lunedì 21 maggio 2012

IRONICA DISSACRAZIONE E ATOMISMO NARRATIVO IN SAN BETTINO CRAXI E ALTRI RACCONTI DI DANTE MAFFIA di Rocco Paternostro


ROCCO PATERNOSTRO

IRONICA DISSACRAZIONE E ATOMISMO NARRATIVO IN SAN BETTINO CRAXI E ALTRI RACCONTI DI DANTE MAFFIA


A chi si accinga a leggere un'opera letteraria si pone imperiosa la necessità di sciogliere un nodo; ovvero si pone la necessità di dover scegliere tra due possibili modi di lettura.
Il primo si richiama al campo della scienza con le proposte suggestive di Feyrabend che, dall'iniziale adesione al razionalismo critico di Popper, si fa in seguito teorizzatore di un'anarchia metodologica, secondo la quale "qualsiasi cosa va bene", in quanto - a  suo parere - la scienza non ha metodi, proprio perché essa si fonda sull'inventiva, in base alla quale lo scienziato riesce, di volta in volta, a risolvere i problemi escogitando teorie adatte. In tal senso, il grande filosofo viennese finisce per paragonare l'attività della ricerca scientifica, per l'inventiva che essa racchiude e per la pluralità di "stili" di lavoro che consente, alla creatività dell'artista.


Il secondo modo di lettura, pur non escludendo del tutto, proprio per il richiamo alla creatività dell'artista, il primo, finisce sostanzialmente con l'ammettere la necessità di un metodo  che sappia e debba portare il lettore a cogliere innanzi tutto il reale significato di un testo letterario, per giungere infine alla formulazione di un giudizio di valore.
E’ questa la strada indicata da Eric D. Hirsch, e non solo da lui, come cercherò di dimostrare. Questi, alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, in un suo famoso studio sull’interpretazione dal titolo Teoria dell’interpretazione e critica letteraria, in polemica con la critica americana del suo tempo, il New Criticism, propone un metodo d'indagine che sappia cogliere, attraverso quella che egli definisce la validazione oggettiva, il vero significato di un'opera letteraria; ovvero dimostra che un’interpretazione dei testi, ricognitiva del significato dell’autore, è l’unica valida portatrice di conoscenza oggettiva. Così, servendosi di concetti mutuati da Husserl (intenzionalità), Saussure (condivisibilità inerente ai segni linguistici) e, infine, dalla tradizione ermeneutica tedesca, da Schleiermacher a Dilthey per intenderci, (funzione indispensabile delle idee tipiche e generiche nella comunicazione: distinzione interpretazione-critica), sostiene l’assoluta impossibilità di prescindere dall’autore, in quanto soggetto determinatore di significati, arrivando quindi a distinguere sottilmente tra significato e significanza, ovvero tra ciò che realmente l'artista vuole comunicare con la sua opera e il giudizio di valore che il critico esprime sull'opera solo dopo averne colto il suo reale significato. Insomma, per Hirsch è necessario prima comprendere, con un'accurata analisi scientifico-filologica, il reale significato di un'opera e poi, solo dopo questo svelamento di verità, esercitare il giudizio di valore, l'atto proprio della critica. Ciò è come dire recuperare la verità del testo e coniugarla con la dimostrabilità, per trasferire nel campo della critica letteraria il teorema di Kurt Gödel, considerato -come è stato scritto-, nel campo della logica, "l'analogo contemporaneo di Aristotele".
