giovedì 21 dicembre 2023

IL PRESEPIO di Dante Maffia

Circa settanta anni fa arrivò a casa un pacco, da Napoli, spedito dai Fratelli Nazzari (si può citare, non esiste più) nel quale c’erano piccole statue: il Bambino Gesù, Maria e San Giuseppe. Ho scritto Maria senza accorgermene, così, chiamandola per nome, proprio come mi veniva spontaneo chiamare per nome mia madre.

Poi dal pacco venne fuori un bue, un asinello, alcuni pastorelli, una lavandaia, un fabbro ferraio, un falegname, un contadino, una tessitrice, una fornaia, un sagrestano, un venditore ambulante…

Il materiale era una creta non pregiata e i colori un po’ approssimativi, eppure quei visi mi vennero incontro subito abbracciandomi, dicendomi carezzevoli parole d’amore.

Era il giorno di Santa Lucia. Mio padre allestì il presepe, anzi, come gli piaceva dire, il presepio, in due vecchie bacinelle in cui sparse della carta colorata, del muschio, dei fiocchi di bambagia per fare la neve, dopo essere riuscito a costruire con dei cartoni di una scatola di scarpe la capanna, e poggiò le due bacinelle appaiate sulla sinistra del caminetto dove c’era uno spazio abbastanza comodo.

Aiutò mia madre ad avvicinarsi con la sua sedia di paglia dove stava tutto il giorno inchiodata perché paralitica, chiamò i miei fratelli, Luigi e Antonio, e mia sorella Filomena, mi strinse a sé e cominciò ad intonare “Tu scendi dalle stelle”.

Giuro che il Bambinello Lo vidi scendere e abbracciare tutta la famiglia, in un lampo.

Quella magia si ripeté per alcuni anni, cioè fino a che mio padre, troppo giovane, morì per un infarto.

Il giorno di Santa Lucia io vivo da sempre quella emozione. Una eredità che ha moltiplicato i suoi fremiti e i suoi messaggi, anche se vedo che il mondo continua le guerre, fa violenze, non riesce a saldare la pace necessaria per evitare sangue e dolore.

Mi domando: “Non ho ottemperato a qualcosa di necessario ed è per questo che in Ucraina, in Persia e altrove il fratello uccide suo fratello. Se è colpa mia sono pronto al sacrificio, perché capite quanto è bello e dolce poter essere stretti ai propri cari e cantare “Tu scendi dalle stelle”. Se c’è bisogno d’un sacrificio io sono pronto.

Ce l’ho ancora quelle rudimentali statuine, mi raccontano tante storie e quella del Bambino che nasce e rinasce è sempre più ricca e affascinante. Perché? E me lo chiedete? Ma vi rendete conto che sono oltre duemila anni che Gesù rinasce? Spiate attentamente nel vostro cuore, anche voi, uomini incalliti e donne straziate, attentamente! E lo vedrete che sorride e che vi prometterà tanta serenità. Ma è importante cercarlo, volerlo, desiderarlo. Lui deve sentire che lo desiderate, che vi manca, che avete le mani e il cuore pronti e perciò necessita.

Cantate e voce piena “Tu scendi dalle stelle”.

Io, purtroppo, non so più cantare.


lunedì 20 novembre 2023

 



Giovanni Pistoia

Come il fiume fluisce verso il monte

versi di terra e vento

terza edizione, novembre 2023

In copertina: opera di Rocco Regina

https://www.ibs.it/come-fiume-fluisce-verso-monte-libro-giovanni-pistoia/e/9791222705910

https://www.libreriarizzoli.it/Come-fiume-fluisce-verso-Giovanni-Pistoia/eai979122270591/

https://www.youcanprint.it/come-il-fiume-fluisce-verso-il-monte-versi-di-terra-e-vento/b/824b5c4d-3ac3-5273-8ace-a57a2f185552

https://www.mondadoristore.it/Come-fiume-fluisce-verso-Giovanni-Pistoia/eai979122270591/

https://www.lafeltrinelli.it/libri/autori/giovanni-pistoia

https://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_pistoia+giovanni-giovanni_pistoia.htm

https://play.google.com/store/info/name/Giovanni_Pistoia?id=113qfmyyy

https://www.hoepli.it/autore/giovanni_pistoia.html?autore=%5b%5bgiovanni+pistoia%5d%5d&

