mercoledì 28 maggio 2008

la scuola/Il buon senso dei bambini

Il buon senso dei bambini
Concita De Gregorio*

La lettera degli alunni di quarta elementare che scrivono al ministro per dire la prego, ci lasci ancora un anno la maestra anche se è vecchia e deve andare in pensione dice moltissimo di quello di cui i bambini hanno bisogno e, in fondo, anche noi: il buon senso e i bisogni primari prima della burocrazia, per esempio. Se quella maestra è l’unica persona che hanno avuto come “persona di riferimento” nella loro crescita (le insegnanti di matematica, le altre, sono cambiate continuamente) lasciate almeno lei, cosa vi costa. Già i genitori non ci sono mai, già i nonni vivono lontani, già essere piccolo è un lavoro estremo: lasciateci qualcuno che resti e finisca quel che ha cominciato. Anche da adulti se ne sente molto il bisogno: qualcuno che resista, che si occupi di noi, che resti. La pratica di scrivere al ministro, inoltre, dice molto del tempo in cui viviamo: un tempo di eccezioni alle regole quasi sempre percepite come ingiuste in cui per chiedere un lavoro, decidere se avere un figlio, rivendicare il diritto ad una casa bisogna scrivere direttamente al presidente. Non resterà, la maestra. Il nuovo ministro ha risposto ai piccoli che non si può: è la legge. Magari può rimanere a scuola ma non in classe. È giusto, certo, però che peccato non ascoltare i bambini: non sentire quello che dicono nascosto dietro le parole.

*Concita De Gregorio “Il buon senso dei bambini” nella rubrica “Mercoledì”, la Repubblica 28 maggio 2008.

(28 maggio 2008)

martedì 27 maggio 2008

la rivista/Leggere per Crescere


Leggere per Crescere
Giovanni Pistoia

Tu puoi avere immense ricchezze:
scrigni colmi di gioielli, forzieri d’oro.
Più ricco di me non potrai mai essere.
Io ho avuto una mamma che mi ha letto
”.

Gillian Strickland (1869-1954)
Frammento della poesia
LA MAMMA CHE LEGGE

Sulla quarta di copertina del numero primaverile della rivista “Leggere per Crescere” (Anno IV n. 1) sono riportati questi bei versi dedicati ad una mamma che ha saputo regalare il dono della lettura. Una mamma, piace pensare, che non ha imposto –brutto termine, particolarmente se riferito alla lettura- discorsi lunghi, noiosi, retorici, sulla bontà della lettura, sul valore del leggere, eccetera, eccetera, ma ha semplicemente preso un libro e, insieme al bimbo, ha solcato oceani, incontrati personaggi, figure fantastiche, maghi più o meno simpatici, avventure di uomini e donne, e così via. Il tutto attraverso lo sfogliare scanzonato e divertito di un libro. Senza annoiarsi. Divertendosi, appunto. Insieme. Per un lungo viaggio.

In fondo è questo il messaggio più significativo che la rivista porta avanti. Il periodico della GSK (GlaxoSmithKline), utile strumento di formazione e di aggiornamento per operatori dell’infanzia e le famiglie, è una pubblicazione inserita nel più vasto progetto, denominato, appunto, “Leggere per Crescere” che l’azienda porta avanti da alcuni anni in tutta Italia.

Recentemente, proprio grazie a questo progetto, volto a promuovere la lettura ad alta voce principalmente nelle famiglie con bambini in età prescolare o in situazione di bisogni speciali come nel caso di lunghi ricoveri ospedalieri pediatrici, di disabilità o di appartenenza a famiglie di immigrazione, l’azienda ha ricevuto l’ambito premio “Amico della famiglia”; premio istituito nel 2007 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche della Famiglia.

Anche in questo numero molti i servizi importanti e che andrebbero tutti citati. Ne voglio sottolineare uno soltanto, dal titolo: “bambini perfetti? Meglio autentici”. Che significa? Significa che i genitori non possono pensare di “costruire” figli a immagine dei propri desideri e delle proprie aspirazioni. Oppure nel tentativo di allevare figli perfetti. L’obiettivo da perseguire, invece, è quello di guidare la crescita, di contribuire a sviluppare la personalità dei figli, personalità che è unica e irripetibile.

Chi desidera prendere visione dell’intero numero della rivista può cliccare il sito:

http://www.leggerepercrescere.it/attach/content/1727/primavera08.pdf

Le famiglie che lo desiderano possono ricevere gratuitamente il manuale iscrivendosi al sito:

http://www.leggerepercrescere.it/

La visita al sito è importante anche per essere informati sulle iniziative legate al progetto “Leggere per Crescere” ma anche per essere aggiornati sulle nuove pubblicazioni per l’infanzia a cominciare dai consigli di lettura per bambini da 0 a 6 anni.

Nella foto il numero di maggio 2008 della rivista.

(27 maggio 2008)

lunedì 26 maggio 2008

eventi/Biblofestival


Biblofestival


Dal 30 maggio, e fino all’8 giugno 2008, si terrà la Settima edizione di Biblofestival, evento interamente dedicato ai ragazzi e alla loro letteratura.

Per dieci intensi giorni vi saranno incontri con autori, narrazioni, laboratori, spettacoli, teatri di strada, e tanto altro ancora.

Da precisare che tutte le iniziative sono gratuite. È appena il caso di dire che non saranno solo i ragazzi a godere delle varie iniziative ma anche gli adulti, che, spesso, con la “scusa” di accompagnare i piccoli, in verità, si trovano a proprio nel mondo dell’infanzia.

L’evento è promosso e organizzato dal Sistema Bibliotecario Intercomunale dell’Area di Dalmine (Bergamo). Infatti i comuni interessati all’evento sono:

Arcene, Azzano San Paolo, Boltiere, Brembate, Comun Nuovo,Dalmine, Lallio, Levate, Mozzo, Osio Sopra, Osio Sotto,Paladina, Spirano, Stezzano, Urgnano, Verdellino, Verdello.

Chi desidera avere tutte le informazioni può visitare il sito:

http://www.liberweb.it/biblofestival/index.htm

Il sito, molto bello e allegro, spiega cos’è il Biblofestival, riporta nei dettagli il Calendario delle varie iniziative, e tanto altro ancora. Nella sezione “Gallerie immagini”, per esempio, possono essere visionate le edizioni precedenti del festival attraverso le simpaticissime illustrazioni di Margit Kross, che firma anche quella di quest’anno, riportata in alto.


Buona visita al sito e buon divertimento a chi può prendere parte agli spettacoli.


Utile anche visitare il sito del Sistema Bibliotecario Intercomunale dell’Area Dalmine:


http://www.sbi.areadalmine.bg.it/

(26 maggio 2008)

sabato 24 maggio 2008

eventi/Il Giorno del Gioco













I bambini non stanno mai fermi, si sa
Luisa Mattia
http://www.luisamattia.it/

I bambini non stanno mai fermi, si sa. Ai bambini, dicevano
le nonne, bisogna stargli appresso.
E quell’ “appresso” suonava come un obbligo e una sfida al
tempo stesso.
Ché i bambini - e pure questo è risaputo - amano dileguarsi,
scappare per essere ripresi, sfuggire per avventurarsi
nei territori vietati.
Amano anche, i bambini, essere lasciati in pace, farsi i
fatti propri e passare il tempo come meglio credono.
Gli adulti, dei bambini, sanno poco.
Nonostante le buone intenzioni.
Nonostante l’amore.
Nonostante il senso di responsabilità.
Sanno proprio poco, gli adulti.
Enrico De Santis sa tutto questo.
Sa che i bambini sono come gocce di mercurio e bisogna
stargli appresso ma senza ansia e con molto pudore, perché
l’infanzia, qualunque sia il paese in cui si rivela e vive,
ha bisogno di crescere dentro spazi larghi, pieni di respiri
quieti, e di risate, e di semplicità.
E’ un sapere che gli viene perché lui “è ancora un bambino”?
Le sue foto azzerano la retorica e ci dicono che no,
questo è un fotografo che bambino lo è stato, che si ricorda
bene la sua infanzia, che si è gustata quell’età con le
sue luci e le sue ombre e che ora la guarda con l’occhio
brillante di un adulto.
E ce la svela. Senza retorica.
Si mette appresso ai bambini, non li scoccia, non li invade
e riesce a restituirci le loro facce, i loro gesti, la
semplicità elegante del gioco, suggerendo occhiate lievi,
affettuose, attente. Gli occhi di Enrico De Santis,
fotografo, catturano lo sguardo nostro e lo portano piano
a osservare.
Non a spiare, né a cogliere l’indefinito.
Perché i bambini sono il contrario della vaghezza.
I bambini ci sono tutti in queste foto.
Esistono.

Luisa Mattia
Autrice di libri per ragazzi


Per tutte le informazioni sulla mostra fotografica e sulla bella iniziativa visionare i programmi:

http://www.ilgiornodelgioco.it/documenti/Volantino.pdf

http://www.ilgiornodelgioco.it/documenti/Brochure.pdf

(24 maggio 2008)

eventi/Leggere per sentirsi sollevati

Leggere per sentirsi sollevati
http://www.comune.campi-bisenzio.fi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/242


LEGGERE PER SENTIRSI SOLLEVATI
Nuovo servizio di biblioteca nell’Ospedale pediatrico Meyer


Incontro pubblico
Giovedì 12 giugno 2008
ore 9.00-13.00

Dall’autunno del 2008 sarà attivo presso l’Ospedale pediatrico Meyer un servizio di biblioteca finanziato dalla Regione Toscana e gestito e reso operante dalla Fondazione Meyer, dalla Biblioteca di Villa Montalvo di Campi Bisenzio, dall’Associazione Helios e dalla collaborazione degli educatori della Ludoteca dell’Ospedale Meyer.

