia curiosa, stravagante, burlesca, surreale! Voi dite? Pure a me sembra così, però tanto surreale non mi pare. Non vi ricorda, questa storiella nata chi sa dove e quando, qualche cosa di reale che accade nei nostri giorni, dove un virus impazza, la gente muore, tanti vecchietti da soli negli ospedali, e tanta confusione c’è in questo mondo, che fatica a rispondere collettivamente alle sfide che la contagiosa malattia impone?

 Qualche lettore certamente avrà capito che questa raccontino, esposto da me in modo così oltraggioso, è ricavato nientepocodimenoche da una famosa quanto brillante, divertente, graffiante poesia di Gianni Rodari, al quale chiedo molto umilmente scusa per aver così bistrattato il suo saggio testo. Per farmi perdonate, i lettori troveranno al termine di questo avventato scritto, la poesia originale di Rodari, che ha come titolo Il cavallo saggio. Titolo anche di una importante raccolta di testi di Rodari curata da Carmine De Luca nel 1990.

 Carmine De Luca, sensibile conoscitore degli scritti di Gianni Rodari, appena dopo la morte prematura dello scrittore, avviò una rigorosa ricerca critica dei suoi testi, soprattutto di quei lavori un po’ sconosciuti e pubblicati su quotidiani e riviste. Ne comprendeva, De Luca, l’importanza, e insieme con alcuni amici (il primo in assoluto Tullio De Mauro), iniziò una scrupolosa opera di divulgazione e valorizzazione di Rodari, i cui testi lo studioso sottopose ad approfondite analisi ben presto apprezzate da un pubblico sempre più vasto e accorto. Conosceva il valore dei testi che Rodari aveva pubblicato sulla rivista satirica «Il Caffè», diretta da Giambattista Vicari, e decise così che era giunto il tempo di toglierli da quella gabbia, pur prestigiosa, e far loro prendere il volo. E fu così che curò il volume dal titolo «Il cavallo saggio», e come sottotitolo «Poesie epigrafi esercizi», pubblicato dagli Editori Riuniti nel 1990. De Luca arricchì la raccolta con la prefazione di Edoardo Sanguineti, uno di quegli studiosi che non disdegnò la produzione rodariana ma seppe inserirla, così come meritava, nella storia della letteratura a tutto campo. Rilevando, altresì, che sarebbe stato un errore continuare a distinguere nettamente un Rodari poeta per i grandi da quello per i piccini. Anche certi testi destinati più a un pubblico di adulti, come quelli contenuti nella raccolta in esame, conservano lo stile scanzonato e lieve di quelli per un pubblico infantile.

 Nel prezioso volumetto De Luca raccoglie, dunque, i testi apparsi sulla rivista «Il Caffè». Il libro si presenta diviso in due parti, Poesia lepidaria e Materia prima. Nella prima parte si trovano i versi che Rodari pubblicò in due occasioni. Le prime quattro poesie lepidarie (Lapide seconda, Lapide tredicesima, Lapide quattordicesima, Lapide quindicesima) e Metamorfosi apparvero nel numero 3 del 1961. Le otto lapidi successive nel numero 2 del 1962. La seconda parte comprende tre gruppi di componimenti. Le prime venti poesie furono ospitate nel n. 2 del 1968 della rivista «Il Caffè», sotto il titolo Materia prima, (titolo che De Luca conserverà fedelmente nella raccolta); il secondo gruppo, formato da sette componimenti, uscì nel n. 161 del marzo 1980, sempre sul «Caffè». Chiudono il libro due poesie occasionali, Io e… Pasque e La licenza poetica, apparse per la prima volta nel n. 2 del 1984 del mensile «Riforma della scuola». La prima poesia che apre la sezione Materia prima è, appunto, Il cavallo saggio, testo richiamato per avviare questa chiacchierata.

Questo importante volumetto ha fatto conoscere, e non poco, anche alcuni aspetti poco noti di Rodari: lo scrittore satirico e irriverente, paradossale e surreale. Quel testo del 1990 non è più in commercio. Ma nel 2011 l’Editore Einaudi riprese quel lavoro curato da Carmine e lo ripropose mantenendo anche la prefazione di Sanguineti. Una ulteriore occasione per far conoscere anche a nuovi lettori quel filone satirico e grottesco degli scritti di Rodari; filone che, in verità, non era mai sfuggito a De Luca, e che aveva tenuto a mettere in rilievo ancor prima, nel lontano 1982. Conviene, quindi, fare un piccolo passo indietro.