«La natura e i ricordi d’infanzia sono due temi che volentieri si intrecciano, poiché la natura è molto spesso il luogo dell’infanzia. La raccolta celebra entrambi questi temi (ma non solo) esplorando la bellezza di tempi e di spazi lontani, eppur vicini. La prima sensazione che si prova leggendo il testo è quella di entrare in un luogo abbandonato, dove l’autore, ritornato bambino, cerca sé stesso. Nessuna nostalgia, ma profondità di pensieri e riflessioni. Eppure, in tutta questa dovizia di particolari che riportano al passato, non c’è nessuna traccia fortemente realistica: tutto è ripescato come da un sogno, che però ha contorni nitidi e ha voce ferma e perentoria. In questa sorta di “ricostruzione” di una certa epoca, non c’è nulla di stantio o di crepuscolare, c’è semmai la necessità di riappropriarsi di ciò che s’è perduto in modo da poter servire a chiarimenti, a confronti, insomma alla crescita. Ma la raccolta è qualcosa di più: un racconto di sospiri, un concentrato di destini dove tutto risuona con un timbro e uno stile non più riproducibile per la densità e pienezza.»



sabato 11 novembre 2023

MICHELA QUAGLIARIELLO, E se il biscotto avesse ragione?, Barcellona Pozzo di Gotto, pp. 232, Edizioni Smasher, 2023 letto da Dante Maffia

Mi hanno sempre attratto i titoli dei libri quando sfrontatamente dichiarano una punta di surrealtà, quando vanno alla ricerca di umanizzare le situazioni attraverso immagini che sembrano assurde ma che fotografano, quasi sempre, i risvolti della realtà nel farsi e disfarsi delle vicende.

Non è casuale, quindi, che mi abbia immediatamente attratto “E se il biscotto avesse ragione?”, di Michela Quagliariello, della quale però non ho trovato nessuna notizia biobibliografica né a fine volume né sul risvolto, al punto che ho sospettato che si tratti di uno pseudonimo.

Il libro è affascinante, un romanzo vero scritto con una lingua perfettamente adeguata alla sostanza del racconto, che prende le mosse dall’oroscopo cinese, tanto è vero che i quattordici capitoli s’intitolano “Topo”, “Bue”, “Tigre”, “Coniglio”, eccetera.

Non è una semplice trovata, ma gabbia necessaria che racchiude la narrazione in una concatenazione di eventi registrati con perfetta armonia e illuminati sempre da una vigile attenzione alla parola mai fuori luogo, scelta con estrema cura.

Le storie sono parecchie, ma il filo conduttore è quello che accompagna la vita di Violetta, i suoi incontri, i suoi amori, le sue accensioni, le sue delusioni. Il tutto descritto col garbo di chi sta registrando gli eventi evitando di renderli mera notizia. enunciato, ma vita che palpita e fa sentire il suo fermento, le sue passioni, le sue cadute.

Molto ben riuscite anche le storie nella storia di Violetta, come quella dello sposalizio del padre, o del viaggio in aereo, e sempre ben orchestrata la simmetria delle azioni che sembrano germinare con naturalezza dalle occasioni della vita. Come pure ben calibrate le scene d’amore che restano sempre in un alone di poesia emanante un vero profumo di vita.

Le sperimentazioni degli ultimi decenni hanno mortificato spesso la narrazione portandola ad esiti spesso confusi o privi di una reale necessità espressiva, di una esigenza narrativa che attinge al pozzo ricco e sempre vivo dei sentimenti. Qui invece, non solo per dare ragione al biscotto, ma perché la Quagliariello mostra di credere alla forza delle emozioni ed è capace di raccontare senza enfasi, senza retorica, senza carichi estranei ai fatti, assistiamo a scene di vita in cammino, mai legate a stereotipi. 

La Quagliariello sa entrare nella sostanza piena delle azioni e descrivere con eleganza e con precisione le scaturigini dei desideri, perfino degli atti sessuali, saputi resi con vibrata accensione di vera poesia.