L’incontro pubblico di giovedì 12 giugno prevede la presentazione del progetto e un confronto su temi ed esperienze di lettura in ambito pediatrico.

Ingresso libero fino a esaurimento posti

Programma

Saluti
Paolo Morello (Direttore A.O.U. Meyer)

Susanna Giaccai (Regione Toscana - Settore biblioteche)

Adriano Chini (Sindaco di Campi Bisenzio)

Francesco Sarti (Presidente Associazione Helios)

Introduzione
Carlo Barburini (Direttore della Fondazione Meyer)

Relazioni
Il piacere di leggere
Perché le storie non sono "medicine"!
Manuela Trinci (Psicologa e psicoterapeuta)

Ehi... mi leggi una storia? L'esperienza della biblioteca in ospedale a Modena Rita Borghi (Biblioteche del Comune di Modena)

“Ho ventiquattro bolle di morbillo”
Scrivere e leggere con i bambini di salute e malattia

Anna Sarfatti (Insegnante e scrittrice)

Lo scaffale volante
Letture, racconti, laboratori, nei reparti e nella ludoteca dell'Ospedale Meyer

Nicolò Muciaccia, Paola Di Gioacchino (Ludoteca del Meyer)

L’incontro si svolgerà presso la Ludoteca dell’Ospedale Pediatrico Meyer,
Villa Ognissanti, Viale Pieraccini 24
Careggi, Firenze

Per informazioni:

Fondazione Meyer
tel. 055 5662316
segreteria.fondazione@meyer.it
www.fondazione.meyer.it


Biblioteca di Villa Montalvo. Centro regionale di servizi per le biblioteche per ragazzi
Via di Limite 15 - 50013 Campi Bisenzio (FI).
Tel. 055 8959600 - Fax 0558959601
http://www.comune.campi-bisenzio.fi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/242

E-mail:
biblio.centroregionale@comune.campi-bisenzio.fi.it

http://www.comune.campi-bisenzio.fi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/273

http://www.cultura.toscana.it/biblioteche/index.shtml


Nella foto: Il complesso monumentale di Villa Montalvo al cui interno è ospitata la biblioteca.

(24 maggio 2008)

venerdì 23 maggio 2008

eventi/Il Giorno del Gioco


Il Giorno del Gioco

21 - 24 maggio 2008
Il Giorno del Gioco 2008 si moltiplica x 4!

Mostra Fotografica di Encrico De Santis "Gioco con poco"
Come giocano i bambini nel mondo
20 maggio - 20 giugno 2008

Roma, Villino Medioevale (Villa Torlonia)

Via Lazzaro Spallanzani, 1A


Orario di apertura

da martedì a domenica ore 9.00 - 19.00

L'idea di istituire un giorno dedicato al gioco è stata avanzata dal "Consiglio dei bambini di Roma" ; è promossa dall'Assessorato alle Politiche di promozione della Famiglia e dell'Infanzia - Dipartimento XVI.
In questa seconda edizione sarà realizzata da:



con il patrocinio di:

Comitato Italiano per l'UNICEF Onlus

in collaborazione con:

i Municipi di RomaUniversità di Roma Tre - Facoltà di Scienze della Formazione

CNR Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione
Protezione Civile di Roma

Ares 118 - Regione Lazio
Croce Rossa Italiana

Comando Provinciale Vigili del Fuoco -

Roma Società Met.Ro

(23 maggio 2008)

giovedì 22 maggio 2008

eventi/Biblofestival

dedicato ai ragazzi e alla loro letteratura
30 maggio-8 giugno 2008

10 giorni di incontri con autori, narrazioni, laboratori, spettacoli, teatro di strada, performances
10 giorni tutti da vivere e condividere, ragazzi e adulti, insieme

Tutte le iniziative sono gratuite

Un evento promosso e organizzato da

Sistema Bibliotecario Intercomunale dell’Area di Dalmine (Bergamo)

Biblofestival

si svolge nei comuni di:

Arcene, Azzano San Paolo, Boltiere, Brembate, Comun Nuovo,Dalmine, Lallio, Levate, Mozzo, Osio Sopra, Osio Sotto,Paladina, Spirano, Stezzano, Urgnano, Verdellino, Verdello

Tutta l’informazione all’indirizzo:

http://www.liberweb.it/biblofestival/index.htm

(22 maggio 2008)

domenica 18 maggio 2008

passeggiando tra i libri/Voglia di Vita


Voglia di Vita
Adelaide Ciotola*

Mi chiamo Ciotola Adelaide, sono nata il 6 giugno 1999 a Napoli. Da quando ero piccolissima ho iniziato ad andare sempre in ospedale. Sono andata in tanti ospedali diversi fino ad arrivare a Genova (il “Gaslini”): ho un problema ai polmoni.

Mi porta delle broncopolmoniti e mi danneggia tanto i polmoni. Devo stare sempre con l’ossigeno e prendo sempre medicine, e per colpa di questo fatto non posso mai andare a scuola che purtroppo io amo molto. In tutti questi anni mi sono successe tantissime cose e ho vissuto molte avventure, alcune brutte, ma ci sono anche avventure bellissime: ho conosciuto tanti medici ed infermieri e persone che mi sono rimaste nel cuore. Vi vorrei raccontare delle cose che mi sono capitate. Ogni volta che vado in ospedale faccio delle terapie e molti esami che mi fanno sentire tantissimo dolore, ma non importa perché io sono molto forte e supero sempre tutto, perché ho sempre con me l’aiuto di Gesù e della Madonnina. Loro mi vogliono molto bene e sono sicura che non mi abbandoneranno mai. Ho pensato di scrivere questo libro perché mi piacerebbe molto che tante persone, leggendo la mia storia, possano diventare come me e non spaventarsi magari per un piccolissimo prelievo o per qualche piccolo dolorino. Io nonostante tutto sono una bimba molto forte ed ho tantissimi amici, molte persone mi sono vicine e mi aiutano ed io gli voglio un mondo di bene. Ci sono in particolare la maestra, Annamaria, Silvana, Martina, Lino, Alessandro, tutti i loro amici della chiesa, la maestra Carmen, zia Alma, la maestra Patrizia, la direttrice Daniela e le sue amiche che ho appena conosciuto e Giovanni, la moglie e suo cugino Alberto con la moglie, la maestra Margherita e poi tantissime altre persone che vi vorrei far conoscere. Vi racconterò piano piano un po’ di tutti loro.

*Nota. Adelaide Ciotola è la bambina autrice del libro “Voglia di Vita”. Il brano pubblicato è l’inizio del suo diario: un emozionante viaggio tra speranze, qualche amarezza, fede e tanta, tanta voglia di vivere. Forza Adelaide!

Adelaide Ciotola
Voglia di Vita
Nicola Longobardi Editore, 2007
http://www.nleditore.it/

Per richiedere il libro: info@nleditore.it

(18 maggio 2008)

passeggiando tra i libri/Voglia di Vita

Voglia di Vita
Giovanni Pistoia

Ora sta per arrivare la Pasqua che è una festa bellissima ed io spero tanto che riesca a mettere tanta serenità e amore nel cuore di tutte quelle persone che vivono solo per fare cattiverie. Lo so perché molto spesso alla televisione sento delle notizie molto brutte, come, ad esempio, il rapimento del piccolo Tommy, poverino. Spero tanto che il buon Gesù in questo momento gli sia vicino e che non lo abbandoni per non farlo spaventare tanto, così lontano dai suoi genitori e dalle sue medicine. Sì, perché il povero Tommaso purtroppo è malato ed ha bisogno di prendere le sue medicine, altrimenti rischia la vita proprio come me che non posso stare senza medicine ed è per questo che spero proprio che Gesù possa entrare nel cuore dei rapitori di Tommaso, sì perché credo che in fondo un cuore lo abbiano anche loro. Quindi spero che si passino un pochino la manina sulla coscienza e restituiscano il piccolo Tommy ai suoi genitori, spero tanto che la mia amichetta Stellina le sia vicino e le dia tanto coraggio e che tutto finisca a lieto fine”.

È uno delle tante pagine che turbano il lettore di un libro davvero particolare. A scriverlo non è un’autrice affermata. Né un giovane esordiente. È una bambina che non ha ancora compiuto dieci anni e che trascorre il suo tempo, dall’età di quattro mesi, tra ospedali, laboratori, interventi chirurgici, medicine.

Adelaide Ciotola è nata nel 1999 con la sindrome del lobo medio, una malattia rara che le procura giornate e nottate dolorose, sofferenze inaudite. Soprattutto per una bambina come lei che è costretta a stare spesso lontana dalla scuola alla quale è molto legata. Eppure queste condizioni non la piegano. Tutt’altro. Da questa esperienza Adelaide ne trae una forza eccezionale, un amore grande verso la vita, i parenti e gli amici. Decide di raccontare le sue giornate, scandite dal malessere, dalle medicine, dai ricoveri. Ne viene fuori un diario che coinvolge, emoziona, fa riflettere.

