Diario di scuola
Giovanni Pistoia
“Insomma, ecco che anch’io mi metto a credere nel futuro, che ritrovo fiducia nella scuola pubblica. Dopo tutto è quella che ha formato mio padre, la scuola dell’obbligo, e a novant’anni di distanza questo ragazzino assomiglia molto a quello che doveva essere mio padre, il piccolo corso di Aurillac, verso l’anno 1913, quando suo fratello maggiore si mise a lavorare per offrire al fratello minore i mezzi e il tempo di varcare le porte del politecnico.
E poi ho sempre incoraggiato i miei amici e i miei allievi più brillanti a diventare insegnanti. Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti?”
Non solo: l’autore arriva a suggerire di scrivere “il ritratto dell’insegnante indimenticabile che quasi tutti abbiamo incontrato a un certo punto del nostro percorso scolastico…”; un’antologia così fatta offrirebbe lumi sulle “doti necessarie alla pratica di questo strano mestiere”.
Quale è, in fondo, la virtù principale per essere un buon insegnante? “L’amore”, risponde l’autore.
Daniel Pennac, nel suo “Diario di scuola”, si confessa: ci racconta che fu uno studente “somaro”, uno fra tanti. Lui, il somaro Daniel, il ragazzino che non capisce niente, angoscia della mamma, si salva. Non solo non abbandona la scuola, ne diviene docente apprezzato, stimato. Ma diviene, soprattutto, uno scrittore affermato. La somaraggine non è uno status definitivo: è possibile venirne fuori. Bisogna trovare, però, il contesto giusto. Pennac lo trova in un convitto, dove studia dalla seconda media al penultimo anno della maturità, nell’incontro di quattro professori, che lo scuotono dal torpore. Grazie a loro, all’amore disinteressato verso il ragazzo che a scuola accumula zeri, Daniel esce definitivamente dal recinto dei somari. La scuola è fatta soprattutto dall’insegnante, dice Pennac, più che di perfetti sistemi pedagogici.
Una ricetta semplice. Una visione semplicistica. Non è così: il docente e lo scrittore non presentano soluzioni. Pennac sa bene quando sia complessa l’istituzione scolastica e, soprattutto, quando sia difficile e variegato il mondo adolescenziale, in particolare, quello delle periferie urbane. Lo scrittore racconta la sua esperienza di studente senza futuro, del ruolo salvifico che hanno avuto su di lui alcuni educatori, della sua vita di docente. Da tutto ciò trae alcune considerazioni, anche pedagogiche, psicologiche, didattiche. Mai una ricetta.
Un libro che si legge come un romanzo, che aiuta a riflettere, che affonda il bisturi nelle piaghe della scuola. Che guarda, con particolare attenzione, a quegli studenti che a scuola non vanno bene, che non hanno voglia di studiare, che dicono di non capire niente.
(Spero, però, che qualche studente scansafatiche non pensi che per essere un bravo professore e affermato scrittore lo status di somaraggine sia indispensabile! Daniel Pennac, all’età di 24 anni, era laureato e docente. Nutrito di tantissime letture.)
Nella foto la copertina del volume (elaborazione dell’Ufficio grafico Feltrinelli)
Daniel Pennac
Diario di scuola
Feltrinelli, febbraio 2008
http://www.feltrinelli.it/
(22 marzo 2008)
Giovanni Pistoia
“Insomma, ecco che anch’io mi metto a credere nel futuro, che ritrovo fiducia nella scuola pubblica. Dopo tutto è quella che ha formato mio padre, la scuola dell’obbligo, e a novant’anni di distanza questo ragazzino assomiglia molto a quello che doveva essere mio padre, il piccolo corso di Aurillac, verso l’anno 1913, quando suo fratello maggiore si mise a lavorare per offrire al fratello minore i mezzi e il tempo di varcare le porte del politecnico.
E poi ho sempre incoraggiato i miei amici e i miei allievi più brillanti a diventare insegnanti. Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti?”
Non solo: l’autore arriva a suggerire di scrivere “il ritratto dell’insegnante indimenticabile che quasi tutti abbiamo incontrato a un certo punto del nostro percorso scolastico…”; un’antologia così fatta offrirebbe lumi sulle “doti necessarie alla pratica di questo strano mestiere”.
Quale è, in fondo, la virtù principale per essere un buon insegnante? “L’amore”, risponde l’autore.
Daniel Pennac, nel suo “Diario di scuola”, si confessa: ci racconta che fu uno studente “somaro”, uno fra tanti. Lui, il somaro Daniel, il ragazzino che non capisce niente, angoscia della mamma, si salva. Non solo non abbandona la scuola, ne diviene docente apprezzato, stimato. Ma diviene, soprattutto, uno scrittore affermato. La somaraggine non è uno status definitivo: è possibile venirne fuori. Bisogna trovare, però, il contesto giusto. Pennac lo trova in un convitto, dove studia dalla seconda media al penultimo anno della maturità, nell’incontro di quattro professori, che lo scuotono dal torpore. Grazie a loro, all’amore disinteressato verso il ragazzo che a scuola accumula zeri, Daniel esce definitivamente dal recinto dei somari. La scuola è fatta soprattutto dall’insegnante, dice Pennac, più che di perfetti sistemi pedagogici.
Una ricetta semplice. Una visione semplicistica. Non è così: il docente e lo scrittore non presentano soluzioni. Pennac sa bene quando sia complessa l’istituzione scolastica e, soprattutto, quando sia difficile e variegato il mondo adolescenziale, in particolare, quello delle periferie urbane. Lo scrittore racconta la sua esperienza di studente senza futuro, del ruolo salvifico che hanno avuto su di lui alcuni educatori, della sua vita di docente. Da tutto ciò trae alcune considerazioni, anche pedagogiche, psicologiche, didattiche. Mai una ricetta.
Un libro che si legge come un romanzo, che aiuta a riflettere, che affonda il bisturi nelle piaghe della scuola. Che guarda, con particolare attenzione, a quegli studenti che a scuola non vanno bene, che non hanno voglia di studiare, che dicono di non capire niente.
(Spero, però, che qualche studente scansafatiche non pensi che per essere un bravo professore e affermato scrittore lo status di somaraggine sia indispensabile! Daniel Pennac, all’età di 24 anni, era laureato e docente. Nutrito di tantissime letture.)
Nella foto la copertina del volume (elaborazione dell’Ufficio grafico Feltrinelli)
Daniel Pennac
Diario di scuola
Feltrinelli, febbraio 2008
http://www.feltrinelli.it/
(22 marzo 2008)
Nessun commento:
Posta un commento