Ma anche è, a ben vedere e per altra via, quanto già nel 1936 con la Poetica del Decadentismo e più tardi, negli anni '60 del secolo scorso, in un fortunatissimo volumetto metodologico, nel tempo più volte ampliato, dal titolo Critica, poetica, storia letteraria, Walter Binni ha sostenuto a proposito della necessità, nel campo della critica, di superare i limiti propri di una pretesa definitoria e onnicomprensiva di chi legge un'opera alla luce di un'estetica, di una qualsivoglia estetica, anziché di ricondurla alla necessità personale-storica dell'autore, ovvero al suo rapporto inscindibile e privilegiato con la propria poetica. Dove il concetto di poetica è un concetto in divenire, in continuo fieri, attento ad ogni pur minima variazione di gusto, di sentimento, di cultura, di morale, di etica, etc, vissuta dall'autore in rapporto al suo tempo, e che presuppone -come sottolinea Mario Costanzo- sempre e comunque da parte del critico- lettore, proprio per questo continuo divenire del poeta, una grande capacità di ascolto. Ascolto e predisposizione a saper cogliere, con l'ausilio della filologia, i sussulti, i cambiamenti minimi o macroscopici che un autore può apportare nel tempo alla sua propria originaria poetica.
Da tale capacità di ascolto, lungo l'asse della lettura-comprensione-interpretazione-valutazione, si origina e si conclude il processo critico vero e proprio, al termine del quale - lo tengo a ribadire - mediante la lettura, si realizza quella che con felice formula, Costanzo definisce poetica del duale, ossia prima l'incontro e poi la sintesi-fusione e della poetica dello scrittore e della poetica del lettore, che, in quanto tale, non appartiene più né all'autore, né al suo esegeta, essendo, nell'incontro, divenuta una cosa altra, e che, fondandosi sull'esercizio della lettura-comprensione-interpretazione-valutazione, finisce - a mio parere - con il realizzare, perfezionandola, la valutazione oggettiva propria della critica di cui parla Hirsch, sintetizzando appunto mirabilmente e il significato e la significanza.
Se, come detto, quanto suggerito a livello metodologico-critico dallo studioso Nord-Americano si trova mirabilmente e più compiutamente espresso nel concetto di poetica come teorizzato da Binni e come perfezionato da Costanzo, a me altra strada maestra, al di fuori di questa, non resta per analizzare e offrire, con un'operazione mercuriale, a voi potenziali lettori questa ultima fatica di Dante Maffia dal titolo accattivante e insieme provocatorio, San Bettino Craxi e altri racconti. Con una precisazione necessaria, però, che vuole e deve essere, ancora una volta, una precisazione critico-metodologica.
Se è vero che la poetica ha il suo statuto nel suo continuo divenire, nel suo precisarsi, modificarsi e/o rinnovarsi nel tempo, allora si avrà come diretta conseguenza che, studiando un autore - e tanto più se si tratta di un autore dalla capacità prodigiosa di lettura e di scrittura quale è Maffia- si potrà definire la sua poetica nella sua compiutezza solo a termine della sua attività creativa, in quanto a questa compiuta definizione lo scrittore giungerà per gradi, attraverso momenti storico-culturali, politico-economici, etico-morali, artistico-estetici e di gusto che, testimoniando di momenti particolari di un lungo processo evolutivo e/o involutivo, per fragmenta, per scarti o per piccole modifiche nella continuità, diverranno poetiche che, commutandosi di volta in volta in singole opere d'arte, saranno i singoli elementi che nel tempo significheranno il processo faticoso di correzioni, di ripensamenti, di aggiustamenti che sottintendono alla composizione-configurazione della sua poetica definitiva.