Vi sono pagine che lasciano il segno, argomenti trattati con genuino candore e pur tuttavia con una forza insospettabile. Il diario non è solo un racconto di giornate dolorose, ma è, soprattutto, il canto profondo e gioioso di attaccamento alla vita, l’inno ai genitori e, in particolare alla mamma, la certezza che tutti questi sacrifici finiranno perchè la vita deve essere vissuta.
Il suo essere bambina le fa comprendere fino in fondo il dolore degli altri bambini, i tanti che conosce lungo il suo peregrinare negli ospedali, in particolare al “Gaslini” di Genova e lungo il suo agognato viaggio verso Lourdes per incontrare la sua “carissima Madonnina”. Uno di questi incontri segna la sua vita: la conoscenza di Stellina che, purtroppo, troppo presto diventa una stella, e che Adelaide elegge suo angiolo protettore. Da qui la sua ansia per la sorte del povero Tommy e il dolore nell’apprendere della sua morte: “Ciao, Tommy, ora sei vicino alla mia amichetta Stellina; per favore salutala da parte mia e ricordale che le voglio sempre un mondo di bene e ti prego, Gesù, fa che queste brutte vicende nel mondo non accadano più.

Adelaide affida alle pagine colorate di un libro, le sue ansie ma, soprattutto, messaggi di grande maturità e spiritualità: nessuno ha il diritto di togliere la vita a qualcuno; chiunque soffre non deve mai arrendersi; chi soffre deve essere un testimone verso quanti, anche se hanno la fortuna di stare bene, sono prigionieri di assurdi egoismi non riuscendo, così, a comprendere il senso vero della vita, che è “dono”, “gioia”, “raggio di sole”.

Nella foto la copertina del libro

Adelaide Ciotola
Voglia di Vita
I miei giorni in ospedale
Nicola Longobardi Editore, 2007
http://www.nleditore.it/
e-mail:
info@nledire.it

(18 maggio 2008)

venerdì 16 maggio 2008

giochi/Alla ricerca dei giochi perduti


Alla ricerca dei giochi perduti

Il 3 ottobre del 1998 si tiene a Corigliano Calabro un convegno nazionale sul tema: “La Letteratura per l’infanzia e la figura di Carmine De Luca”. Un nutrito gruppo di amici di De Luca intervengono – tra questi, Tullio De Mauro, Marcello Argilli, Pino Boero, Ermanno Detti, e altri - per testimoniare, ancora una volta, il ruolo svolto dallo studioso calabrese per lo sviluppo dell’editoria e, in particolare, di quella infantile.

Per l’occasione viene stampato un volumetto in edizione non commerciale in appena trecento copie numerate e consegnato ai convegnisti.
Edito da “il serratore”, il libro, un tascabile dal titolo “Alla ricerca dei giochi perduti”, raccoglie alcuni articoli che Carmine De Luca ha pubblicato su l’Unità e sulla rivista “il serratore”.
(Testi che ora è possibile leggere su questo blog nella sezione “giochi”).
Ed è Enzo Viteritti, direttore della rivista, che firma una breve “Nota” a conclusione della raccolta. Nota che qui ripropongo:

Nota di Enzo Viteritti

Non ci vedevamo spesso, con Carmine De Luca, in media una volta all’anno. Ci incontravamo alla “Grande festa di via Roma”, una manifestazione popolare coriglianese, cui, se possibile, non voleva mancare. Noi con la nostra “bancarella” del Serratore, lui curioso di vecchi mestieri e tradizioni. Ma, tramite premuroso il fratello Micuccio, eravamo sempre puntualmente informati della sua attività. Ovviamente, quando decise di affidare al Serratore i suoi ricordi sui “giochi di una volta”, i contatti si infittirono.

La rivista gli era sempre piaciuta. Dopo l’uscita dei primi due numeri ci aveva scritto una lunga ed affettuosa lettera, dicendosi entusiasta dell’impostazione generale ed incoraggiandoci a non aver paura della nostalgia, se questa poteva significare anche “sana ed intelligente ricerca delle proprie radici e tentativo di ripristino di una memoria storica sempre più labile e sfilacciata”. Coglieva bene il senso di quello che voleva essere il Serratore. E con questo spirito ha poi voluto pubblicare i “pezzi”, oggi raccolti in questo volumetto, dedicati ai giochi che lo avevano intensamente accompagnato durante l’infanzia e l’adolescenza.

Spiegava, con l’autorità dello studioso e il divertito distacco di chi ormai sa trovare per essi riferimenti colti e citazioni adatte, il “battimuro” e la stoppa, il “nascondino” e il “carburo”, “u ruollo”. Ma, spesso, dal racconto affioravano i ricordi di un tempo in cui si giocava soprattutto all’aperto, nelle calde giornate di sole come nei rigidi pomeriggi invernali, sempre con i calzoni corti, secondo “un costume familiare che non si curava dei possibili effetti delle temperature fredde”. Ma non importava. Nella verde periferia che si dilatava attorno all’ex ginnasio “Garopoli”, i ragazzi di allora potevano concedersi il lusso di correre senza scarpe, godendo del “gradevole contatto dei piedi con l’erba fresca, con il pastoso fango, con la sabbia tiepida”. E i giochi sapevano riservare sorprese. Come quando gli capitò, durante una partita a nascondino, di trovarsi “nascosto sotto la cupola formata da un lenzuolo che una giovane promessa sposa ricamava”. Con la luce del sole che, filtrando, consentiva “perturbanti visioni”. E poi c’erano i “raffinati e sottili piaceri della stoppa”, un gioco d’azzardo trasformato, con Enzo, Vittorio e Peppino, in un “rituale al quale senza rammarico si sacrificava qualsiasi altro possibile diversivo”.

Rievocava con meticolosità gesti, atmosfere, impressioni a cui era rimasto affezionato e che voleva fermare sulla carta per farne dono a quanti non avevano avuto la fortuna di “assaporarle”. E poi affiorava, quasi con pudore, il suo amore per lo studio, per i libri.

Se esiste una vita nell’al di là, Carmine adesso dovrebbe essere circondato da libri. Quei libri che amava e di cui amava parlare e di cui viveva. Gli piaceva progettarne di nuovi, di studiarne formati, caratteri, tipo di carta, rilegatura, illustrazioni. Una volta, con Pino Marasco, lo incontrammo ad una fiera del libro per ragazzi a Bologna. Era un po’ stanco, ma felice. Nel “suo” stand degli Editori Riuniti ci accolse con gioia. Parlammo di Corigliano. Dei libri e delle collane che avremmo potuto fare insieme. Dispensava con generosità idee e suggerimenti, gli occhi allegri all’idea di nuove avventure editoriali. Lo ricorderemo sempre così.

Nell’immagine la copertina del volumetto con disegno di Cosimo Budetta.

Per informazioni sulla vita e l’attività di Carmine De Luca, visita il sito: http://www.fondazionedeluca.it/

(16 maggio 2008)

giovedì 15 maggio 2008

giochi/Quando si andava a gigli

Quando si andava a gigli
Carmine De Luca*

Con i soli di giugno-luglio nostra meta preferita era il terrazzo sovrastante la villa comunale. Quello stretto terrazzo, costruito a sostegno della strada che porta alla Garopoli, era un fitto intrico di piante di iris (noi li chiamavamo più semplicemente gigli, e nel nostro linguaggio sbrigativo l’espressione “ai gigli” indica quel posto: “andare ai gigli” era uno dei diletti della controra estiva). Su quello stretto terrazzo si andava spesso a caccia di lucertole. Si catturavano con un cappio di filo d’erba. Tentavano di scappare e il cappio stringeva: non c’era nulla da fare. Per conquistare quello stretto terrazzo bisognava sottrarsi allo sguardo attento del guardiano della villa comunale. Si chiamava zio Francesco? Non ricordo bene. Ma ho la netta memoria della sua profonda dignità. A noi ragazzini faceva paura col bastone che aiutava la sua gamba claudicante da reduce della guerra (la Grande Guerra?), e nonostante il terrore che incuteva, qualcuno di noi riusciva – chissà in quale piega della sensibilità, chissà per quale meccanismo emotivo – a d apprezzarne l’austero decoro.

A caccia di lucertole si andava attrezzati di qualche cicca di sigaretta che qualcuno di noi si era preoccupato di raccattare per strada o in qualche portacenere (ma c’erano i portacenere? Si usavano?). Un po’ di tabacco della cicca, fatto denso e fetido grumo di nicotina, lo si metteva – scellerata perfidia infantile! – nella bocca dell’animale. Questo era il gioco, questo il crudele obiettivo di “andare ai gigli”. La lucertola avvelenata era presa da un immediato tremore che subito si trasformava in convulsioni epilettiche. Poi di colpo moriva restando stecchita.

A dare maggiore portata alla malvagità si andava a caccia delle lucertole più grosse: più grandi erano, più forte e più duraturo era l’effetto del tabacco.
Scagli la prima pietra chi, nell’infanzia, non ha catturato una mosca per staccarle le ali e abbandonarla a un destino (breve) di morte (smarrita, la mosca trascina il suo corpo), o non ha legato barattoli alla coda di un gatto, o, come un mio compagno di scuola (niente nomi! Niente delazioni per le crudeltà infantili!), lanciando cocci appuntiti (i “scìscioli”) dava la caccia ai polli: un giorno un coccio aguzzo prese una gallina nell’orifizio – come dire? – ovale. La povera dovette trascinarsi per strada una sanguinolenta massa di interiora.

