Anche i Romani avevano le Barbie
Carmine De Luca*
(La trottola cantata dai poeti) – Gioco antichissimo, la trottola compare, come metafora, nel XIV libro dell’“Iliade”:
Carmine De Luca*
(La trottola cantata dai poeti) – Gioco antichissimo, la trottola compare, come metafora, nel XIV libro dell’“Iliade”:
“Ma mentre si ritrova, il gran Telamonio Aiace / una pietra… una alzandone, / lo colpì al petto, sopra l’orlo dello scudo, presso la gola; / la roteò come trottola, la scagliò e quella corse”.
Virgilio nel VII libro dell’“Eneide” ne canta il vorticoso roteare.
“Come sotto l’obliqua frustrata vola una trottola, che i bambini in gran giro, intorno al vuoto cortile, intenti al gioco affaticato; quella, guidata dal laccio, corre in tondo… ”.
Ovidio, invece, negli “Amori”, ne sottolinea l’uso divinatorio:
“Ella conosce le arti magiche… / sa bene quale sia il potere / del filo messo in movimento dalla / trottola che gira”.
Sarà vero che i giochi sono rimasti uguali con il trascorrere dei secoli? Che i mutamenti hanno riguardato soltanto le parti esteriori e non l'aspetto intrinseco del giocare? Sembra proprio di si. I giochi del passato più remoto e le regole si ritrovano ancora oggi inalterati. E' rimasta intatta nel tempo anche la dimensione ludica dell'uomo, la categoria dell’"homo ludens" indagata dal filosofo olandese Johan Huizinga.
Sarà vero che i giochi sono rimasti uguali con il trascorrere dei secoli? Che i mutamenti hanno riguardato soltanto le parti esteriori e non l'aspetto intrinseco del giocare? Sembra proprio di si. I giochi del passato più remoto e le regole si ritrovano ancora oggi inalterati. E' rimasta intatta nel tempo anche la dimensione ludica dell'uomo, la categoria dell’"homo ludens" indagata dal filosofo olandese Johan Huizinga.
Almeno per quel che riguarda l'infanzia non ha subito mutamenti significativi. Oggi due o più giocatori, piccoli o grandi, si impegnano in giochi di strategia bellica e magari replicano la dinamica della battaglia di Waterloo, utilizzando supporti da tavolo o lo schermo di un computer.
Intorno al primo secolo avanti Cristo si faceva lo stesso, ma per terra con soldatini di stagno o di argilla. Secondo la testimonianza di Orazio in una lettera all'amico Lollio: "Si dividono in barchette gli eserciti, si riproduce sotto il tuo comando la battaglia di Azio... il nemico è tuo fratello, il lago è l'Adriatico, finché l'uno o l'altro la Vittoria alata incoroni di fronte ... e loderà i tuoi giochi a pieno plauso". Il documento è riportato da Marco Fittà in Giochi e giocattoli nell'antichità, Leonardo editore, a proposito dei giochi di emulazione nell'antichità (giocare ai gladiatori, alle corse del circo, ai giudici... ).
Un altro gioco che ha attraversato i secoli mantenendosi sostanzialmente intatto è il cerchio, per il quale Fittà fornisce una ricca documentazione di testi e di immagini. La più antica raffigurazione risale agli Egizi. La civiltà greca e romana hanno tramandato un cospicuo numero di rappresentazioni del gioco. Quella certamente più interessante è l'immagine di Ganimede che gioca con il cerchio, raffigurato su un vaso risalente al quinto secolo a.C. e conservato al Louvre di Parigi. Secondo Orazio la paternità del gioco si deve ai greci: "Il giovinetto nobile... solo esperto e provato al gioco greco del cerchio... ".
Si può qui aggiungere che nel Medioevo il gioco era diffuso in tutta Italia. Nel Glossario Latino Italiano di Pietro Sella, edito dalla Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1944, una nutrita voce dedicata ai giochi registra diverse denominazioni del gioco: rote, ad rotulam, ad rubatam vel palletum, ruelle (per questa denominazione si riporta un avviso ricavato da uno Statuto di Atri del 1531: "Ad rotulam in stradis publicis nulli ludere permittatur", a nessuno sia permesso di giocare con il cerchio per le strade pubbliche), ad rundulum seu rollum (ancora oggi nei dialetti meridionali il cerchio è detto ruollo).