Insomma, questo “E se il biscotto avesse ragione?” è un libro da segnalare con piena convinzione ai lettori, che non rimarranno delusi perché non si tratta di pagine convenzionali e scaturite dalla muffa dei libri, ma di pagine palpitanti e ricche di quegli umori che aprono e fanno conoscere le segrete vie del mistero dell’amore.

Potremmo estrapolare alcuni episodi per dare degli esempi di come la narratrice ha saputo restare partecipe senza strafare ogni volta che Viola è stata coinvolta, ma non renderemmo un buon servizio al libro che invece si impone per la sua struttura ben organizzata, per la sua essenzialità e per la sua eleganza nel parlare della profondità dei sentimenti.

Ecco la ragione per cui il ritratto di Viola appare in tutta la sua umanità, in tutta la sua veridicità affascinante.

Da non sottovalutare la maniera sincronica e riuscita al massimo della trovata dell’oroscopo. L’autrice, in questa maniera, è come se avesse fatto scaturire con naturalezza tutto ciò che accade nelle pagine.

Non è una cosa da sottovalutare. Scrivere senza i pesi del sapere che s’insinua e spesso rovina la fluidità del dettato è un’alchimia rara e non sempre facile da adottare. Un esempio a cui mi ha fatto pensare Michela Quagliariello è la scrittrice francese Francoise Sagan.

Michela Quagliariello quindi ci riesce ed è per questo che tutti i protagonisti che si muovono nel romanzo mostrano una vita vera, non sono privi di emozioni, anzi sono sempre momenti del cammino umano che sa dare retta al cuore.

Un romanzo, quindi, da segnalare al pubblico con sincera convinzione, un libro che lascerà una traccia e un lievito fertile in chi saprà stare accanto a Mingmei, a Viola, a Roberto, a Maurizio, a Federico, a Daniele, ai bambini, e ai tanti altri che popolano questo affresco palpitante e suggestivo.

Dante Maffia





giovedì 14 settembre 2023

CARO VLADIMIR di Dante Maffia

 CARO VLADIMIR

di Dante Maffia


All’improvviso

vedesti la poesia diventare ombra

in altra ombra dilatata,

effimero canto d’una liturgia.

Il sogno di diventare Dio.


Fu la fantasia dei pidocchi a creare

il ballo tondo.

Fu la storia d’un sermone

perduto da Cristo

quando immerse il divino nell’umano.


Per cammini 

che non portano da nessuna parte,

nel fuoco dell’indifferenza 

che ha sempre vinto le guerre

sono apparse le viole…

Io resto al balcone ad aspettare

la miseria della ritirata.

Comunque miseria.


Credi d’essere il mare, vero?


Putin, vorrei che tu e io

fossimo lieti d’ascoltare

quel che dice la conchiglia,

quel che suggerisce il rimario

e vuotare insieme una bottiglia

di vodka

una mattina di sole 

davanti a Sibari in festa 

perché Pitagora

ha invitato a pranzo Campanella,

Putin e Maffia. 


Sibari di nuovo allagata,

distrutta dai Russi questa volta?


Siamo nella Biblioteca d’Alessandria

non in un campo di guerra.

Attento a come cammini,

le pergamene si stanno rigenerando,

Nosside è nuda.


Anche Satana ha un codice d’onore.


Ma prima che le combinazioni del male

si moltiplichino,

prima che sia scritta 

la storia delle macerie, 

prima che tutto si disfi in polvere

e i libri siano cancellati…


Versi, non missili,

versi, non bombe.

Putin, Putin,

perché non compri un ramo di pesco?


L’odore che apre le vie del bene,

che dal Mare Jonio porta agli Urali

ha la magia d’un sillabario.

Vladimir, oh Vladimir,

diventa Pinocchio, per favore, 

accompagnami ai Sassi di Matera,

non temere se sono calabrese,

ho lasciato a casa la scimitarra,

voglio presentarti i miei poeti,

voglio farti assaggiare il pane 

di grano duro, la soppressata,

perché tu possa sentire

che le mie parole 

sono condite di questi sapori,

o, come diceva Nelo Risi,

sentire 

che ho saputo rubare a mia madre

la fragilità della creazione.