Negli anni della mia infanzia – a cavallo tra anni quaranta e cinquanta – il rispetto degli animali era cosa inconcepibile. Anzi, era ritenuto cosa assolutamente disdicevole e tale da rendere altamente probabile la presa in giro. Era un comportamento da donnicciola. I libri di lettura scolastici che raccontavano di poveri animali maltrattati (ho memoria del rospo, “la schifosa bestia”, di Victor Hugo tradotto da Pascoli: “Era un tramonto dopo il temporale. / C’era a ponente un cumulo di cirri…”) non soltanto fallivano come apologhi edificanti, ma funzionavano da efficacissimi suggeritori di giochi perfidi. Quanti rospi avremo massacrato su suggerimento di Hugo e Pascoli! I giochi con gli animali dipendono strettamente dai tempi: oggi, per fortuna, sono tempi di tenerezze e di protezione istituzionalizzata: allora erano tempi di violenze gratuite – non solo da parte di bambini. L’aggressività infantile si esercitava sugli animali in mancanza d’altro. Significherà pure qualcosa il fatto che eravamo figli della guerra. Ricordate il film “Giochi proibiti”?

Chiunque da ragazzo abbia fatto esercizio di sadismo nei confronti degli animali ha modelli letterari celebri. Per esempio Tom Sawyer di Mark Twain. Nel capitolo quinto delle Avventure Tom è in chiesa e nel bel mezzo della preghiera, viene sfidato da una mosca. “Una mosca si era materializzata sulla spalliera del banco davanti a lui e aveva tormentato il suo animo con un placido soffregarsi le zampe; con lo strofinarle sulla testa, stropicciandola con tanto vigore da dare l’impressione di volerla staccare dal corpo e mettendo in mostra l’esile filamento che costituiva il collo; con lo sfregarsi le ali per mezzo delle zampe posteriori, lisciandole poi contro il corpo come se fossero le code di un frac; con il mettere in pratica, insomma, una completa toilette nella massima tranquillità, quasi sapesse di trovarsi completamente al sicuro. E, in realtà, così era; perché, nonostante gli prudessero le mani per la smania di acchiappare la mosca, Tom non si azzardava a farlo. Riteneva infatti che se si fosse abbandonato a una cosa simile mentre veniva recitata la preghiera, la sua anima sarebbe stata annientata all’istante. Ma, alla frase finale, la mano di lui cominciò a curvarsi e a portarsi avanti con mossa furtiva; e, nel momento in cui venne pronunciato l’Amen, la mosca diventò prigioniera di guerra”.

Le mosche sono vittime preferite di crudeli torture. Un giorno degli anni che sto rievocando tre compagni di scuola (ormai è regola che non si facciano nomi), ne legarono con un sottile filo di seta ben quattro, da una zampetta all’altra a formare una specie di piccolo stuolo che, liberato, andò a posarsi sulla cattedra dell’insegnante. Le conseguenze non sto a raccontarle.
Sono documentate nei registri di una scuola che veniva frequentata con incommensurabile gioia e con irrefrenabili svogliatezze.

Il catalogo dei giochi con gli animali è parecchio nutrito E non elenca soltanto scelleratezze e violenze. Contiene pure splendidi incanti e affascinanti stupori. Come quando ci si fermava, nei fervidi soli estivi, ad ammirare l’assoluta eleganza della verde mantide religiosa. Come quando, in ginocchio, si puntava lo sguardo attento nel cono del formicaleone in attesa di assistere al prodigioso fulmineo scatto con cui dall’interno della tana sabbiosa catturava qualche imprudente insetto. Poi, magari, lo stupido osservatore, afferrando bruscamente un pugno di terra, catturava, a sua volta, il feroce formicaleone. Ed era di nuovo violenza.


*Nota. L’articolo “Quando si andava a gigli” di Carmine De Luca è pubblicato sul quotidiano “l’Unità” e sulla rivista “il serratore”. Successivamente, insieme ad altri “pezzi” dedicati ai giochi, è raccolto nel volume “Alla ricerca dei giochi perduti”, il serratore, 1998. Il volumetto, che contiene una breve nota di Enzo Viteritti, direttore della rivista, è arricchito da disegni di Cosimo Budetta. Il “pezzo” riproposto è tratto dal libro, così come il disegno.


Hai una esperienza in merito a questo o ad altri giochi da raccontare? Se vuoi, scrivimi: giovannipistoia@libero.it

(15 maggio 2008)

lunedì 12 maggio 2008

eventi/Inaugurazione mostra al Museo Luzzati: GENOVA DALL'OBLO'

Inaugurazione mostra al Museo Luzzati: GENOVA DALL’OBLO’
http://www.museoluzzati.it/


Dal 15 maggio all’8 giugno una nave fantastica approda nel porto di Genova, al Museo Luzzati, e numerosi oblò si schiudono sulla città. Architetture, chiese, carruggi, monumenti, navi, moli, fari, personaggi, costumi, giardini, vicoli, vecchie trattorie, negozi, officine, laboratori.

Genova antica, medievale, odierna, Genova viva, Genova che scompare sono tra i soggetti scelti dagli artisti, genovesi e non, invitati a partecipare alla collettiva dal titolo Genova dall’Oblò, a cura di Sergio Noberini con l’organizzazione di Nugae e la collaborazione del Comitato di Genova dell’Unicef.
Cosa si vede di Genova dal mare? Una prospettiva circolare, ben delimitata ma con libera interpretazione del paesaggio, della storia, di suggestioni, scorci, visioni, emozioni di Genova.
Il Museo Luzzati raccoglie gli artisti a Porta Siberia e offre al pubblico opere nei diversi linguaggi: illustrazione, pittura, fotografia, ma anche poesia e letteratura in occasione di letture con attori e autori, con un’appendice benefica: in collaborazione con il comitato Unicef di Genova quasi tutte le opere saranno messe in vendita e con parte del ricavato verrano organizzati al Museo Luzzati laboratori gratuiti destinati ai bambini delle fasce più deboli nella stagione 2008/2009.

Gli artisti coinvolti sono: Abbatiello, Altan, Balan, Bergami, Berio, Biasetton, Bortolotti, Cagnolaro, Castelnovi, Cavo, Cencetti, Cerchi, Cereseto, Coppola, Costantini, Dalisi, Danielli, De Bernardo, Fedriani, Ferraris, Fiorato, Fresu, Frigerio, Galletta, Garrone, Giannotta, Ginepri, Giordano, Grondona, Locci, Luzzati, Matarese, Micheli, Milani, Milazzo, Musante, Musso, Novelli, Oikonomoy, Sirotti, Sulewic, Valido, Varbella
INAUGURAZIONE CON CONCERTO GIOVEDI 15 MAGGIO ORE 18
In occasione dell’inaugurazione giovedì 15 maggio alle ore 18 ingresso gratuito, aperitivo e concerto di Simona Caligiuri, Daniele Lombardi al clarinetto e Luca Gaviglio al pianoforte con il seguente programma: Wolfgang Amadeus Mozart selezione dal Flauto Magico per due clarinetti Felix Mendelssohn-Bartoldy Konzertstuck n°1 per due clarinetti e pianoforteAmilcare Ponchielli Divertimento (trascrizione per due clarinetti e pianoforte) Scott Joplin Two Ragtimes

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Entra nel magico mondo di Luzzati visitando il sito: http://www.museoluzzati.it/

(12 maggio 2008)

giochi/A colpi di monete

A colpi di monete
Carmine De Luca*

I giochi possono classificarsi utilmente secondo la stagione nella quale vengono praticati. Ma le stagioni dei giochi, a ben vedere, sono due, non quattro: si distinguono i giochi estivi, giochi all’aperto, e i giochi invernali o giochi domestici, tra quattro pareti. La primavera è assorbita dall’estate; l’autunno continua, in parte, l’estate, per il resto è risucchiato dall’inverno. A settembre ottobre, soprattutto dalle parti nostre, si protraggono i giochi estivi. Da novembre si è ormai in inverno.

Il discrimine fra le due stagioni era segnato, ai miei otto-dieci anni, nei primi anni cinquanta, dall’abitudine, non so quanto diffusa ma di ineffabile piacere, di portare o non portare le scarpe. Le scarpe, con i primi veri caldi – a giugno, a luglio – si toglievano e si rimettevano a settembre. Si usciva di casa doverosamente con le scarpe ai piedi, ma appena fuori dal tiro dei familiari ci si metteva scalzi. Gli inevitabili incidenti provocati da dolori e sanguinolenti incontri con schegge di vetro o con chiodi o con l’ortica erano compensati dalle delizie elargite dal sempre gradevole contato dei piedi con l’erba fresca, con il pastoso fango, con la sabbia tiepida.

Sapevo bene allora che andare in giro scalzi era inequivocabilmente segno di miseria, era indizio certo di bassa collocazione sociale. È per questo che i piedi scalzi osavano soltanto deserti campi, sentieri fuori dall’abitato, mai vie cittadine, per quanto queste fossero poco frequentate.

Nella stagione dei piedi scalzi si giocava a battimuro.
A battimuro si era autorizzati a giocare dai 12-13 anni in su. Autorizzati da chi e da che cosa? Dalle tacite norme che si formano e si istituzionalizzano col tempo nel collettivo di ragazzi. Per giocare a battimuro occorre disporre di una maturata coordinazione di movimenti (è abbastanza complessa la torsione del busto per la battuta), di una buona percezione delle distanze, di un sufficiente controllo della forza che va impressa alla moneta battuta al muro. E non è pensabile che prima dei dodici anni si sia capaci di tanto.

