Giornata tempestosa oggi, vento e
pioggia a dire basta. Il sole non è apparso neanche per un secondo. E per chi
come me ha bisogno dei suoi raggi più del pane sono tempi amari. La lettura è uno
dei miei rifugi per restare nel mondo. Non è mai una fuga un buon libro; è solo
un viaggio ben organizzato che, comunque, non sai dove possa portarti.
Ho ripreso nelle
mani un volumetto di Gianni Rodari (alla mia età, dirà qualcuno; è così, alla
mia età!). Il titolo è «Il giudice a dondolo». L’ho letto gioiosamente; i
racconti di Rodari si leggono con facilità, ti afferrano per mano, tengono
compagnia, e ti fanno anche riflettere. Tra i testi, uno brevissimo dal titolo Il bimbo, che mi piace sottoporre alla
vostra attenzione poiché fra non molto sarà Natale. Un Natale quest’anno
diverso dai tanti fino ad ora trascorsi. Dovremo essere prudenti per
sconfiggere la pandemia che ha colpito il mondo. Un piccolo, microscopico
virus, un esserino invisibile se non agli occhi attenti di studiosi con
l’ausilio di mezzi tecnologici, sta seminando morti e angosce. L’uomo è
fragile, ma è prendendo atto della sua fragilità che, forse, può trovare la
forza per piegare il mostro e vivere, non proprio felici e contenti come nelle
favole, ma certamente con più serenità, e godere delle bellezze che la terra
conserva, nonostante l’uomo non si sia dimostrato, nel tempo, un intelligente
custode.
Rodari era un
maestro nei racconti brevi e fulminanti. Nella sua attività di giornalista,
attento alle cronache delle città e paesi, ha disseminato, nei giornali e
riviste, la sua passione di narratore. Il raccontino Il bimbo apparve, per la prima volta, il 25 gennaio 1948 su
«l’Unità». Fu letto dai lettori di quel giornale che, essendo un quotidiano, fu
subito messo da parte per cedere posto al numero del giorno dopo. È il destino
del quotidiano: ha vita breve.
Vi fu, però, un
lettore, giornalista anche lui, docente ma attento studioso di letteratura, che
capì subito il valore di quei testi, li studiò e li raccolse con cura in una cartellina. Ne mise insieme un bel po’,
li cucì in maniera armonica. Si rese
conto che, predisponendoli organicamente in ben ragionate raccolte, quegli
scritti acquisivano altri sapori; si gustavano come si fa con il pane caldo. Ne
fece così vari libri.
Il bimbo fu messo accanto ad altri in un
volumetto, che prese il nome di altro racconto, Il giudice a dondolo. Quel lettore, che tanto contribuì a valorizzare l’opera di Rodari, era Carmine
De Luca. Curò il libro, che fu pubblicato nel 1989 dagli Editori Riuniti di
Roma, con la prefazione di Giuliano Manacorda. De Luca stesso firmò una
brevissima quanto istruttiva nota introduttiva. E così anche grazie a lui tanti
lettori ebbero modo di conoscere questi racconti di Rodari. Più recentemente,
nel 2013, l’editore Einaudi ha ristampato il libro con la prefazione di Mario
Di Rienzo, che ben illustra in quale contesto questa raccolta si colloca tra i
tanti altri di Rodari. E, tra le tante cose interessanti che scrive, afferma «…
se oggi gli studi sull’opera di Rodari hanno allargato i loro orizzonti e sono
diventati molto più agguerriti e affidabili, lo si deve anche al lavoro di
ricerca, scavo e sistemazione fatto da Carmine De Luca.» E ora buona lettura in
compagnia de Il bimbo.
***
La notte di Natale
il Gran Ministro non può dormire.
Ad un tratto
sente battere alla porta.
- Avanti, -
grida con voce irritata.
La porta si apre
timidamente, appare un bambino dal ciuffo nero, non più alto dello stivale
delle guardie del Gran Ministro.
- Tu chi sei?
Che cosa vuoi?
- Voglio il mio
papà.
- Non so nulla
di tuo padre. Vattene.
- Sì, tu lo hai
fatto mettere in prigione dalle tue guardie. Era un disoccupato e chiedeva
lavoro.
- Vattene,
moccioso, - dice il Gran Ministro.
- Non ho tempo
da perdere in chiacchiere. Devo preparare i doni di Natale per i miei figli.