 Nel 1982 De Luca curò per gli Editori Riuniti il volume «Il cane di Magonza», una raccolta di testi giornalistici di Rodari, che «rivelano un Rodari narratore e poeta tout-court, senza etichette riduttive o emarginanti», come ebbe a scrivere nella introduzione a quel libro. Tra i testi De Luca pubblicò Lapide seconda, Lapide tredicesima, Lapide quattordicesima, Lapide quindicesima e Metamorfosi. Accompagnò la diffusione di quegli scritti con una nota critica molto istruttiva. Dirà De Luca: «Con questa Poesia lepidaria il filone satirico, già più volte segnalato, esce dalla terza pagina dei quotidiani («l’Unità» e «Paese Sera») e fa la sua apparizione in una sede certamente più adeguata: sulle pagine della rivista «Il Caffè»… dove si trova in compagnia di Borges, A. Bertolucci, L. Longanesi, ecc.»

«Rodari satirico», continua De Luca, «presenta il suo biglietto da visita fin dall’inizio con il gioco di parole «lepido/lapide»: il primo termine produce il titolo Poesia lepidaria, il secondo dà il titolo a quattro dei cinque componimenti (Lapide seconda, Lapide tredicesima, Lapide quattordicesima, Lapide quindicesima). Ma la coppia può suggerire anche alcune riflessioni: sono lepidezze sulla morte; sono lepidezze sul morto linguaggio delle lapidi; ecc.».

De Luca ci informa che in una sola occasione due di questi componimenti (Lapide quattordicesima e Lapide quindicesima) «sono stati riproposti e considerati per quello che in effetti sono». Cesare Vivaldi, in effetti, le inserisce nell’antologia «Poesia satirica d’oggi» (Guanda, Parma 1964). Scrive ancora De Luca: «Nell’introduzione al volume Vivaldi colloca questa attività di Rodari all’interno di un filone satirico e grottesco della nostra poesia al cui capo sta Palazzeschi. E questa «linea palazzeschiana» dove Rodari sta in ottima compagnia insieme con Nelo Risi, Sanguineti, Fratini, Vollaro, ecc., è caratterizzata – secondo quando dice Sanguineti citato in Vivaldi – dal fatto che «il margine d’ironia sia ritornato ad essere […] come già lo fu, nel nostro secolo, in altre decisive e critiche svolte, condizione indispensabile per sfuggire ad un gioco precostituito di forme e motivi».

Nelle «lapidi» è da notare, insieme al divertito gioco degli incastri di troppo usati stereotipi linguistici, più in generale la dissacrante trasgressione del rigido codice linguistico commemorativo (quello delle lapidi ufficiali), che, eredità di un’Italia patriotticamente savoiarda e fascista, ha attraversato i tempi conservando forme lessicali e sintattiche di assoluta fissità e conformismo.

Nell’altro scherzo umoristico-ironico, Metamorfosi, risultano prevalenti gli accenti di satira politica».

Nella stessa raccolta, De Luca inserisce le venti poesie che vanno sotto il titolo Materia prima. Nel commento, come al solito breve ma acuto, De Luca scrive: «Che dire di queste poesie? Ancora una volta evidente è il gioco delle parole. Un gioco che libera la fantasia e rende più comprensibile il mondo e le sue storture. In alcuni di questi componimenti la satira si fa amara. Dettata da una forte amarezza è, ad esempio, Un sogno: sono aggredite le abilità camaleontiche messe in atto dalla diffusa pratica dell’arrivismo sociale. La forza trasgressiva dei versi sta anche nel ribaltamento totale dello stereotipo poetico che annette ai sogni soltanto qualità idilliche. Qui la dignità del sogno è progressivamente svenduta fino alla resa finale e allo spregevole ghigno conclusivo: l’abietta volontà di toccare i «parapetti della vita» produce incubi e fascismi. In Fucilazione, al contrario, al sapore amaro della violenza non cedono l’ottimismo e la speranza; la «dolcezza che non si può perdere» è la soluzione di ogni «smorfia di felicità»: all’infanzia è affidato il messaggio salvifico per l’umanità».

 È facile notare come Carmine De Luca associa il nome di Rodari ad autori non considerati proprio appartenenti alla letteratura di serie b o, comunque, dell’infanzia, ma alla letteratura senza sbarramenti. Non solo: già nella introduzione al «Il cane di Magonza», De Luca, parlando della costante sperimentale della scrittura, «porta a collegare, in ambito europeo, Rodari oltre che alla letteratura umoristica, di marca surrealistica e non (Carroll e Lautréamont, Lear e Palazzeschi, Cros e Zavattini), ad autori sperimentali per eccellenza come R. Queneau (il quale, ad averne l’occasione, avrebbe certamente nominato Rodari membro onorario del suo Opificio di letteratura potenziale)».