Si accedeva al gruppo di piccoli giocatori prima di tutto se si poteva contare sulla disponibilità di una congrua quantità di monete. Che venivano rintracciate con ansiose ricerche nei fondi di cassetti, in polverosi recipienti d’ogni genere dimenticati o abbandonati nelle zone meno in vista di casa (erano – che so – vasi che una volta avevano dignitosamente ospitato fiori e che, a seguito di chissà quali eventi, dispensati dalle originarie funzioni, erano adibiti a pigri contenitori di ogni cianfrusaglia).

Le monete disponibili, tra gli anni quaranta e cinquanta, erano diverse, tutte fuori corso, residui del sistema monetario dell’Italia dei Savoia e del fascismo. Sul davanti recavano tutto il profilo, volto a destra o a sinistra, di Vittorio Emanuele III (“Re e Imperatore”, era scritto lungo il bordo).
Sul retro avevano soggetti differenti.
Le due lire in acmonital (acronimo per “acciaio monetario italiano” che ad inizio della seconda guerra mondiale aveva sostituito il nichelio a causa dell’alto costo di questo metallo) recavano l’immagine dell’aquila imperiale con ali spiegate e nel basso lo stemma sabaudo. I 50 centesimi in nichelio avevano l’allegoria dell’Italia, con fiaccola nella sinistra, su carro trainato da quattro leoni; sui 20 centesimi in nichelio era indicato il valore della moneta inscritto in un esagono; i 20 centesimi in nichelio avevano la testa nuda dell’Italia rivolta a destra, con alla sinistra il fascio littorio; i 10 centesimi in rame un’ape su un fiore; i 5 centesimi in rame una spiga di grano.
La qualità del metallo determinava i risultati del gioco, l’agilità della traiettoria dal muro alla meta. Con i soldi di acmonital e di nichelio si avevano esiti esaltanti. Era più agevole afferrare tra le dita le due lire o i 50 centesimi. Rimbalzavano meglio, avevano una più efficace capacità balistica. A saperne regolare la battuta sembrava magica la loro abilità a accostarsi alla moneta dell’avversario.
Se scendevi in campo attrezzato di monetine di rame eri destinato a sicura sonora disfatta. Perdevi tutto. Dieci e cinque centesimi erano irreparabilmente divorate dalle monete più grosse.

Ogni tempo ha avuto le sue monete preferite per il battimuro. Fra fine Ottocento e inizio del secolo si giocava con i dieci centesimi di rame. Vasco Pratolini nelle Cronache di poveri amanti scrive di ragazzini che, ad inizio di secolo, “giocavano a battimuro coi diecioni di Re Umberto”.
Le regole del battimuro sono semplici. Si segna una riga per terra (la meta) ad una certa distanza dalla parete di un edificio. Bisogna avvicinarsi a essa con la moneta che colpisce il muro. Oppure accostarsi di una certa unità di misura – un palmo, poniamo, o lunghezza di un bastoncino oppure di uno spago – alla moneta che l’avversario ha precedentemente battuto. Questo secondo modo di regolare il gioco è materia dei versi del lucano Leonardo Sinisgalli:


I fanciulli battono le monete rosse
contro il muro. (Cadono distanti
Per terra con dolce rumore.) Gridano
a squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
e dolcissime ingiurie. La sera
incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
vicino all’altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
la sua mano vittoriosa.


Se si voleva vincere occorreva avere pieno controllo delle componenti del gioco, soprattutto della traiettoria della moneta (angolata e con “effetto” oppure diritta o di piatto) e del tipo muro.

Per un lungo periodo si preferì adottare per i nostri giochi la porzione di muro tra il portale della chiesa di S. Antonio e l’ingresso dell’istituto Garopoli. Aveva un intonaco omogeneamente robusto e pieno. D’altronde quel luogo presentava la difficoltà di un acciottolato irregolare sul quale le monete rimbalzavano senza che se ne potesse prevedere il punto d’arrivo.
Capitava che si giocasse mentre in chiesa si svolgevano rituali funebri con lacrime più o meno sincere che potevano celare furenti liti su eredità da suddividere, oppure mentre si celebravano nozze: a volte matrimoni riparatori, con pance gravide nascoste da ampi abiti bianchi, matrimoni che esibivano felicità apparenti e forzate dopo spietate contese per doti sempre più consistenti pretese – come usa da noi – dalla famiglia di lui.
Insomma, tutto come oggi. Nulla è cambiato, se non che le monete non si battono più. I nostri ragazzi fanno giochi virtuali. Surrogati di battimuro sono offerti dallo spazio artificiale del computer.

*Nota. L’articolo “A colpi di monete” di Carmine De Luca è pubblicato sul quotidiano “l’Unità” e sulla rivista “il serratore”. Successivamente, insieme ad altri “pezzi” dedicati ai giochi, è raccolto nel volume “Alla ricerca dei giochi perduti”, il serratore, 1998. Il volumetto, che contiene una breve nota di Enzo Viteritti, direttore della rivista, è arricchito da disegni di Cosimo Budetta. Il “pezzo” riproposto è tratto dal libro, così come il disegno.

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giovannipistoia@libero.it

(12 maggio 2008)

sabato 10 maggio 2008

giochi/Anche Bruegel giocava al cerchio

Anche Bruegel giocava al cerchio
Carmine De Luca*

Una volta ho avuto un cerchio col quale facevo baldanzose scorribande su e giù per il paese.
Lo chiamavamo solo e sempre “ruollo”; non avevamo consapevolezza che si potesse chiamare anche con l’italiano “cerchio”.
Erano anni, gli anni quaranta e cinquanta, di totale dominio del dialetto. L’italiano era lontano dalla nostra esperienza di vita quanto lo era una lingua straniera, quanto lo era il francese o l’inglese o l’arabo. Chi usava l’italiano era diverso, estraneo. Se forestiero, era depositario di un fare superiore, aveva qualcosa di più; se paesano, coriglianese, il suo parlare italiano appariva un’inconcludente ostentazione e frutto di sconfinata vanità. Ci si sentiva autorizzati a canzonarlo e sbeffeggiarlo. Parla come mangi, si diceva. Oppure: parla come t’ha fatto màmmeta. La lingua italiana aveva qualcosa di innaturale ai nostri occhi, tanto è vero che solo a scuola, per esercizio, per finta si poteva avere con essa una qualche frequentazione. A scuola, l’italiano era come la storia, come la geografia, come la matematica. Cose astruse, e estranee al nostro orizzonte esistenziale.

Non ricordo di preciso a che età ho posseduto il cerchio. Certamente dopo i sette-otto anni e prima dei tredici. Prima dei sette-otto anni credo non si avesse ancora la perfetta autonomia di coordinazione della guida del cerchio; a tredici anni cominciavamo a sentirci fuori dall’infanzia e dai suoi giochi, eravamo alla soglia di un’età che maliziosamente preferiva prestare attenzione alle ragazze, alle donne piuttosto che ai giochi e giocattoli, l’età dei primi malesseri e delle sconvolgenti fantasie erotiche che agitavano anima e corpo. Il cerchio a tredici anni era un’incongruenza, roba da bambini.
A tredici anni portavamo in genere ancora i calzoni corti, d’estate e d’inverno, secondo un costume familiare che non si curava dei possibili effetti delle temperature fredde o che – chissà – riteneva che il freddo invernale desse forza, consolidasse il fisico. C’era chi invece a quell’età cominciava ad indossare, d’inverno, i pantaloni alla zuava con i calzettoni colorati. Ed erano figli di famiglie benestanti. Nelle famiglie benestanti ci si preoccupava che i figli non prendessero freddo alle gambe. I genitori benestanti non pensavano che le temperature fredde dessero forza e rinsaldassero il temperamento.
Non ricordo come venni in possesso del cerchio. I cerchi – i “ruolli” – si cedevano, si compravano, si trovavano per caso in qualche discarica. Fonte primaria per cessioni, acquisti e abbandoni in discariche dovevano essere i “meccanici” di biciclette: Labonia, Policastri, Le Pera. Il ricambio di invecchiati – anche arrugginiti – cerchi soddisfaceva la domanda dei ragazzini. Quando ne venivi in possesso ti deliziavi a farlo ruotare per vicoli e strade, discese e salite, in corse che desideravi interminabili e che invece si concludevano, nel sudore, con un inevitabile fiatone che ti rinsecchiva la gola.

Il cerchio era di due tipi. Il cerchio da bicicletta normale e – più raro, più apprezzato, più ricercato – il cerchio da bicicletta da corsa (sottile e leggero). Il secondo comportava nel gioco, durante la corsa, un maggiore transfert di fantasia (ci si sentiva un po’ come ciclisti). Ma il primo a conti fatti funzionava meglio perché il rapporto tra peso, diametro e spinta trovava più agevolmente il punto di equilibrio. Soprattutto in discesa e nelle curve il cerchio normale era preferibile. Il maggior peso rispetto all’altro e il più largo scartamento tra i due bordi gli facevano tenere meglio il terreno, la corsa era più controllabile.

