Pur avendo origini lontanissime,
risalgono al Medioevo le prime esperienze, l’acquerello non si è mai imposto
come la pittura ad olio, forse perché è stato appannaggio di amanuensi e di
illustratori o forse perché è luogo comune pensare che nasca dall’impatto e non dalla meditazione.
Errore grave, che in parte fu
superato, non però cancellato, quando l’autorità di Ettore Roesler Franz creò
grande attenzione su questa tecnica che è l’unica, come sosteneva una grande
poetessa russa Marina Cvetaeva, a saper cogliere a volo l’attimo fuggente,
quella sorta di colore vivace e vagante che si coagula in un baleno e si
dissolve immediatamente.
Io ritengo, non me ne vogliano
gli amici pittori, che riuscire a realizzare opere valide con l’acquerello è
assai più difficile, perché tutto si gioca sulla immediatezza, sul nesso che il
pulviscolo e la luce riescono ad annodare per rendere non il paesaggio, la
strada o il monumento in sé, ma il sogno della strada, del monumento, di un
qualsiasi altro soggetto.
Daniela Marzano da anni si è
dedicata interamente all’acquerello e oggi finalmente possiamo godere i
risultati del suo impegno, della sua ricerca, del suo entusiasmo in opere che vedono Roma al centro
dell’attenzione, ma con intenti che vanno oltre il puro dato illustrativo, per
cogliere l’anima della Caput Mundi, per
riviverla in una dimensione oscillante tra sogno e realtà, come se gli scorci
della città fossero creature che in punta di piedi venissero a farci visita.
Questa cautela ha permesso alla pittrice di riempire di carezze coloristiche i
monumenti, facendoli diventare ancora più belli, come ha osservato Maurizio
Martena visitando la mostra intitolata “Roma musa dell’arte”.
Daniela Marzano ha saputo entrare
nella polpa viva del patrimonio monumentale di Roma quasi ritraendo ogni
particolare, ma non è mai caduta, non si è fatta afferrare mai dalla maniera.
Credo che la sua grande sfida sia stata proprio questa, ripercorrere un
itinerario consueto, riproporre San Pietro, il Colosseo, l’Appia Antica, il
Ghetto, Villa Ada, senza farsi sfiorare dalla tentazione oleografica che sta
sempre in agguato quando si reiterano situazioni e immagini ormai canoniche.
Ma la ricchezza di questi
acquerelli sta soprattutto nella poesia che Daniela è riuscita a immettere
realizzando le sue icone. Lo ha fatto come soffiando sui colori, come se
volesse acciuffare la sintesi degli elementi che si aprono e si chiudono nei
giochi della luce senza mutare la delicatezza che la tavolozza le suggeriva
nella sua naturalezza. In questo modo ha rispettato la qualità dell’immagine
colta dal suo sguardo, ma l’ha filtrata nelle pieghe del cuore, fino a
raggiungere un equilibro formale di rara efficacia. Diversamente avremmo avuto
elaborazioni perfette e riscontri realistici, ma non questo fiato che le forme
e i colori sono riusciti a rendere sinfonia, armonia d’un concerto che ha fatto
davvero rivivere i luoghi portandoli oltre la monumentalità, oltre la storia,
adagiandoli nel luogo dell’anima.
Da un punto di vista strettamente
tecnico non c’è una minima sbavatura e ciò la dice lunga anche sull’impegno di
Daniela che, per esempio, in “Natura e storia” e in “Atmosfere romane” immette
il suo entusiasmo restituendocelo con la memoria di chi, ancora una volta,
vuole sentire fremere le atmosfere, addirittura i muri.
Insomma siamo al cospetto di
un’artista compiuta, che ha consapevolezza del suo percorso e delle
acquisizioni teoriche e tecniche raggiunte, ma non si crogiola negli esiti,
anzi gli esiti a cui è arrivata la spingono a scavare ancora, consapevole che
in arte non si è mai all’approdo, ma sempre sula pista e pronti a nuove
conquiste.
Durante la mostra ho dato anche
uno sguardo ai due album che Daniela Marzano
ha esposto sopra un tavolo. Devo dire che mi hanno affascinato per la
forza espressiva che vi è dentro, per l’invenzione che gioca sulle sfumature e ne ricava momenti di
congiunzioni celesti. No, non esagero, sui fogli di questa pittrice scorre
l’anima, non solo la perizia e la bravura e si sa, se nel realizzare opere
poetiche, musicali o pittoriche, oltre a dimostrare d’avere gli strumenti
necessari per realizzare, si riesce a far filtrare anche il palpito
dell’immaginazione e del sogno, allora il risultato sarà davvero convincente,
proprio come è il caso di Daniela.
Saluto questa mostra con fervore
non solo perché ho scoperto un talento prezioso, ma anche perché forse si può
ripartire da lei per far ritornare all’acquerello che, quando è frutto di
entusiasmo, riesce a portare nella dimensione dove è possibile trovare il senso
del divenire.
L’acquerello, diceva Enotrio, è
una finestra aperta all’alba sugli arcobaleni che viaggiano e si scambiano
abbracci. Una definizione forse troppo poetica, ma che io trovo vera e che
trovo realizzata in queste immagini di Daniela Marzano autentiche, grondanti di
vita, di amore vero per una Roma che è diventata tutta sua, ricca di echi
lontani, di fermenti che accendono il visitatore e lo rendono complice di una
passeggiata rigeneratrice, direi perfino purificatrice.
Gli acquerelli di Daniela hanno
anche questo dono, perché a guardarli bene sono anche figli di una metafisica
che ha ragioni profonde nel suo animo, che ha sogni costantemente con le ali
aperte sull’Infinito.
Nessun commento:
Posta un commento