Tu l’hai avuta una madre?


Una madre 

che ti diceva parole come il pane

condito con olio e sale,

parole che spesso è il mare a darle

senza incartarle 

con la raucedine del risaputo,

parole con troppo sole, forse,

ma distillate in abbracci senza sosta.

Vladimir,

diventa parola alata,

fuoco di gioia, 

abbandona la guerra,

il Potere ha troppe vipere e spine,

rivolgiti a tua madre,

l’hai avuta, vero?,

tua madre, la ricordi?

Chiedile se è giusto uccidere,

recidere i fiori appena sbocciati.


CARO VLADIMIR di Dante Maffia

CARO VLADIMIR

di Dante Maffia


All’improvviso

vedesti la poesia diventare ombra

in altra ombra dilatata,

effimero canto d’una liturgia.

Il sogno di diventare Dio.


Fu la fantasia dei pidocchi a creare

il ballo tondo.

Fu la storia d’un sermone

perduto da Cristo

quando immerse il divino nell’umano.


Per cammini 

che non portano da nessuna parte,

nel fuoco dell’indifferenza 

che ha sempre vinto le guerre

sono apparse le viole…

Io resto al balcone ad aspettare

la miseria della ritirata.

Comunque miseria.


Credi d’essere il mare, vero?


Putin, vorrei che tu e io

fossimo lieti d’ascoltare

quel che dice la conchiglia,

quel che suggerisce il rimario

e vuotare insieme una bottiglia

di vodka

una mattina di sole 

davanti a Sibari in festa 

perché Pitagora

ha invitato a pranzo Campanella,

Putin e Maffia. 


Sibari di nuovo allagata,

distrutta dai Russi questa volta?


Siamo nella Biblioteca d’Alessandria

non in un campo di guerra.

Attento a come cammini,

le pergamene si stanno rigenerando,

Nosside è nuda.


Anche Satana ha un codice d’onore.


Ma prima che le combinazioni del male

si moltiplichino,

prima che sia scritta 

la storia delle macerie, 

prima che tutto si disfi in polvere

e i libri siano cancellati…


Versi, non missili,

versi, non bombe.

Putin, Putin,

perché non compri un ramo di pesco?


L’odore che apre le vie del bene,

che dal Mare Jonio porta agli Urali

ha la magia d’un sillabario.

Vladimir, oh Vladimir,

diventa Pinocchio, per favore, 

accompagnami ai Sassi di Matera,

non temere se sono calabrese,

ho lasciato a casa la scimitarra,

voglio presentarti i miei poeti,

voglio farti assaggiare il pane 

di grano duro, la soppressata,

perché tu possa sentire

che le mie parole 

sono condite di questi sapori,

o, come diceva Nelo Risi,

sentire 

che ho saputo rubare a mia madre

la fragilità della creazione.

Tu l’hai avuta una madre?


Una madre 

che ti diceva parole come il pane

condito con olio e sale,

parole che spesso è il mare a darle

senza incartarle 

con la raucedine del risaputo,

parole con troppo sole, forse,

ma distillate in abbracci senza sosta.

Vladimir,

diventa parola alata,

fuoco di gioia, 

abbandona la guerra,

il Potere ha troppe vipere e spine,

rivolgiti a tua madre,

l’hai avuta, vero?,

tua madre, la ricordi?

Chiedile se è giusto uccidere,

recidere i fiori appena sbocciati.



martedì 25 luglio 2023

 [Angelo Petrosino, Una per tutte, tutte per una, illustrazioni di Sara Not, Einaudi Ragazzi 2023]



«Una per tutte, tutte per una»: il coraggio di reagire

di Giovanni Pistoia


Negli ultimi tempi, Francesca

aveva avuto più di un’occasione

di riflettere sulle parole della madre:

«Non sempre e non per tutti».

Cominciava a vedere troppi torti e ingiustizie

intorno a sé e non le piacevano per niente.

