L'OSPEDALE DI SAN GIOVANNI ROTONDO |
La rivista internazionale Nature riporta i risultati di uno studio effettuato
in Casa Sollievo della Sofferenza
Nature intervista il Dott. Francesco Giuliani sul tema delle collaborazioni scientifiche
Dal portale “Padre Pio e la sua Opera”
Uno dei temi che attraversa negli ultimi tempi le pagine delle più importanti riviste scientifiche internazionali è la valutazione dei ricercatori. Il motivo è facile da comprendere. Chi finanzia i ricercatori (tra cui anche i semplici cittadini che offrono il proprio generoso contributo a favore della ricerca) vorrebbe possedere un metodo con il quale giudicare la qualità dei risultati ottenuti. Vorrebbe cioè capire a quali scoperte o innovazioni hanno portato i fondi che sono stati investiti in attività di ricerca. Trovare un metodo che possa misurare la “bontà” della ricerca scientifica non è però un’impresa semplice. Non lo è anzitutto per la natura stessa della ricerca scientifica che, in quanto attività che coinvolge la creatività umana, poco si presta ad essere misurata.
Ciò nonostante, a partire dagli anni ’50, una serie di ricercatori, capeggiati da uno scienziato americano, il Prof. Eugene Garfield, ha creduto nella possibilità di misurare, se non la qualità, almeno l’impatto nel mondo scientifico di una scoperta e quindi la visibilità del ricercatore che l’ha prodotta. Ne è nata una unità di misura, tristemente nota a chi si occupa di ricerca scientifica, conosciuta come “Impact Factor”. Questa misura si regge su un concetto molto semplice: se una ricerca (per essere corretti, una rivista scientifica) è importante (è cioè di “impatto”) allora i suoi articoli verranno citati molto dalle altre riviste. Nonostante il Prof. Garfield avesse avvertito che questo “metro” è utile per misurare la popolarità delle riviste e non per giudicare la qualità delle ricerche o dei ricercatori, quasi nessuno ha seguito le sue indicazioni. L’Impact Factor infatti è stato usato e viene ancora tristemente usato per giudicare la qualità di istituti di ricerca, di gruppi o di singoli ricercatori. Le cose però stanno cambiando. Infatti diversi ricercatori sono da tempo al lavoro per cercare alternative all’Impact Factor. Ne sono nate tante metriche, alcune delle quali ancora sperimentali, altre già consolidate (come l’h-index) che possano correggere i “difetti” dell’Impact Factor.
Ha affrontato questi temi anche la rivista Nature, che è nel ristrettissimo gruppo delle riviste scientifiche più importanti del mondo. L’ultimo numero di Nature riporta, sotto forma di intervista, il contributo che al dibattito su questi temi ha dato il Dott. Francesco Giuliani della Direzione Scientifica di Casa Sollievo della Sofferenza (http://www.nature.com/news/2010/101013/full/news.2010.538.html). L’intervista nasce grazie ad un articolo scritto dal Dott. Giuliani in collaborazione con l’Ing. Michele Pio De Petris (Direzione Scientifica) e con il Dott. Giovanni Nico (CNR-IAC, Roma) e pubblicato sul numero di ottobre della rivista Scientometrics. L’intervista non verte direttamente sui metodi per misurare la qualità della ricerca ma su un altro aspetto che ad essi è, in un certo senso, preliminare e cioè le collaborazioni scientifiche.
Ha affrontato questi temi anche la rivista Nature, che è nel ristrettissimo gruppo delle riviste scientifiche più importanti del mondo. L’ultimo numero di Nature riporta, sotto forma di intervista, il contributo che al dibattito su questi temi ha dato il Dott. Francesco Giuliani della Direzione Scientifica di Casa Sollievo della Sofferenza (http://www.nature.com/news/2010/101013/full/news.2010.538.html). L’intervista nasce grazie ad un articolo scritto dal Dott. Giuliani in collaborazione con l’Ing. Michele Pio De Petris (Direzione Scientifica) e con il Dott. Giovanni Nico (CNR-IAC, Roma) e pubblicato sul numero di ottobre della rivista Scientometrics. L’intervista non verte direttamente sui metodi per misurare la qualità della ricerca ma su un altro aspetto che ad essi è, in un certo senso, preliminare e cioè le collaborazioni scientifiche.
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