Tale precisazione d'ordine metodologico-critico per significare che questo ultimo testo di Dante Maffia deve essere letto come il tassello, o meglio, uno dei tasselli, ascrivibili a un particolare periodo storico della sua attività creatrice, di un più vasto e complesso suo concetto di poetica ancora in progress e quindi non ancora codificabile nella sua compiuta interezza, e che qui si configura come poetica dell'ironica dissacrazione, fondata su quello che, a livello di metodo, mi piace chiamare “atomismo narrativo”. Si badi, non a torto, riferendomi a San Bettino Craxi e altri racconti, ho definito volutamente quest'ultima operazione di Dante Maffia, genericamente come testo, andando con ciò, in un certo qual senso, persino contro la stessa indicazione che Dante ha voluto darci, là dove egli, nel titolo, ci tiene a specificare che si tratta di una raccolta di racconti. É vero quello che Maffia ci dice? Oppure egli è volutamente un abile divulgatore di menzogna? Ovvero, mente sapendo di mentire? Se l'arte - come qualcuno sostiene, e non solo da oggi- è spesso anche menzogna, allora Maffia è fuor di dubbio un grande artista che intende la scrittura come gioco, diversamente però, e occorre sottolinearlo, da Ludwig Wittgestein. Del Wittgestein sia del Libro blu, in cui il gioco linguistico è concepito come secondario rispetto al significato delle parole, sia del Libro marrone, in cui il filosofo viennese formula la tesi, poi pienamente sviluppata nelle Ricerche filosofiche, secondo cui l'apprendimento del gioco linguistico è preliminare alla comprensione dei significati delle parole. In Maffia, al contrario, il gioco linguistico è speculare dei significati delle parole, ed è strettamente connesso all'ironia di cui parla il giovane Lukàcs di Teoria del romanzo, dove l'ironia è la prerogativa del romanziere, allorché egli solo è consapevole che il suo personaggio, che è un eroe problematico alla ricerca di valori autentici in una società degradata, mai raggiungerà quei valori positivi scomparsi dal mondo e disperatamente cercati.
Al contrario, la ricerca dell'eroe creato da Maffia in questo suo testo, Leonida, mi sembra non rivestirsi dei panni della inutilità. Leonida è si un eroe problematico, ma certamente non demoniaco al contrario degli eroi di cui parla Lukàcs; mentre l'ironia di Maffia qui presente non è la stessa ironia disperata e disperante di cui parla il grande filosofo e critico ungherese, al contrario è un'ironia sì dissacratoria, ma caratterizzata dalla bonomia, perché rischiarata e guidata dalla fiducia che Dante nutre nel destino dell'uomo e che trasferisce nel suo eroe, la cui lotta contro l'aridità dei sentimenti, contro l'egoismo e il vuoto nulla del puro apparire, nonché contro l'esterofobia, in una parola, contro la non-umanità della modernità, non si configura mai come lotta vana, inutile.
A tale negatività della modernità, Leonida oppone la sua fiducia nei valori dell'amore, dell'amicizia, dell'onestà, il suo rifiuto della meschinità e delle piccolezze del mondo; mentre in modo speculare al vuoto dell'essere e del puro apparire lo scrittore Maffia oppone la sua fiducia nell'arte e nella fantasia, ovvero la sua forza di sapere e volere ancora raccontare e scrivere fiabe, di volere e sapere ancora vivere il proprio tempo con spirito critico e, quindi, sapere guardare al passato non con improduttiva nostalgia, bensì con realistica consapevolezza, perché il passato è l'anello ormai dimenticato, nella sua positività, dalla modernità, la quale, per questo motivo, non è rifiutata, espunta, ma guardata con ironica, bonaria dissacrazione. Ironica dissacrazione che deriva a Maffia proprio dalla capacità che egli ha di saper giocare con le parole, di saper creare, alcune volte, anche menzogne, consapevole che questa è la via con cui si esprime e si raggiunge l'arte, anche se questa per lui vuole essere ed è sempre segno di verità, senza però scadere nell'episodico, monco descrittivismo di un vetero, superato naturalismo, là dove la menzogna altro non è che la sua metafora più compiuta e complessa di sé stesso, essendo Leonida da un lato un costui determinato e rivestito dei panni di Maffia e insieme il trasferimento e la rappresentazione di altri costui positivi, invero pochi, dei nostri tempi. Il tutto mirabilmente fuso in un unicum organico dalla grande capacità narrativa di Dante che raggiunge, in questi testi, la levigatezza della parola, la compostezza del discorso, la limpidezza della forma, spogliata e purificata dalla pesantezza e dall'oscurità per assumere e raggiungere la forma della leggerezza, così come teorizzata da Calvino delle Lezioni americane, sino a innalzarsi ai vertici del sublime, che è la cifra caratterizzante dell'arte di Maffia e quindi della sua scrittura - come, del resto, ho avuto già modo di scrivere in altra sede - dove sovrano predomina il candore e la lucentezza immacolata del bianco che promana dalla pagina, grazie ad un indefesso lavoro di limatura mirante a sottrarre da essa peso e oscurità.