De Luca, in sostanza, ha riconosciuto, in tempi lontani, in Rodari uno scrittore notevole del Novecento. Un tempo nel quale Rodari era visto, da un certo mondo accademico -non tutto, è noto- e non solo, sicuramente come bravissimo e famoso scrittore ma per bambini, quindi letteratura per l’infanzia, considerata come è noto, letteratura di seria b. Sul posto di Rodari nella letteratura del Novecento, e per citare solo studi più recenti, rinvio a «Non solo filastrocche» di Mariarosa Rossitto (Bulzoni, 2011), a «Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari» di Vanessa Roghi (Laterza, 2020) e al saggio di Daniela Marcheschi Gianni Rodari: parole, giochi e scritture per grandi e piccoli, che appare come introduzione al testo da lei stesso curato «Gianni Rodari - Opere» (Mondadori, Collana I Meridiani, 2020).

 Ultima annotazione: «Il cavallo saggio – Poesie epigrafi esercizi» curato da De Luca con la prefazione di Edoardo Sanguineti Dialettica della fantasia del 2011 è, per fortuna, ancora in commercio. L’invito è, pertanto, di prendere in mano quel volumetto, sorseggiare l’umorismo dissacratorio di Gianni Rodari e leggere con attenzione lo scritto di Sanguineti. E ora per farmi perdonare di aver strapazzata la bella poesia Il Cavallo saggio, ne riporto il testo originale:

 

C’era una volta un cavallo molto saggio.

Fumava la pipa, uccideva i microbi, aiutava le vecchine

ad attraversare la strada nei giorni di pioggia.

Per loro gettava ponti di barche sulle pozzanghere,

le sue intenzioni erano lodevoli, nondimeno

talune vecchine per goffaggine o impazienza

cadevano dai ponto, la piena le trascinava

dal Ticino al Po, dal Po all’Adriatico

che così veniva lentamente riempiendosi di vecchine,

ce n’erano migliaia da Cervia a Cesenatico,

se ne stavano nell’acqua fino al piloro

facendo la calza e borbottando continuamente

in tono nasale come le sirene dei mercantili

che partono da Porto Corsini per Patrasso.

Le gente, chiusa nelle case per ripararsi dal malocchio,

sentiva le sirene e diceva: Sentite le sirene,

sentite come si sentono le sirene quando piove

e tutti questi bastimenti ne approfittano

per fuggire in Grecia con le stive piene

di cervello fritto e di funghi arrostiti sulla brace.

Verrà la carestia, i nostri bambini piangeranno,

chi chiederanno pane e dovremo dare loro code di gatto,

colpa di quelle maledette vecchiacce

che ostruiscono la foce del Po con le loro sottogonne.

Bisogna mandare una petizione al cavallo saggio

che fuma la pipa e uccide i microbi.

Un vecchio pescatore che in gioventù sapeva scrivere

mandò al cavallo un uovo sodo, due mele cotogne

e una fiasca di sangue di bue romagnolo.

Il cavallo ricevette il messaggio e lo interpretò rettamente:

l’uovo sodo significava pace e benedizione,

le due mele, che non ti manchi avena né bastone,

il sangue di bue romagnolo

significava: Che tu possa sputare il pancreas,

che cosa ti viene in mente di rifilarci quelle vecchie balorde,

con le loro chiacchiere hanno avvelenato il mare

da una sponda all’altra,

fanno tanta pipì che i pescherecci sbandano a babordo,

abbiamo già perduto sette mozzi nel fiore degli anni

    e tutti di nome Gioachino,

provvedi, saggio cavallo, che la pipa ti strozzi,

abbi compassione dell’Adriatico, figlio di una fogna.

Il cavallo comprese che era tempo di prendere provvedimenti

e si accinse alla bisogna con le migliori intenzioni,

ma i provvedimenti non si lasciarono prendere,

saltarono sul tetto della casa del parroco

invocando il diritto d’asilo

e di lassù bersagliavano i passati

con tegole marce e nidi di rondine.

Gran folla si adunò sul sagrato,

taluni parteggiando per il cavallo saggio,

altri pronunciandosi a favore dei provvedimenti,

e dicevano: Basta con queste persecuzioni,

sono venticinque anni che questo cavallo li tormenta.

I provvedimenti si sporgevano dal tetto

approvando con grandi cenni del capo,

spalancavano la bocca per mostrare le gengive prive di denti:

Ecco che cosa ci ha fatto il cavallo a colpi di zoccoli,

e a quanti di noi ha rubato l’ernia con l’inganno?

Siamo figli di mamma, orfani di padre,

noi stessi siamo padri di poveri orfanelli,

e che la smetta di fumare quella pipa pestilenziale

caricandola con lombrichi seccati al sole!