Il gioco del cerchio è antico. Il banchiere tedesco Andreas Schwarz vissuto nel XVI secolo, scrisse una sorta di autobiografia nella quale ricorda in forma di didascalie a episodi illustrati anche i giochi della sua infanzia. Nel libro (A. Schwarz, Tachtenbuch, in Ph. Braunstein (a cura di), Un banquier mis à nu, Gallimard, Paris 1992) appare l’immagine di un bambino con il cerchio. “Documento singolarissimo – annota Egle Becchi in I bambini nella storia (Laterza, Roma-Bari 1994, p. 278) – di un individuo, una società, un modo di essere nel mondo, il Libro dei costumi di Andreas Schwarz consente di cogliere momenti di vita infantile agli inizi del XVI secolo e di vederli dall’ottica di chi li ha vissuti, li ricorda, fa tradurre in immagine la sua memoria”.
Ancora dal Cinquecento giunge un’altra suggestiva testimonianza sul gioco del cerchio. Nel 1560 il pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio creava quello straordinario dipinto Giochi di fanciulli, babelico e rutilante catalogo dei giochi infantili. Tra una folla di bambini impegnati a giocare con i dadi, a cavalcare una botte o una staccionata, fare capriole, lanciare trottole, arrampicarsi su alberi, saltare l’uno addosso all’altro, ne appaiono in primo piano due che fanno a gara a far correre il cerchio dando colpi con un bastoncino.
Di che materia saranno stati quei cerchi del Cinquecento? Saranno stati di legno, un legno flessibile, ritorto su se stesso e fissato da legacci.
Noi, negli anni quaranta, negli anni cinquanta, il cerchio non dovevamo costruircelo, ce l’avevamo già bell’e fatto, era il cerchio della ruota da bicicletta, privato di camera d’aria e di raggi. Dovevamo invece rimediare uno strumento per guidare e spingere il cerchio: poteva essere, sì, un semplicissimo bastoncino che, incastrato nell’incavo del cerchio, servisse a spingere. Ma poteva risultare pericoloso. Se, durane la corsa, per caso il bastoncino si fosse impigliato con la punta in uno dei fori dei raggi del cerchio, erano dolori: il rinculo poteva finanche slogare il braccio. Meglio del bastoncino risultava una guida metallica, un vero e proprio manubrio che avvolgeva i bordi del cerchio.
Il manubrio si costruiva così: fil di ferro abbastanza robusto piegato a forma di elle; la parte più lunga, adibita a manico, la si rinforzava aggiungendo un bastoncino e attorcendo altro fil di ferro; la parte più corta la si piegava a semicerchio con l’arco più o meno ampio secondo i gusti. Questo arco faceva da guida al rotolarsi del cerchio.
Il gioco del cerchio ha come antenato il gioco della ruzzola. Anche il nome dialettale – “ruolo” – attesta la discendenza. Il Glossario latino italiano di Pietro Stella, che ho avuto già occasione di citare, registra un ludus ruelle (gioco della ruzzola, appunto) praticato verso la fine del 13° secolo ad Alessandria e un ludus ad rundulum seu rollum di cui si parla nel secolo successivo a Noto, in Sicilia.

La ruzzola era un cerchio piccolo e veniva giocata anche da adulti in gara. Non col bastoncino si faceva rotolare, ma con un lungo spago avvolto. Un po’ come la trottola. Di norma la ruzzola bisognava costruirsela in metallo o in legno. Levigarla con pazienza e perizia per farne uno strumento di vittoria. Come un’arma: una spada, una lancia. Si sa, una gran parte di giochi simula scontri in battaglie.
Si è anche data nei tempi come ruzzola casereccia la forma di formaggio. Ho vaga memoria di questo gioco tra adulti. Si faceva, a squadre, sulla via per Rossano e bisognava seguire rigorosamente, pena la squalifica, il percorso a curve superando avvallamenti e dossi. Si formavano di bocca in bocca, di discussione in discussione classifiche dei più bravi, dei campioni, si magnificavano le imprese di chi con un sol colpo riusciva a tagliare una curva a gomito superando una collinetta. Gli incontri pare avessero una conclusione conviviale nelle ‘cantine’ o, più signorilmente, in casa. Ovviamente, il formaggio, a pezzi, sulla tavola. I vinti pagavano l’onnipresente vino.


*Nota. L’articolo “Anche Bruegel giocava al cerchio” di Carmine De Luca è pubblicato sul quotidiano “l’Unità” e sulla rivista “il serratore”. Successivamente, insieme ad altri “pezzi” dedicati ai giochi, è raccolto nel volume “Alla ricerca dei giochi perduti”, il serratore, 1998. Il volumetto, che contiene una breve nota di Enzo Viteritti, direttore della rivista, è arricchito da disegni di Cosimo Budetta. Il “pezzo” riproposto è tratto dal libro, così come il disegno.

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(10 maggio 2008)

venerdì 9 maggio 2008

eventi/Il Genio Fiorentino 2008

Il Genio Fiorentino 2008

Più di cento eventi a Firenze e in Provincia dal 15 al 25 maggio.

LE IDEE NON FANNO PAURA A CHI NE HA


E’ stato presentato alla stampa il calendario della quarta edizione del Genio Fiorentino. Alla conferenza stampa hanno partecipato il Presidente della Provincia Matteo Renzi, l’Assessore al Turismo Giovanna Folonari e il Direttore generale dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze Antonio Gherdovich. Il Genio avrà un’anteprima anche per la città: il 12 maggio al Teatro Verdi, alle 18, con un evento di presentazione con i cittadini e i giovani.

Quest’anno la kermesse di arte e cultura si apre alla luce delle parole di Vasco PratoliniLe idee non fanno paura a chi ne ha”. E’ questo il motto della quarta edizione del Genio, contenitore culturale di arte, cultura e cittadinanza ideata e organizzata dalla Provincia di Firenze. La quarta edizione, condensata nei giorni tra il 15 e il 25 maggio, si apre con uno spettacolo inedito di Lucio Dalla dedicato a Benvenuto Cellini, scultore e orafo fiorentino. E poi mostre, performance, convegni e dibattiti per celebrare la magnifica storia di Firenze e del suo territorio, affinché proprio Firenze torni a essere un laboratorio e una fucina di idee per il futuro.

Per tutte le notizie si rinvia ai siti:
http://www.geniofiorentino.it/

http://presidente.provincia.fi.it/pagina.aspx?id=1130

(9 maggio 2008)

passeggiando tra i libri/I custodi del libro


I custodi del libro
Giovanni Pistoia

Là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini (Heinrich Heine).

La Pasqua ebraica quest’anno è stata celebrata dal 18 al 25 aprile. La ricorrenza segue il calendario ebraico lunare, dal 15 del mese di Nissan e inizia con il Seder, in ricordo dell’ultima cena, perché “l’ultima cena di Cristo altro non era se non un Seder”.
Il Seder è, infatti, la sera del giorno di Pasqua e simboleggia “la separazione del sacro dal profano, il riscatto dalla schiavitù, la liberazione e resurrezione di un popolo”. La Pasqua ebraica, “Pesach”, inizia proprio con il Seder e la lettura della “Haggadah”, che ripercorre, secondo le delucidazioni chiare del mio amico Isacco, “ogni singolo momento, dalle dieci piaghe all’apertura del Mar Rosso alla liberazione dalla schiavitù in Egitto; dalla distribuzione della manna alla consegna dei dieci Comandamenti”.

Haggadah”: è da questo libro, in particolare da un’edizione preziosissima, che ha origine e si sviluppa un romanzo storico di oltre quattrocento pagine di Geraldine Brooks, “I custodi del libro”.
Il romanzo trova la sua fonte principale nella storia vera del codice ebraico noto come Haggadah di Sarajevo. Ampie parti sono, invece, il frutto della fantasia dell’autrice.
L’avventura del codice è lunga secoli; i rischi di una sua distruzione sono stati infiniti. Un viaggio attraverso spazi e tempi diversi: Siviglia del 1480, Tarragona del 1492, Vienna del 1894, l’occupazione tedesca della Iugoslavia. In questo lungo arco di tempo, però, il pregiato documento è riuscito a sopravvivere. I nazisti volevano rubarlo, con la guerra civile serbo-bosniaca ha rischiato di essere incenerito e, ancora prima, aveva dovuto superare la censura dell’Inquisizione. È riuscito, comunque, a salvarsi grazie all’amore di tanti “amici” che lo hanno avuto tra le mani, che lo hanno protetto a rischio della vita. Tra questi, in particolare, i musulmani.

La storia del romanzo comincia in una notte di primavera, nel 1996, a Sarajevo, città sofferente per la guerra civile, blindata e pericolosa. Da qui, infatti, era partita la telefonata di uno studioso di manoscritti ebraici e diretta a Hanna Heath, giovanissima studiosa australiana, esperta restauratrice di codici antichi. Nella telefonata notturna lo studioso israeliano aveva comunicato, con particolare tensione emotiva, alla collega australiana che durante la cena della Pasqua ebraica era stata presentata una splendida Haggadah, data per persa, invece era salva. La telefonata era soprattutto un invito rivolto alla restauratrice per recarsi a Sarajevo, e verificare lo stato di conservazione del testo, tanto caro alla cultura non solo ebraica.

Dall’arrivo nella martoriata Sarajevo di Hanna Heath il romanzo prende corpo in un intreccio di uomini e fatti, e amori consumati fugacemente. Al centro della storia vi è sempre il libro perso e ritrovato, un libro che unisce popoli e religioni, che più volte ha rischiato di finire bruciato ma che uomini premurosi hanno salvato. Uomini convinti che là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini.