Leonida, dunque, la metafora più compiuta e complessa dello scrittore Maffia, diviene il personaggio-individuo, il costui che si fa interprete e insieme severo critico delle variegate sfaccettature dell'uomo moderno, ergendosi a eroe contro la decadenza dei tempi odierni, così come Leonida, l'eroe spartano, seppe innalzarsi a strenuo difensore della libertà e quindi dei valori di umanità, di pensiero, di civiltà della Grecia, minacciata dall'invasione e dalle mire espansionistiche dei Persiani.
Il tutto sostenuto da e fondato su una narrazione che in questo testo si configura come una sorta di "atomismo narrativo" che tanto richiama alla mente "l'atomismo logico" di Russel, di cui ha lo stesso spirito, la stessa sostanza, là dove Maffia rivendica l'importanza dell'analisi non solo come strumento d'indagine filosofica, morale, etica, ma anche e soprattutto artistica, (in cui, si badi bene, un ruolo fondamentale lo gioca e lo esercita sempre e comunque la fantasia), contro la svalutazione e/o la negazione di essa, messa in atto da quegli scrittori, fautori di una scrittura "monistica", secondo cui la molteplicità apparente del mondo è costituita e quindi si può rappresentare soltanto da fasi e da suddivisioni irreali di una singola realtà narrativa indivisibile, penso, per esempio, alla Aleramo, a Moravia, a Calvino, a Tondelli, solo per fare alcuni nomi. A questa scrittura “ monistica”, Maffia, con questo suo testo, così come Russel aveva fatto sul piano logico, oppone il suo atomismo narrativo che risulta invece coerente con la convinzione comune che ci siano molte cose distinte che, in termini tecno-scientifici, Russel chiama atomi e che qui, in San Bettino Craxi e altri racconti, diventano atomi di esistenza e quindi di narrazione: l'amore, l'erotismo, la politica, il quartiere, il rapporto padre-figlia, il viaggio, la malattia, la fanciullezza.
E se per Russel la specificità sta nel fatto che gli atomi di cui egli parla sono logici e non fisici, per Maffia tale specificità sta nel fatto che, in questo testo, gli atomi non sono né logici, né fisici, ma fondamentalmente ed essenzialmente narrativi. In tal senso mi sembra debbano essere letti i 65 testi narrativi che compongono San Bettino Craxi e altri racconti, cui unità organica di composizione e di narrazione viene data appunto da Leonida, il personaggio chiave e onnipresente di questa nuova, originalissima forma di romanzo cui Maffia dà vita, non so se consapevolmente o no, e che mi piace chiamare romanzo a quadri, originato  da un processo memorativo del personaggio Leonida che poi altri non è - come ho già detto - che lo stesso autore, il quale cercando di ingannare il lettore sul genere delle sua opera e guardandolo dall'alto della sua ironia-bonomia, invece di dar vita a un personaggio pronominale in prima persona o autodiegetico, preferisce nascondersi dietro un personaggio nominale, Leonida appunto, metafora della sua menzogna, proprio perché il punto di vista di Leonida è il punto di vista di Maffia, dando vita nel romanzo a una visione, a un punto di vista, che i teorici della narratologia definiscono visione con, e altresì realizzando una narrazione in 3° persona.