- Io non l’ho
avuto il dono di Natale, sai. A me non me ne importa, ma i miei fratellini
hanno pianto tutto il giorno.
- Vattene
altrimenti ti farò gettare fuori dalle mie guardie.
- Perché non
provi a chiamarle? – dice il bambino.
- Guardie, a me!
– grida il Gran Ministro con la voce che fa tremare tutto il palazzo.
Ma le guardie
non arrivano. Forse si sono ubriacate e dormono nelle stanze più lontane. Il
Gran Ministro spalanca la porta che dà sul corridoio, si affaccia per chiamare
di nuovo ma la voce gli si ferma in gola.
Il corridoio è
pieno zeppo di bambini piccoli e neri nei loro abitini leggeri e strappati:
guardano tutti in faccia al Ministro con gli occhi dolci e severi senza dire
una parola, gli mostrano i piedini coperti di geloni, molti hanno una fascia a
lutto sul braccio.
-Vedi? – dice il bambino dal ciuffo nero
alle spalle del Gran Ministro. – A quello là le tue guardie gli hanno ucciso il
papà in mezzo alla piazza: era un povero contadino affamato.
Il Ministro
chiude la porta con fracasso, si precipita alla finestra, la spalanca: anche il
giardino è pieno di bambini, tranquilli e quieti, con gli occhi dolci e severi.
- Guardie! –
chiama il Ministro.
I bambini lo
guardano in silenzio.
- Sono venuti a
chiederti il loro papà, - dice il ciuffo nero alle sue spalle. Il Gran Ministro
si volta.
Ma come si è
cambiato, adesso, il bambino! È tutto sporco di sangue, ha delle lividure in
faccia, delle ferite aperte in ogni parte del corpo. Ha un’aureola attorno al
ciuffo.
È lui, il Bimbo, non lo avete ancora capito?
- Perché mi hai
picchiato? – dice al Gran Ministro. – Ogni volta che facevi picchiare dalle tue
guardie gli operai e i contadini, facevi picchiare me. Ogni volta che facevi
piangere uno di quei bambini innocenti, ero io che piangevo. Non tentare di
baciare la croce che hai sul petto, non ti serve a niente. Siamo venuti per non
lasciarti mai più; sei il nostro prigioniero. Perché non chiami le guardie?
Perché non ci fai picchiare con i manganelli? Perché non ordini di caricare i
fucili? Tu, Gran Ministro, perché non puoi dormire?
***
Altre volte
Rodari si è chiesto quanto pesasse una lacrima di un bambino capriccioso, e la
risposta fu: «meno del vento» e quanto, invece, quella di un bambino affamato,
e la risposta fu: «pesa più di tutta la terra.» Sono trascorsi settantadue
anni, settantadue Natale, da quando Gianni Rodari scrisse questo raccontino.
Moltissime cose sono cambiate. Per esempio, si parla sempre meno di contadini
(secondo alcuni quasi scomparsi), di operai che non sono più identificati come classe, come si diceva tanto tempo fa.
La parola disoccupato è sempre di
moda, purtroppo. Bambini vittime di guerre, della fame, ve ne sono ancora
tanti. Altri li vediamo che naufragano nei nostri amati mari, perché non
riescono a raggiungere la spiaggia. Li notiamo distrattamente attraverso la
televisione, mentre siamo a pranzo o a cena. Quello che permane inalterata è
l’ipocrisia degli uomini. Ce ne andiamo in giro con la croce sul petto, oppure
appiccicata alle orecchie, ai polsi, perfino tatuata sulla pelle. Povero Cristo
ridotto a icona del vuoto e del nulla. Un orpello. E tutti a dimenticarci del
suo messaggio, forte e rivoluzionario, per chi crede e anche per chi non crede;
un messaggio tutto teso a favore di chi non ha, e spesso chi non ha non è.
Invisibile a tutti. Il Natale che ci accingiamo a ricordare, proprio per le
condizioni in cui siamo costretti a viverlo, è l’occasione buona, non tanto per
vedere le pagliuzze negli occhi degli altri, ma per osservare le travi che ci
portiamo nei nostri. Sperare di darsi una mano per il trionfo di un po’ di
umanità è doveroso, così come è doveroso lavorare concretamente perché il
miracolo si realizzi e, come ci ricorda ancora Rodari in una bella filastrocca,
se ci diamo la mano i miracoli si fanno e
il giorno di Natale durerà tutto l’anno.