Angelo Petrosino


Francesca ha dieci anni, le piace scrivere, come sua madre che fa la scrittrice; ha un diario che, come tutti i diari, è segreto, ma non per la mamma. Rosalia ha i capelli rossi, una nuvola di fuoco in testa. Capelli riccioluti, folti, un viso rotondetto. La mamma è una tassista. Giulia è la terza compagna di questa allegra compagnia; la chiamano scherzosamente «stecchino», perché magrolina ma lei sfodera energia a tutto gas. Brucia calorie, perché non sta mai ferma; è un vulcano in eruzione. La mamma è infermiera in una struttura per anziani. Francesca, Rosalia e Giulia sono le tre protagoniste di questa nuova, fresca, bella e spumeggiante storia di Angelo Petrosino, dal titolo, che è già tutto un programma, «Una per tutte, tutte per una». Un titolo, che mi riporta alle avventure di Alexander Dumas, «I tre moschettieri», e al loro motto famoso: «tutti per uno, uno per tutti». Ma Petrosino, maestro e studioso, certamente ricorda e rilancia convintamente la locuzione latina «Unus pro omnibus, omnes pro uno». Un motto, che sembra antistorico per i nostri tempi, dove l’egoismo assurge spesso a nuova religione e la solidarietà, che quel concetto sottende, pare incontrare l’ostilità di tanti. Ma Petrosino è maestro che rastrella storie dalle strade con puntigliosità, perché nulla vada perduto. Mi riporta, Angelo, alla mente quelle contadine che, una volta terminata la mietitura del grano, si soffermavano a raccogliere le spighe sfuggite alla trebbiatrice e finite tra le stoppie. «Tutte le spighe vanno raccolte, il tesoro non va perduto», dicevano Maria Teresa e Filomena, le spigolatrici più anziane. Erano in buona compagnia, anche i passeri, senza paura, racimolavano chicchi sognando granai d’oro.

    Angelo Petrosino non inventa storie fantasiose lontane dalla realtà. La sua predilezione è «per le storie di vita quotidiana, per vicende nelle quali mettiamo in gioco un po’ della nostra vita, le nostre relazioni con gli altri, che ci cambiano quasi sempre arricchendoci o rendendoci più consapevoli di chi veramente siamo». Egli, infatti, è un osservatore acuto della vita che brulica attorno; sa ascoltare ogni parola e fonema; sa registrare ogni gesto o movimento, ogni volo di pipistrello, per citare il mammifero che s’intrufola tra le sue pagine; ogni miagolio di gatto. Sa, soprattutto, guardare il volto dei bambini, degli adolescenti. Sa leggerne le virtù potenziali ma anche le tante minacce, che possono fare di un ragazzotto buono un bullo, o forse qualcosa di peggio. Non mitizza nulla e nessuno Petrosino, conosce bene la vita delle città e dei paesi, sa che il male esiste e spesso le vittime sono ragazzi. Sa anche che i ragazzi possono essere loro stessi soggetti negativi, probabilmente perché gli educatori, nel caso specifico, hanno fallito il loro compito. 

    Ecco perché Angelo scrive. Ecco perché insiste nel parlare di buoni sentimenti senza cedere alla retorica, di un corretto modo di vivere la vita; ecco perché ricorda, senza fare moralismi o discorsi velleitari, che l’educazione, comunque la si voglia etichettare, non può che essere essenziale per una comunità che intende definirsi civile. Possiamo definire anche questo libro di Petrosino un romanzo di formazione? Si, lo è, per fortuna. Per fortuna vi sono ancora scrittori che si soffermano su storie che raccontano di approcci positivi alla formazione degli adolescenti, troppo spesso non ascoltati, di genitori che non rinunciano a essere genitori, come nel caso delle tre attivissime mamme. Mamme che con le loro azioni, gesti, dimostrano che i comportamenti valgono molto di più delle parole, particolarmente quando queste diventano prediche, lezioni, sentenze. Petrosino ha il coraggio di parlare di atteggiamenti che dovrebbero esser acquisiti per una civile convivenza e, invece, sono sempre più ignorati nel nostro vivere quotidiano, nel relazionarci con l’altro. Ci vuole coraggio per raccontare, dunque, storie di educazione, di giustizia, prepotenze, pregiudizi, solidarietà, ignoranza? Ci vuole davvero coraggio a fare della letteratura che insegni a vivere e a pensare? che tenti di dialogare ancora con i giovanissimi sempre più soli nell’era delle connessioni? Ebbene sì, ci vuole coraggio. Il minimo che ti può capitare è di esser considerato fuori tempo massimo. E anche di tutto questo bisogna essere grati a Angelo Petrosino, di essere un educatore prima ancora che uno scrittore. 

