“Memorie di
alberi recisi” di Francesco M.T. Tarantino, EdiLet, Roma, luglio 2012
Dove
non si posa il nido della luna
di Giovanni Pistoia
«Fummo presenti come dei profeti
Fuori
dai giardini e da ogni galera
Ma
sempre ci canteranno i poeti.»
Da lontano le prime immagini che
appaiono avvicinandoci a un camposanto sono le alte cime degli alberi, spesso
cipressi. Ad accoglierci è un sussurrare di chiome anche quando non c’è del
vento, e un coro di voci e suoni, e un chiacchiericcio di passeri a raccontarci
storie di cielo e di terra. I morti non amano il silenzio dei morti, temono
quello dei vivi. È per questo che il cimitero è una tempesta canora, un
pentagramma vibrante di note. Il canto degli uccelli, lo stormire delle foglie,
l’agitarsi degli aghi o delle pigne … il modo più naturale perché continui il
dialogo tra chi non c’è più e quanti resistono fuori dal recinto; recinto che
pretende di delimitare uno spazio muto.
I morti non amano la solitudine, temono la solitudine dei vivi nel loro
rincorrersi senza incontrarsi. Del loro considerarsi dei vincenti, e già periti.
Temono l’aridità di chi pensa d’essere immortale e di erigere steccati sempre
più alti con i morti, fino ad arrivare al punto di volere, consapevolmente o
no, far tacere la loro voce. Che illusione! Possiamo tapparci le orecchie,
chiudere gli occhi, riempire di dinamismo i nostri giorni e notti, ma arriva
sempre il momento che la voce di qualcuno amato, o anche semplicemente conosciuto,
si farà sentire.