Geraldine Brooks
I custodi del libro
Neri Pozza Editore 2008
http://www.neripozza.it/

(9 maggio 2008)

giovedì 8 maggio 2008

eventi/Giochi carte e tarocchi

Giochi carte e tarocchi
Museo Luzzati

Domenica 11 maggio al Museo Luzzati, in occasione della mostra

EMANUELE LUZZATI. GIOCHI CARTE E TAROCCHI

che raccoglie le tante varianti che Luzzati ha dedicato alle carte da gioco, ai tarocchi e ai giochi da tavolo, saranno a disposizione del pubblico i tavoli con i giochi inventati da Luzzati: il Dilettevole giuoco della Gazza Ladra, il gioco dell’oca realizzato con i manifesti teatrali, il grande gioco da pavimento a tema Pierino e il Lupo, Unochissa? gioco da tavolo a tema ebraico e infine

IL TORNEO DELL’ORLANDO FURIOSO,

gioco di cui sono andate perse le regole per cui è possibile provare a cimentarsi nell’invenzione di un regolamento

(8 maggio 2008)

eventi/Luzzati al microscopio

Luzzati al microscopio
Museo Luzzati

Sabato 10 maggio dalle 15 alle 17 il Museo Luzzati propone ai bambini dai 7 ai 12 anni un laboratorio veramente speciale intitolato

FISICARTE. LUZZATI AL MICROSCOPIO

Personale altamente specializzato del Lambs, dipartimento di fisica dell’Università degli Studi Genova, in collaborazione con Nikon Italia, accompagnerà i bambini in un’esperienza che unisce sperimentazione scientifica e arte. Per avvicinare i bambini all’arte attraverso la particolare prospettiva del microscopio i bambini potranno sperimentare l’utilizzo del microscopio digitale, uno strumento professionale, e al contempo interpretare le immagini scandite nel segno di Luzzati.
In una prima fase i bambini, a gruppi di 3, utilizzeranno il microscopio per esaminare campioni di materiale selezionato. In una seconda fase le immagini ottenute saranno proiettate e raffrontate alle opere di Luzzati. Infine i bambini potranno reinterpretare le immagini, disegnando e colorando le proprie rappresentazioni artistiche.
Il Laboratorio è rivolto a bambini a partire dai 7 anni, su prenotazione all'indirizzo mail
laboratori@museoluzzati.it.

http://www.museoluzzati.it/

(8 maggio 2008)

domenica 4 maggio 2008

passeggiando tra i libri/Come un romanzo

Come un romanzo
Giovanni Pistoia

Spesso si dice che la lettura è un atto di comunicazione. Non è proprio così. Il piacere della lettura di un bel libro è un atto vissuto tra il lettore e il libro stesso. Il silenzio che si produce nell’animo di chi legge è “il garante della nostra intimità”. Leggiamo, cerchiamo di distillare il valore delle parole. Riflettiamo: l’umiltà ci impone il silenzio. Tacere, in questo caso, è un atto di grande saggezza. A meno che la nostra pochezza non ci rende boriosi, venditori di fumo; pronti per il chiacchiericcio da salotto, ansiosi di dimostrare agli interlocutori la nostra… cultura. In realtà, quello che un buon libro può darci passa attraverso l’ascolto della parola scritta.

Tuttavia “pur non essendo un atto di comunicazione immediata, la lettura è, alla fine, l’oggetto di una condivisione. Ma una condivisione lungamente differita, e tenacemente selettiva”. Così Daniel Pennac in quel suo libro, “Come un romanzo”, divenuto un classico nel genere, pubblicato nel 2007, dalla Feltrinelli per la quattordicesima edizione. In effetti, quello che abbiamo letto di più bello, che ci è più caro, non è il testo che ci è stato imposto dalla scuola o dalla pubblicità, ma il più delle volte, aggiunge l’autore, “lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara”. E se qualcosa di una lettura ha lasciato una traccia in noi, lo comunichiamo a qualcuno che sappiamo possa e voglia condividere con noi una scoperta.

Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l’invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici”.

“Quando - scrive Pennac - una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l’hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità. Poi il testo ci prende e dimentichiamo chi in esso ci ha immersi: tutta la forza di un’opera consiste proprio nel saper spazzare via anche questa contingenza!
Eppure, con il passare degli anni, accade che l’evocazione del testo faccia tornare alla mente il ricordo dell’altro: alcuni titoli sono allora di nuovo dei volti.
E, siamo giusti, non sempre il volto di una persona amata, ma anche quello (oh! raramente) del tal critico o del tal professore.” Proprio così: perché se è vero che la scuola ti impara a leggere, il piacere della lettura è altra cosa. Se sei fortunato puoi incontrare un buon maestro o un buon professore che non ti impone la lettura (“il verbo leggere non sopporta l’imperativo…”) ma è lui a leggere per te, in classe, ad alta voce. Senza pretendere niente. Solo un po’ di ascolto. Non è detto che non possa scoppiare una passione, che le voci del libro non diventino stimoli. Stimolo che non nasce, in genere, nelle aule scolastiche. Ma, a volte, basta la presenza di qualche insegnante che ti incanti, perché la scuola lasci una solida traccia.
Come, forse, è capitato anche a qualcuno di voi.

Nella foto la copertina del libro con un disegno di Daniel Pennac.

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Daniel Pennac
Come un romanzo
Universale Economica Feltrinelli
http://www.feltrinelli.it/

(4 maggio 2008)

giochi/Mutus dedit... e venti carte

Mutus dedit… e venti carte
Carmine De Luca*

Avrò avuto dodici-tredici anni quando qualcuno mi addestrò al gioco delle venti carte e dello schema combinatorio mutus dedit nomen cocis. Erano serate d’inverno e si stava intorno a un tavolo, si giocava a carte. Le interruzioni erano numerose perché numerose erano le interruzioni della corrente elettrica. Nella “cabina”, lì dietro Sant’Antonio, saltava qualche valvola, o chissà quale altro diavolo di guasto faceva piombare il paese nel buio. Non c’era ancora l’Enel. L’erogazione dell’energia elettrica era ancora privata. O più probabilmente era in concessione dallo Stato. Ma era come se fosse di un privato. A volte la luce mancava per ore, si andava a letto e la mattina dopo poteva capitare che non fosse ancora tornata. Se il guasto era appena appena serio, mancava anche per qualche giorno. Si mandava allora qualche improperio, ora irripetibile, ai responsabili della “cabina”.

Di norma non ci si preoccupava granché del buio. Non c’era il pericolo che andassero a male i cibi in frigorifero. Gli anni del frigorifero e degli altri elettrodomestici erano di là da venire. Neppure la televisione. La radio, sì. E la radio era importante, teneva compagnia, come si dice, dava il notiziario, trasmetteva il pomeriggio “ballate con noi”, ripeteva ogni giorno la sigla Delicado, suonato alla chitarra. Diffondeva le canzoni di Luciano Tavoli, di Ernesto Bonino, di Natalino Otto, del trio Lescano.
Convenite che erano canzoni più allegre di quelle di oggi?
Papaveri e papere, per esempio. Sbarazzina, brillante, ilare. Diventò da subito uno scanzonato gioco musicale fondato, alla maniera degli scioglilingua, su un fitto intreccio di divertenti allitterazioni (“…La Papera al Papero disse. Papà, pappare i papaveri come si fa?” “Non puoi tu pappare i papaveri disse papà”). Ebbe anche risvolti politici. C’era chi sosteneva che i papaveri fossero i caporioni democristiani dell’epoca. Per le elezioni del 1952 il partito comunista fece propria la canzone per la campagna elettorale e in un manifesto rappresentò gli “alti papaveri” (democristiani) spazzati via dal vento della Rivoluzione.
Sarà nata allora l’espressione un po’ ironica, un po’ ingiuriosa “gli alti papaveri”? No. È molto più antica. Il dizionario Battaglia informa che deriva “da un aneddoto secondo il quale Tarquinio il Superbo avrebbe abbattuto col bastone i papaveri del giardino per significare al figlio che il modo più facile per impossessarsi della città di Gali era quello di eliminarne i cittadini più importanti e autorevoli”.

Il buio, dicevo, e le interruzioni del gioco a carte. Memorizzai, quelle sere, le quattro parole del gioco e imparai a disporre le carte – 20 carte, 10 copie – sul tavolo, secondo lo schema delle quattro parole. Senza incertezze, con sicurezza. Nessuno doveva pensare che stessi adottando per il gioco uno schema mentale.
Lo schema del gioco appariva ai miei occhi di ragazzino una strana contaminazione del latino che andavo appena studiando e, per via di quel cocis, i fumetti western, con in più le connotazioni misteriose di una formula magica. (Kocis era il protagonista di un diffuso giornaletto a fumetti. Quando doveva vendicare qualche torto – gli eroi dei western sono quasi sempre paladini di giustizia – indossava una maschera con tante rughe e le corna. Le corna, per apparire diabolico. Kocis appartiene alla stessa generazione di Pecos Bill, del primo Tex. Cino e Franco, eroi dei tempi fascisti, non c’erano più. Mandrake aveva ripreso il suo nome con la kappa e non era più il Mandrache italianizzato imposto dal fascismo, stupidamente autarchico anche nella lingua).