    Non racconterò delle vicende narrate. Dico semplicemente che il perno da dove parte tutto è un condominio torinese, lì abitano le tre famiglie protagoniste: tre mamme lavoratrici e tre ragazze di dieci anni. Tranne una volta, se non ricordo male, nessun accenno ai genitori maschi. Un libro tutto al femminile. Tutto incentrato sul potere dell’amicizia, sulla forza della solidarietà, soprattutto sulla sete di giustizia e del vivere in civiltà. Tre amiche con il vizio di non saper mettere la testa nella sabbia, come gli struzzi. Vivono la loro vita con spensieratezza e allegria ma davanti a piccole o grandi odiose ingiustizie, o atti di bullismo, o di arroganza, non sanno tacere, non si voltano dall’altra parte. Guardano, osservano e intervengono. Con determinazione, con dolcezza, con ironia, con intelligenza, a seconda del caso. E operano ovunque: nel palazzo dove abitano, negli ambienti scolastici, nei giardinetti pubblici. Lo fanno con quello che hanno a disposizione; soprattutto con la passione coinvolgente dell’età e degli esempi ricevuti. Operano insieme, e insieme sono intraprendenti e irrefrenabili. Un esempio per tanti giovanissimi, ma anche per tanti adulti, ormai rassegnati a ogni abuso, sopruso, prepotenza, inciviltà. Dinnanzi ai prevaricatori bisogna alzare la testa; davanti a ogni atto che abbruttisce l’uomo e la donna e l’ambiente circostante è necessario reagire. Che questo compito Petrosino lo affidi a delle ragazze non è una novità. Chi conosce i suoi scritti sa che tante sono le protagoniste femminili dei suoi romanzi: si pensi a Valentina, Fiammetta, Silvia, e a tante altre che popolano le sue pagine. Un omaggio, forse, costante e infinito alla mamma; alle tante donne vittime di inaudita ferocia maschile.

    Angelo Petrosino, lo si è detto ripetutamente, sa osservare i volti che incontra, ne sa avvertire le ansie, le gioie, le turbolenze. Sa raccontare storie, perché per lui raccontare «è come regalare acqua a chi ha sete, cibo a chi ha fame». Sa trasmettere emozioni e sentimenti, grazie a uno stile adamantino, dove le parole sono sempre ricercate, soppesate, lucide. Scrivere per i bambini non è cosa facile. Però c’è chi sa incunearsi, come nessun altro, nel codice espressivo dello scrittore. E cioè Sara Not. Sono convinto che quando Angelo le anticipa, per telefono, qualche accenno della storia che desidera scrivere, lei già ne immagine il viaggio, le parole che trotterellano sulle pagine, le frasi che si rincorrono fluide come le formichine che animosamente cercano la giusta via. Credo che quando il testo dattiloscritto scivola sotto i suoi occhi, lei già vede galoppare, nella sua mente fantastica, le immagini che andrà a disegnare per dare, così, gambe e anime alle voci di Angelo. Sara Not, una delle più note e brave illustratrici del nostro tempo, con Angelo forma, ormai da anni, un’accoppiata professionalmente indovinata. I suoi disegni, a volte miniaturizzati, a volte estesi per l’intera pagina, sempre allegri, coloratissimi ma senza eccessi, smaglianti e avvincenti, sono parte integrante dei testi dello scrittore. Petrosino ha perfino affermato che i suoi libri non sono solo suoi ma anche di Sara Not. Angelo sa che le illustrazioni, particolarmente per i libri destinati principalmente a bambini e adolescenti, sono essenziali, importanti per appassionare il giovanissimo lettore alle vicende raccontate. Anche in quest’ultimo libro Sara – mi scuserà per la confidenza ma lei è ormai, per me, di casa – è bravissima; le temibili ragazzine appaiono, nelle sue raffigurazioni, in tutta la loro effervescente forza dirompente al grido, oggi più rivoluzionario di ieri, «Una per tutte, tutte per una». I lettori, piccoli e grandi, un po’ mascalzoncelli, sono avvertiti: salvatevi finché potete, potreste finire, non solo tra le grinfie delle giustiziere-moschettiere, ma anche tra le matite acuminate e abilissime di altra donna, Sara Not, la spadaccina dei colori.