Un romanzo a quadri, dunque, che si esempla e si struttura sul modello di una grande
biblioteca della memoria da cui Maffia-Leonida estrae di volta in volta il libro che gli serve, ovvero aspetti e momenti del suo vissuto passato e presente, rappresentato e narrato, nella sua variegata e articolata determinazione, nei 65 testi-capitoli che lo compongono,ognuno dei quali in sé compiuto e definito nella sua autonomia narrativa.
Un romanzo a quadri che è speculare, come costruzione e tessitura, e non poteva essere diversamente, della contemporaneità, o meglio della struttura razionale-conoscitiva prodotta nel nostro tempo dall'affermarsi dell'uso del computer, organizzato e strutturato nella sua memoria in una serie di suddivisioni fatte di finestre, cartelle, link, etc, cui secondo la necessità si può accedere con un semplice clic del mouse. Romanzo a quadri che, per questa sua particolare logica e insieme snella strutturazione, mi sembra convalidare quanto il nostro Francesco De Sanctis ebbe a sostenere, in polemica con Hegel circa la morte dell'arte, allorché mirabilmente distingueva tra Forma con la F maiuscola e forma con la f minuscola, affermando che la Forma, ovvero l'arte, non muore, perché a morire sono le forme con cui appunto l'arte si incarna e si manifesta nel tempo. E questo di Maffia è un romanzo a quadri, quale nuova forma della contemporaneità, e quindi quale modificazione del genere romanzo, in cui il tempo e lo spazio sono simultanei, coincidenti con la narrazione, a essa coevi e non, al contrario, agli avvenimenti narrati, i quali, per questa loro natura, non hanno un andamento lineare in progress, ma sono narrati in un continuo presente (tranne alcuni episodi come quello de Il ‘68, o l'altro di Avere delle sorelle, nel quale ultimo vengono fissati i giorni e i mesi della vicenda narrata) e inseriti in uno spazio non più fatto luogo concreto, anche se, in alcuni casi, il narratore fa riferimento esplicito al quartiere, alla via, alle città di Roma, New York, o ai luoghi della sua infanzia quale Roseto Capo Spulico in Calabria, vissuti e ricordati come mito e sogno perduto. Ciò avviene proprio perché, per servirmi di una categoria estetico-interpretativa di Bachtin mutuata da questi da Einstein, il crònotopo, ovvero la unione di tempo-spazio che qui si genera, essendo informata dal tempo che, come ho detto, è un continuo presente, non è e non può essere un luogo fisico specifico, in quanto esso va ritrovato nella memoria.  La memoria tutto possiede, in essa tempo e spazio si armonizzano e in essa vivono di vita propria, simultaneamente, quei luoghi e quei tempi che, con un prodigioso esercizio di mnemonautica, di navigazione nelle acque opalescenti della memoria, vengono estrapolati, trascritti e quindi narrati con maestria di sfumature, di suggestioni, di suoni, di colori, di linguaggio da Maffia, in cui la parola si purifica della sua pesantezza e della sua gravità, ovvero della sua oscurità, persino quando essa è ingiuriosa, oscena, in quanto alla parola e quindi al discorso Dante è legato da un atto d'amore totale, onnicomprensivo, vorace, oserei dire persino erotico. Che poi, a ben vedere, altro non è che l'atto d’amore, il possesso erotico con cui egli non solo possiede fisicamente la parola, il discorso, ma anche sublima sé stesso nella sua magica maestria affabulatoria, che è la cifra artistico-estetica non solo di San Bettino Craxi e altri racconti, ma dell'intera sua produzione artistica. Questa, occorre sottolinearlo, è produzione artistica dotta, erudita, nella quale confluiscono, rielaborate con voce propria e originale e in cui un posto centrale lo gioca il ricorso alla fantasia, centinaia e centinaia di letture che fanno di lui un intellettuale ascrivibile a ragione alla Weltliteratur.
A quella Weltliteratur sognata e agognata e nella quale hanno creduto e per cui hanno combattuto, per fare solo alcuni nomi, studiosi quali Auerbach ed il nostro Arturo Farinelli.

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