Giusto in quel momento dal fornello della pipa

si sporse un lombrico puntando l’indice minaccioso,

mentre con l’altra mano si pettinava la barba.

Menzogna, disse il lombrico, non siamo stati seccati

né al sole né alla luna, ché il saggio cavallo

ci fuma vivi allo scopo di liberare i bambini dai vermi,

egli è un benefattore dell’infanzia,

voi siete dei bastardi! Cittadini,

acchiappateli, ci hanno seccati abbastanza,

se vale la pena di sprecare per loro una metafora…

Così cominciò la caccia ai provvedimenti

che più nessuno oramai osava difendere,

erano in realtà provvedimenti molto impopolari…

Il sindaco mise sulla loro testa una taglia

di dodici quintilioni di centimetri quadrati.

Essi fuggivano di tetto in tetto demolendo i comignoli,

inseguiti dal cavallo saggio e da diecimila boyscouts.

Le vecchine, in assenza del cavallo,

prive di ponti e incapaci di costruirsi delle zattere,

non più osavano attraversare le pozzanghere,

bensì si assiepavano sulla sponda,

ben presto non ci fu più posto per altre sul marciapiede,

le seconde arrivate montarono sulle teste delle prime,

le terze si arrampicarono sulle teste delle seconde,

si formò una montagna di vecchine alta circa diciotto metri,

molte furono schiacciate dalla calca

e per lo spavento partorirono dei piccoli analfabeti

che infestarono i dintorni con urla selvagge.

 Dall’alto di una torre merlata il cavallo saggio

osservava il panorama succhiando stancamente la pipa

e una grande tristezza penetrò nel suo cuore,

di orecchietta in ventricolo si installò nell’aorta

provocandogli un attacco di angina pectoris.

Il cavallo saggio stramazzò su se stesso

lanciando nitriti d’emergenza

che furono uditi a Grande Distanza, in provincia di Lecce,

dove abitava suo fratello, minore a lui d’anni ma non di saggezza.

I cittadini di Grande Distanza, atterriti,

si nascondevano in numerose ceste di fichi secchi

ma il cavallo fratello li rassicurò:

Non sussiste minaccia di movimenti sismici,

né si è destata la piovra dai mille tentacoli

che ogni anno richiede il sacrificio di un consigliere comunale,

è mio fratello che mi chiama, fiutando odor di morte,

portategli queste pastiglie, ditegli che ne prenda

due ogni morte di vescovo con un sorso d’acqua minerale,

subito si sentirà meglio, perfettamente in forma

e tornerà alle sue utili occupazioni.

Un ciclista si offrì di portare le pastiglie.

Egli inforca la bicicletta a vela

e il vento lo spinge alla velocità di novecento nodi.

Pedala con le mani e con i piedi, con le unghie e con i denti,

ma soprattutto col sudore della fronte,

mentre il campanello collegato con le pedivelle

a mezzo di un filo elastico di colore azzurrognolo

trilla automaticamente per chiedere strada.

Tutti fanno largo con impegno degno di onesta causa,

comprendendo l’importanza degli avvenimenti

e servendosi degli strumenti che si trovano a portata di mano,

zappe, vanghe, bulldozer, ramaioli, picconi,

spianano le montagne al passaggio del ciclista,

gettano ponti sui fiumi e fiumi sotto i ponti,

torrenti dentro i fiumi, ruscelli dentro i torrenti.

Risultato di questo magnifico sforzo collettivo

in pochi anni il ciclista reca le pastiglie a destinazione,

il vescovo sente che è giunta la sua ultima ora

e muore raccomandando al popolo di seguire i buoni esempi del cavallo.

Il cavallo sta sempre sulla cima della torre merlata,

arrotolato su se stesso, soffrendo di angina pectoris,

appena le campane annunciano la morte del vescovo

inghiotte le pastiglie con un sorso d’acqua minerale,

la tristezza abbandona bestemmiando l’aorta

e per vie traverse si getta alla boscaglia.

Il cavallo saggio ritrova le sue formidabili energie,

cattura i provvedimenti, li costringe a bere le pozzanghere,

le vecchine attraversano la strada all’asciutto,

i piccoli sono condannati all’ergastolo,

la foce del Po si sgombra, le sue acque trionfali

spazzano l’Adriatico con tutti i suoi delfini.

Dopo questa terribile avventura il cavallo saggio

continuò a fumare la pipa e a uccidere microbi,

li uccideva uno alla volta, schiacciandoli tra due zoccoli,

morendo essi pronunciavano frasi storiche ma sconnesse

e facevano testamento a favore della città.

 

 

 

 


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