La storia del cerchio è resa ancora più interessante dal materiale di cui era fatto.
Nell'antichità di norma era di bronzo e il più delle volte i bambini utilizzavano cerchioni di ruote di carro. Marziale in un epigramma parla di rota per ruota a uso di lavoro e di trochus per il cerchio da gioco. Fino a qualche decennio fa i ragazzini adottavano per i loro giochi i cerchioni da bicicletta. Quando gli adulti giocavano a ruzzola usavano una forma rotonda di legno o di metallo oppure una forma di formaggio (" ...rutularum de ligno, ferro et caseo" si legge in uno Statuto di Osimo del 1571).
Analoghe considerazioni sulla inalterabilità della dimensione ludica nel tempo si potrebbero fare per la gran parte dei giochi per bambini e per adulti, documentati da Fittà: sulle bambole e il loro corredo (la celebre bambola in avorio di Crepereia Tiophaena del 2° sec. d. c., conservata presso i Musei Capitolini di Roma, e ancora di più la bambola della vestale Cossinia, conservata presso il Museo Nazionale Romano, hanno qualcosa della Barbie di oggi: ugualmente longilinee, ugualmente snodabili per essere variamente abbigliate), sulla trottola e lo jo-jo (o gioco del rocchetto), sulle marionette e i dadi. Insomma come si giocava secoli fa, si gioca oggi. Quel che varia è invece la motivazione del gioco a seconda dell' età.
Nell'infanzia il gioco assume un carattere di naturale necessità bio-fisiologica e psicologica, serve come strumento di conoscenza del mondo e di crescita. Nell'età adulta, pur conservando la carica ricreativa, acquista un che di artificioso. L'adulto che gioca assume di norma un atteggiamento che lo porta a complicare le cose, e se non può cambiare le regole del gioco per renderle più complesse, aggira l'ostacolo e alza la posta in gioco. Anche quando semplicemente è alle prese con il trenino, ama rendere più difficile il percorso.
A lui non basta il gioco per il gioco. Mira ad un qualche obiettivo difficile, tortuoso. Per l'adulto soprattutto non ha valore "la legge della ripetizione" che, secondo Walter Benyamin ("Giocattolo e gioco" in Ombre corte, a c. di G. Agamben, Einaudi), costituisce l'anima del gioco infantile. "Con questo procedimento - aggiunge il pensatore tedesco - egli (il bambino) non riesce soltanto a superare il terrore di certe esperienze originarie, mediante lo smussamento, l'evocazione sbarazzina, la parodia, ma anche a gustare ripetutamente nel modo più intenso trionfi e vittorie... Non è già un "fare come se", ma "un fare sempre di nuovo", la trasformazione dell'esperienza più sconvolgente in un'abitudine, ciò che costituisce l'essenza del gioco".
L'essenza del gioco adulto (ogni gioco dell'adulto?) sembra essere a volte esattamente opposta: tende a esorcizzare l'abitudine e la ripetizione, a osare sempre di più, a fare esperienze sempre più sconvolgenti.
Dal gioco disinteressato, gratuito dell'infanzia si passa al gioco interessato dell'adulto, al gioco d'azzardo. Ai giochi d'azzardo nell'antichità (dadi, astragali, morra, combattimenti tra animali) Marco Fittà dedica un capitolo in cui si può leggere un monito di Giovenale: "Quando mai l'azzardo fu più grande? Oggi non si puntano / al gioco le piccole somme; tutta la cassaforte si punta! / ...Ma non è pazzia bella e buona giocarsi centomila / sesterzi e non poter cucire la tunica al / servo infreddolito?".
Anche per questo aspetto si gioca oggi, come si giocava ieri.
Nota. Carmine De Luca si è occupato più volte di giochi e giocattoli. Questo articolo dal titolo “Anche i Romani avevano le Barbie. Giochi e giocattoli non sono cambiati” è stato pubblicato su l’Unità del 9 agosto 1997. “L’atteggiamento del bambino – scrive De Luca – che si balocca con soldatini e trenini è quello di chi li usa per aumentare la conoscenza. L’adulto invece si comporta in modo completamente diverso: al gratuito sostituisce l’azzardo, alla ripetizione la sfida.”
Foto: Carmine De Luca (Corigliano 1943 - Pavia 1997)
(18 aprile 2008)
Nessun commento:
Posta un commento