Scoprii che lo schema delle quattro parole mutus dedit nomen cocis possiede una perfetta simmetricità combinatoria fondata sulla presenza di dieci copie di lettere. Alle coppie di lettere si fanno corrispondere, nel gioco, dieci coppie di carte. Il che rende possibile conoscere perfettamente la loro collocazione e indovinarle.
Un vecchio manuale di giochi (Ph. De Frank, Le carte magiche, Hoepli, Milano 1921) spiega così il gioco: “ Prendete 20 carte e, dopo averle mescolate, mettete a due a due sul tavolo. Avrete così 10 coppie di carte. Pregate allora una prima persona di ricordarsi due di quelle carte, purché esse siano contenute nella stessa coppia; rivolgete la medesima preghiera a 3 o 4 altre persone. Quando ognuno avrà scelto la sua coppia di carte, ritirate le 10 coppie di carte. L’ordine col quale le ritirate non ha nessuna influenza; l’importanza è di non separare mai le carte che si trovano insieme. Indi riponete sul tavolo le carte (scoperte) in quattro file di 5 carte ciascuna, ricordandovi le quattro parole latine:

M U T U S
1 2 3 4 5
D E D I T
6 7 8 9 10
N O M E N
11 12 13 14 15
C O C I S
16 17 18 19 20

Ciascuna lettera, in queste quattro parole, è rappresentata due volte; due carte corrispondenti si metteranno sempre su lettere uguali. Così le due carte della prima coppia si posano al primo e tredicesimo posto, dove sono le due M, quelle della seconda coppia al secondo e quarto posto, dove sono i due U; e così via fino che si abbiano collocate al loro posto tutte le venti carte. Disposte dunque le carte, in questo modo, chiedete ad uno degli spettatori di indicarvi in quale fila o in quali file si trovino le sue carte; vi sarà facilissimo di indovinarle”.
Un altro manuale (A. Adrion, L’arte della magia, Mazzotta, Milano 1979) informa che “in questo gioco si sono cimentati molti dei più abili prestigiatori, tra cui Harry Houdini e Alexander Hermann”.

A me capitava di proporre il gioco a scuola, durante gli intervalli (o anche durante le ore di lezione?). Ovviamente, suscitavo stupefatte curiosità e pressanti ma insoddisfatte domande di disvelamento del trucco. Perché il trucco doveva esserci. Nessuno ne dubitava. Erano i miei compagni maschi a essere assillanti e curiosi come scimmie. E io avrei voluto che fossero le compagne belline e moinose ad avvicinarsi, a chiedermi, a pregarmi. Niente da fare. Stavano sulle loro. E noi le armi della seduzione non le avevamo ancora apprese.
Quel gioco, quell’indovinare coppie di carte senza mai sbagliare, quel che doveva apparire forse a qualcuno (nelle classi, come in molte famiglie almeno uno sciocco, un credulone c’è) come un leggere nel pensiero, diventava un fattore di compiaciuta rivalsa. Se avessi ceduto e spiattellato il sistema del gioco sarebbe crollato tutto il mio piedistallo di rivincita. Ogni gioco rivelato e spiegato appare stupido e banale; quando non se ne conosce il trucco ha connotati di magicità, di prestigio.

Col tempo il gioco mi abbandona, lo dimentico, smarrisco la memoria dello schema; si allontana dai miei interessi.
Dopo anni, parecchi anni, quando insegno latino al liceo scientifico di Anzio me ne ritorna alla superficie dei ricordi qualche brandello. Sarà stato stimolato da qualche parola latina: un dedit, un nomen. Chissà.
Tento di ritrovarlo e recuperarlo. Mi sfugge; riesco a recuperare solo dei frammenti di parole (il cocis per via dell’eroe del fumetto, l’idea che le altre parole sono latine; c’è un verbo… ) e qualche posizione (la “s” di cocis ha una corrispondenza perfetta, “è di angolo”; mi pare che anche la “o” abbia la gemella in una seconda posizione; ma in quale fila sarà? la prima? la seconda? la terza? eccetera). Un po’ alla volta, da pieghe quasi mai esplorate con tanta pervicacia, riemerge lentamente lo schema, fino a completarsi.
Tra amici, dopo cena il gioco oggi continua a suscitare curiosità e interesse. Ha sempre successo.
Si può anche un tantino complicare. Passare da dieci a quindici coppie. Basta aggiungere alle quattro parole 5 coppie di numeri da 1 a 5, disposti in verticale sul lato sinistro e in orizzontale giù in fondo. Buon divertimento.

*Nota. Questo testo “Mutus dedit… e venti carte” di Carmine De Luca è pubblicato sul quotidiano “l’Unità” e sulla rivista “il serratore”. Successivamente, insieme ad altri “pezzi” dedicati ai giochi, è raccolto nel volume “Alla ricerca dei giochi perduti”, il serratore, 1998. Il volumetto, che contiene una breve nota di Enzo Viteritti, direttore della rivista, è arricchito da disegni di Cosimo Budetta. Il “pezzo” riproposto è tratto dal libro, così come il disegno.

Cliccare l’immagine per ingrandirla.

Hai una esperienza in merito a questo o ad altri giochi da raccontare? Se vuoi, scrivimi:
giovannipistoia@libero.it

(4 maggio 2008)

venerdì 2 maggio 2008

eventi/Museo Luzzati

Museo Luzzati
www.museoluzzati.it

Laboratorio “Inventa e crea il tuo Gioco dell’Oca

Sabato 3 maggio dalle ore 15 alle 17 il Museo Luzzati propone un laboratorio per costruire - con le tecniche dello strappo e del collage - il tabellone di uno dei giochi tradizionali più antichi: il gioco dell'oca. Il laboratorio è rivolto a bambini a partire dai 5 anni, per un massimo di 15, su prenotazione al numero 0102530328 e all'indirizzo mail
laboratori@museoluzzati.it.

I Giochi di Luzzati

Sabato 3 e Domenica 4 maggio al Museo Luzzati, in occasione della mostra EMANUELE LUZZATI. GIOCHI CARTE E TAROCCHI che raccoglie le tante varianti che Luzzati ha dedicato alle carte da gioco, ai tarocchi e ai giochi da tavolo.

Saranno a disposizione del pubblico i tavoli con i giochi inventati da Luzzati: il Dilettevole giuoco della Gazza Ladra, il gioco dell’oca realizzato con i manifesti teatrali, il grande gioco da pavimento a tema Pierino e il Lupo, Unochissa? gioco da tavolo a tema ebraico e infine IL TORNEO DELL’ORLANDO FURIOSO, gioco di cui sono andate perse le regole per cui è possibile provare a cimentarsi nell’invenzione di un regolamento

Per informazioni: Museo Luzzati, Area Porto Antico 6 16128 Genova
Tel 0102530328 - info@museoluzzati.it

(2 maggio 2008)

eventi/Narrazioni incantate

Narrazioni incantate



Martedì 6 maggio

dalle ore 9.30 alle 12.30

presso la Biblioteca di Villa Montalvo a Campi Bisenzio,

William Grandi, esperto di libri per ragazzi e dottorando in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Bologna, parlerà di

Narrazioni incantate:

caratteri, temi e orizzonti attuali della letteratura fantastica

Per saperne di più:

http://www.liberweb.it/

http://www.liberweb.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=712

(2 maggio 2008)

giovedì 1 maggio 2008

passeggiando tra i libri/Urluberlù Ladro di suoni


Urluberlù Ladro di suoni
Giovanni Pistoia

Che mondo sarebbe un mondo senza suoni? E chi potrebbe ridare al mondo i suoni? E come potrebbe avvenire tutto ciò? Questo il tema di una bella, divertente filastrocca che la matita colorata e fantasiosa di Emanuele Luzzati ha reso notissima. Una filastrocca che i bambini e i ragazzini possono leggere da solo. Oppure il papà, la mamma, l’insegnante o, comunque, un adulto può leggere ad alta voce. Ma vediamo un po’ come comincia questa misteriosa filastrocca, che ha come protagonista un mago, un mago cattivo cattivo di nome Urluberlù:

Urluberlù, perfido mago,
una mattina, così per svago,
un brutto scherzo decide di fare
per farsi da tutti più odiare che amare.

E pensa pensa, nel suo castello,
tanto che quasi gli fuma il cervello,
gli sfuma il cervello, gli scoppia la testa,
senza uno scherzo certo non resta.

“Un gran dispetto mi devo inventare”
si dice il mago nel suo pensare
“così che dubbio non vi sia più,
il più cattivo è Urluberlù”.

Pensa di giorno e pensa di sera,
pensa e ripensa in ogni maniera,
cento e un dispetto gli vengono in mente:
son poco cattivi, non ne fa niente.
Dopo tre giorni, tre notti e tre ore
all’improvviso ha un tuffo al cuore:
“Ecco ho trovato, di più non si può,
dal mondo i suoni io ruberò”.

E così il mago Urluberlù ruba i suoni, le note. Ogni musica finisce. Tutti i ritmi e i suoni del mondo vengono imprigionati in una buia grotta di un buio castello. Ma i giorni e le notti non possono trascorrere senza i suoni. Perfino il bambino nella culla non può ascoltare la voce della mamma, che non può cantargli la ninna nanna. Per risolvere il grave problema ci vuole l’intervento… l’intervento di un… bambino. Sapete come si fa? Se leggete la bella filastrocca lo scoprirete. Ah, dimenticavo: con il libro piccolo piccolo troverete anche un floppy disk con il quale potrete liberare i suoni rubati dal mago dispettoso. Non solo: potrete addirittura voi stessi creare nuove note… alla faccia del mago cattivo cattivo. Buon gioco!

Nella foto la copertina del libro.

Esiste anche la versione con CD-ROM

È utile consultare anche il sito:
http://www.areato.org/noquadri/ausilidinamici/AusDnm_00_Titolo.Asp?IDAUSILIO=230

Urluberlù
Ladro di suoni
dalla matita di Emanuele Luzzati
testi di Tiziana Ferrando
Editori Riuniti, 1996
http://www.editoririuniti.it/

(1 maggio 2008)