mercoledì 21 dicembre 2022

ENZO BONAFINE, Perduto per sempre, Lagonegro, Grafiche Zaccara, 2000, pp.157 – Letto da Dante MAFFIA


Riuscire a scrivere un libro così intenso e vibrato, sul Dolore, sì, con la maiuscola, più atroce che possa capitare a un uomo, senza mai neppure sfiorare la retorica del patetico, è direi quasi miracoloso.

 

Enzo Bonafine è un avvocato di grande valore, stimato e ben voluto, e poiché le pagine di “Perduto per sempre” sono la storia della malattia del suo bambino, poteva farsi prendere la mano e gridare a squarciagola. Invece racconta, con tono diaristico, quello che accadde a Giuseppe, il figlio di sette anni, dal momento in cui avvertì il primo fastidio “al braccino destro”.

 

E’ la Bestia che comincia il suo gioco subdolo e torbido; che semina violenza, strazio e angoscia, tanta da far sì che “in quel preciso istante una parte di me e della mia vita muore per sempre, divenendo solo memoria, chiusa nei magazzini del cuore”, come confessa l’Autore, nel momento in cui l’infermiera “gli porge il biglietto che dalla lotteria della vita è stato estratto”.

 

Comincia la pena delle visite, dei viaggi, dei ricoveri, delle trasfusioni, delle attese spasmodiche, delle speranze altalenanti che danno la possibilità a Enzo Bonafine di fare constatazioni che non avrebbe mai creduto di fare, sulla struttura degli ospedali, sul loro funzionamento, sulle vanità dei medici, sui comportamenti di uno stato sempre assente soprattutto quando il cittadino è nel guado profondo e cerca rimedi che sarebbero possibili almeno per alleviare tormenti e lacerazioni che invece sembra siano organizzati di proposito tanto sono ricorrenti nella indifferenza più totale.

 

“Mai una volta” che Giuseppe “abbia fatto capricci”, eppure viene quasi seviziato nel via vai frenetico di analisi e contro analisi fatte e ripetute però in una sorta di indifferenza che è quasi un preavviso di morte.

 

A un certo punto la tragedia si compie e una frase sconsolata timbra a secco la fine: “Iniziamo a convivere con il Dolore”.

 

Raramente degli avvenimenti veri, vissuti in prima persona, sono stati raccontati con tanta misura e tanta compartecipazione senza tuttavia lasciarsi trascinare nell’abisso che a volte ha portato alla demenza, al rinserrarsi in un angolo buio e aspettare che il Nulla deformi la realtà e la cancelli.

 

Enzo e Franca resistono, anche perché hanno Alessio, il fratello di Giuseppe, e devono apparentemente annichilire il Dolore per l’Amore, per evitare che la Bestia diventi padrona assoluta di tutto e rida nella scempiaggine del suo trionfo.

 

Io ho letto questo libro però anche come un romanzo, il mio vizio professionale è rimasto vigile e di conseguenza ho constatato la bellezza espressiva di Bonafine, il suo saper narrare le vicende con una obiettività sbalorditiva, legandole anche a ciò che accade negli ospedali in genere, a ciò che accade, purtroppo ai mille e mille ragazzi che compiono questo viaggio all’inferno, per parafrasare il titolo d’un libro di Louis Ferdinand Celine. Credo senza nessuna intenzione di farlo, ma dal corso degli eventi affiora una denuncia per quel che accade quotidianamente un po’ in tutta l’Italia per quanto riguarda il mondo della medicina. Enzo non infierisce, ci sono dei momenti in cui vorrebbe prendere a calci tutto e tutti, ma si trattiene e accetta di giocare perfino la carta del santone nella speranza che qualcosa accada per uscire dal fuoco imperversante in cui è stato scaraventato Giuseppe.

 

Ma da qualche parte tutto è stato deciso. Non mi va di dire che Dio l’abbia predisposto, altrimenti rifarei quel che feci al ritorno dal Sud Africa dopo avere visto morire, nella indifferenza totale, molti bambini. Una volta tornato a Roma sono andato a San Pietro in un’ora lontano dalla messa e ho cominciato a gridare contro Dio. Fui buttato fuori in malo modo dalle guardie svizzere.

 

“E tu, Dio vigliacco e crudele, che hai rubato ogni cosa alla mia esistenza, adesso occupati di mio figlio e dagli quella felicità che aveva e gli hai rubato”.

 

Ho notato che anche Enzo raccoglie nel suo Dolore quello degli altri bambini che se ne sono andati e il suo lamento è quello di un padre che ha perduto le ali, di un uomo che estende la sua umanità nell’abbraccio immenso delle perdite per sempre anche degli altri.

 

Il ritorno a casa.

 

Non commento. Ho pianto. Mi sono sentito desolato, come se avessero rubato Giuseppe anche a me. Una di quelle sensazioni misteriche che nessuno mai riuscirà a spiegare! Ma Enzo me lo ha spinto nel cuore, l’ha fatto vivere con me nei giorni della sua spiensieratezza, me lo ha fatto amare.

 

I cento settanta tre versi che chiudono il volume sono di una bellezza sconcertante nella quale la sordità del Dolore si fa sentire senza rimedio. Soltanto alcuni:

 

“La vedo la Morte: è qui, innanzi

e tutto intorno a noi;

è nei tuoi occhi di animale ferito,

nel tuo corpo umiliato.

Ma il nostro Amore e la nostra Disperazione sono vivi

e non temono la Morte, il nulla eterno.

Il nostro canto risuonerà sempre.

Oltre la Morte”.

 

Sarebbe bello se tutti i primari degli ospedali leggessero questo libro vivo, parlassero con Giuseppe. Forse molte cose cambierebbero nei vari reparti e forse un poco di quella Indifferenza sgarbata e arrogante si scioglierebbe per fare posto all’Amore. Non costa niente amare, bisogna aprire il cuore e sorridere e non dimenticare che noi siamo fatti degli altri.

 

 

 

 

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