La grammatica di Dio
Giovanni Pistoia
Non sono convinto che unendo molte solitudini si ottiene un giorno di allegria. Le intenzioni di Stefano Benni probabilmente erano queste nello scrivere “La grammatica di Dio”. Appena apri il libro, infatti, come promessa, è riportato un detto di Callistrato: “Tra gli dèi che gli uomini inventarono, il più generoso è quello che unendo molte solitudini ne fa un giorno di allegria”. Il progetto doveva essere, forse, questo: una raccolta di racconti uniti dalla solitudine dei protagonisti per ricavarne storie di allegria. E in questo senso l’antologia è parzialmente riuscita: il filo conduttore è la solitudine. Tutto è narrato con quella consueta prosa chiara e stupenda, che caratterizza Benni, e il lettore, anche se non avvezzo a sfogliare libri, rimane rapito dalla scrittura sobria, forbita, semplice, accattivante. Anche se il contesto nel quale si muovono i personaggi è ora desolante, ora bizzarro, l’autore racconta con umorismo, ironia, con il lieve sorriso di chi, forte della propria esperienza di osservatore del mondo, ne ricava elementi di saggezza. La riflessione prende il sopravvento sull’allegria.
Cerca, Benni, nel mondo dell’antropologia, gli elementi essenziali per scoprire la grammatica di Dio: un Dio sorprendentemente divino, laico, umano. Significativo, a tale proposito, è il racconto, poetico e di grande sensibilità, di frate Zitto. Un frate affascinato dal gioco della natura tanto da decidere di non parlare più. “Una luce misteriosa, azzurrina, accompagnava verso la notte la processione dei pioppi. E il convento era scuro e tetro, ma il riflesso di un rogo di stoppie lo rendeva incantato, come se in quella luce rossastra fosse visibile il nostro ardore: noi uomini separati, ma non spenti”. Non serve cercare Dio, afferrare i perché dei suoi silenzi. Non si può parlare di Dio in quanto il suo linguaggio ci è del tutto ignoto. “Non si dovrebbe parlare di Dio. Non conosciamo la sua lingua. L’Universo si manifesta e scompare senza parole, siamo noi a inventare una voce al suo terribile silenzio… Possiamo soltanto ascoltare. Come l’incanto di una musica lontana, nel cuore della notte.”
E così il frate, chiuso nel suo monastero, s’impone di tacere. Tace in ogni occasione, anche quando subisce l’indifferenza e il disprezzo dei confratelli. Tace anche quando viene allontanato dai suoi amici e amati libri. Il silenzio gli sembra l’unica via per sentire Dio. E nella varietà delle erbe, “negli odori della terra bagnata o smossa, nella vita sotterranea di topi e insetti, vedevo parole e grammatiche nascoste…”. I volti degli uomini gli sono indifferenti, “nessuno di essi aveva per me il fascino di una pianta, o della neve, o della luce… Nessuno di loro poteva spiegarmi la grammatica di Dio”. Fino a quando non incontra una ragazza muta, muta e bellissima, che lo riconcilia con l’essenza complessiva dell’Universo restituendogli la forza possente delle parole. Perché, in fondo, “le parole siamo noi”.
Stefano Benni
La grammatica di Dio
Storie di solitudine e allegria
Feltrinelli 2007
http://www.feltrinelli.it/
Per chi lo desidera, ecco il sito di Stefano Benni: http://www.stefanobenni.it/
Nella foto la copertina del libro (illustrazione di Giuseppe Palumbo)
(18 marzo 2008)
Giovanni Pistoia
Non sono convinto che unendo molte solitudini si ottiene un giorno di allegria. Le intenzioni di Stefano Benni probabilmente erano queste nello scrivere “La grammatica di Dio”. Appena apri il libro, infatti, come promessa, è riportato un detto di Callistrato: “Tra gli dèi che gli uomini inventarono, il più generoso è quello che unendo molte solitudini ne fa un giorno di allegria”. Il progetto doveva essere, forse, questo: una raccolta di racconti uniti dalla solitudine dei protagonisti per ricavarne storie di allegria. E in questo senso l’antologia è parzialmente riuscita: il filo conduttore è la solitudine. Tutto è narrato con quella consueta prosa chiara e stupenda, che caratterizza Benni, e il lettore, anche se non avvezzo a sfogliare libri, rimane rapito dalla scrittura sobria, forbita, semplice, accattivante. Anche se il contesto nel quale si muovono i personaggi è ora desolante, ora bizzarro, l’autore racconta con umorismo, ironia, con il lieve sorriso di chi, forte della propria esperienza di osservatore del mondo, ne ricava elementi di saggezza. La riflessione prende il sopravvento sull’allegria.
Cerca, Benni, nel mondo dell’antropologia, gli elementi essenziali per scoprire la grammatica di Dio: un Dio sorprendentemente divino, laico, umano. Significativo, a tale proposito, è il racconto, poetico e di grande sensibilità, di frate Zitto. Un frate affascinato dal gioco della natura tanto da decidere di non parlare più. “Una luce misteriosa, azzurrina, accompagnava verso la notte la processione dei pioppi. E il convento era scuro e tetro, ma il riflesso di un rogo di stoppie lo rendeva incantato, come se in quella luce rossastra fosse visibile il nostro ardore: noi uomini separati, ma non spenti”. Non serve cercare Dio, afferrare i perché dei suoi silenzi. Non si può parlare di Dio in quanto il suo linguaggio ci è del tutto ignoto. “Non si dovrebbe parlare di Dio. Non conosciamo la sua lingua. L’Universo si manifesta e scompare senza parole, siamo noi a inventare una voce al suo terribile silenzio… Possiamo soltanto ascoltare. Come l’incanto di una musica lontana, nel cuore della notte.”
E così il frate, chiuso nel suo monastero, s’impone di tacere. Tace in ogni occasione, anche quando subisce l’indifferenza e il disprezzo dei confratelli. Tace anche quando viene allontanato dai suoi amici e amati libri. Il silenzio gli sembra l’unica via per sentire Dio. E nella varietà delle erbe, “negli odori della terra bagnata o smossa, nella vita sotterranea di topi e insetti, vedevo parole e grammatiche nascoste…”. I volti degli uomini gli sono indifferenti, “nessuno di essi aveva per me il fascino di una pianta, o della neve, o della luce… Nessuno di loro poteva spiegarmi la grammatica di Dio”. Fino a quando non incontra una ragazza muta, muta e bellissima, che lo riconcilia con l’essenza complessiva dell’Universo restituendogli la forza possente delle parole. Perché, in fondo, “le parole siamo noi”.
Stefano Benni
La grammatica di Dio
Storie di solitudine e allegria
Feltrinelli 2007
http://www.feltrinelli.it/
Per chi lo desidera, ecco il sito di Stefano Benni: http://www.stefanobenni.it/
Nella foto la copertina del libro (illustrazione di Giuseppe Palumbo)
(18 marzo 2008)
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