Può sembrare uno di quei libri che nascono per la nostalgia di ritornare a scuola, per riprovare le emozioni vissute tra i banchi con compagni e professori; un atto d’amore per ricostruire intenti e ideali che pullulavano nell’età dell’adolescenza e oltre, e invece è anche una fonte importante e necessaria sicuramente per rivivere tutte le atmosfere a cui ho accennato, ma soprattutto per poter leggere l’affresco di un’epoca tra le mille difficoltà in atto e la devozione, come altrimenti chiamarla, a un impegno morale e sociale, oltre che umano che esisteva in maniera consistente all’epoca in cui Filippo Radogna frequentò l’Istituto Tecnico Agrario “Gaetano Briganti” che mi viene di dire leggendario. Leggendario anche se istituito nel 1959, perché sopperì a situazioni che diversamente sarebbero state appena tentativi maldestri per occuparsi di agricoltura e che invece hanno formato fior fiore di professionisti di livello, come dimostrano le testimonianze non casuali dei presidi Angelo Raffaele Bruno, Salvatore Carone, Franco Di Tursi, Gianluigi Maraglino; ma anche di altre riflessione tra cui quelle di personalità quali gli ex parlamentari Vincenzo Viti e Saverio De Bonis, i consiglieri regionali Luca Braia e Piergiorgio Quarto, l’ex sindaco di Montescaglioso Giuseppe Silvaggi (attuale presidente del Collegio provinciale dei periti agrari di Matera) e dell’illustre ingegnere Piergiorgio Corazza progettista della futuristica sede dell’Istituto materano.
Il libro è ricco di molti altri nomi che per varie ragioni
hanno detto la loro sulla funzione avuta dall’Istituto Gaetano Briganti ed
illuminanti sono la prefazione dello storico Giampaolo D’Andrea e le
annotazioni del presidente della Provincia di Matera Piero Marrese e
dell’attuale dirigente scolastico dell’Istituto agrario Carmela Gallipoli.
A me piace sottolineare che se negli anni cinquanta a Matera invece di un Istituto Agrario fosse
stato istituito un Liceo Linguistico o simile, non avremmo avuto i medesimi
risultati culturali e sociali, perché la scuola deve, anzi dovrebbe,
ottemperare alla vocazione del territorio e non
essere un luogo teorico che per
quanto prezioso finisce per diventare asettico e privo di legami con la
realtà. E poi, si finisca col ritornello che le scuole tecniche sono di serie
b, o ancora peggio, tutto dipende da come
sono organizzate e condotte, da come sanno gestire le problematiche e
portarle a una vera attenzione degli alunni, a una reale partecipazione. Poi
sarà la natura di ognuno a spingere verso interessi che possono restare legati
al tipo di studi compiuti o andare in direzioni diverse. Non si dimentichi, per
fare solo alcuni esempi, che Eugenio Montale aveva frequentato il
professionale, che Salvatore Quasimodo era perito agrimensore (parlo di due
premi Nobel), che Sandro Penna era ragioniere, che Leonardo Sinisgalli era
ingegnere e che il curatore del volume in questione, Filippo Radogna, è partito
dall’Istituto Tecnico Agrario ed è diventato giornalista e scrittore.
Da non sottovalutare la ricchezza delle cinquanta pagine di
fotografie che ci mostrano quanto l’istituzione scolastica dell’agrario abbia
contribuito ad accendere e spesso a
risolvere manchevolezze. Questo per ribadire che non è il tipo di scuola che fa la scuola, ma
l’organizzazione, la volontà e la necessità di vedere nei percorsi se vale
arrivare alla meta.
Sia dato atto a Filippo Radogna di avere colmato una lacuna e che finalmente
adesso è possibile avere contezza di che
cosa veramente è stato il “Gaetano Briganti” per Matera e provincia. Lavori di
questo genere hanno il merito, come diceva Umberto Zanotti Bianchi, di aiutare
la Storia ad essere più veritiera, più concreta, più credibile. Non è poca
cosa.
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