    C’è un neo, purtroppo, in questo libro delicato e egregiamente curato: è dedicato a me. Ma io ne sono troppo onorato e felice per poter rimproverare di ciò il caro, sensibilissimo Angelo, che ringrazio di tutto cuore. E, commosso, altro non so dire.


Il testo appare in data 25 luglio 2023 in:

https://independent.academia.edu/GiovanniPistoia


lunedì 10 luglio 2023

https://www.academia.edu/104118425/Reinventare_le_biblioteche_come_cuore_della_comunit%C3%A0_Perch%C3%A9_no




lunedì 19 giugno 2023

GIOVANNI CASERTA, I cent’anni di Rocco Scotellaro 1923 – 2023 dalla cronaca al mito, Potenza, Villani Editore, 2023, pp. 200 [letto da Dante MAFFIA]


GIOVANNI CASERTA, I cent’anni di Rocco Scotellaro 1923 – 2023 dalla cronaca al mito, Potenza, Villani Editore, 2023, pp. 200 [letto da Dante MAFFIA]

Il nome di Giovanni Caserta per me è sempre stato ed è una garanzia perché ogni suo scritto critico è sempre stato, direbbe Umberto Saba, onesto, cioè privo di intenzioni che vanno al di là dei testi, mai di parte, aperto al confronto.

Questo libro ne dà, se ce n’era bisogno, la conferma; ci offre un ritratto di Rocco Scotellaro di una limpidezza tale da rendere il poeta una presenza viva, un palpito che si condivide.

Non nascondo la mia gioia nel rileggere il primo scritto del libro, “La novità poetica di Rocco Scotellaro” che Caserta pubblicò su “Nuova Basilicata”, nel settembre del 1964. Una voce fuori dal coro, un’analisi serrata e vera della consistenza poetica di Rocco, finalmente fuori dai canoni politici, dalle coloriture dell’impegno che Carlo Levi appose come un sigillo per creare il caso, ma forse anche per veicolare proprie idee tenute dentro e mai espresse in prima persona. A volte gli avalli a personaggi famosi sono serviti anche per finalmente dire fino in fondo il proprio pensiero che diversamente non sarebbe stato accettato, anzi osteggiato e respinto, perché frutto di una realtà non credibile e quindi soltanto teoria.

Insomma, la figura di Rocco Scotellaro, in queste pagine offerte cronologicamente da Caserta, ci viene incontro nella sua statura autentica, anche a costo di togliere qualche scheggia al mito che, detto apertamente, più che giovare al poeta gli ha portato danni e ha inficiato il giudizio sulla sua opera che per lunghi anni è stata letta come supporto del suo impegno, addirittura come composizioni politiche in versi.

Caserta lo afferma senza mezzi termini e lamenta che all’epoca in cui fece stampare il primo contributo su Scotellaro con c’era stato ancora uno studioso che avesse preso in seria considerazione “E’ fatto giorno”. La cronaca sopravanzava la sostanza del dettato poetico e personalmente ricordo che ogni volta che nominavo il poeta c’era sempre qualcuno a dirmi che si trattava più di una figura politica anziché di una creatura letteraria.

Anche da parte di Michele Parrella, che incontravo spessissimo a Roma nello studio del pittore Enotrio Pugliese, ricevevo la stessa alzata di scudi. Ormai l’interpretazione alla lettura dei versi di Rocco era “guidata” dagli orientamenti “imposti” da Via del Corso o dalle Botteghe Oscure. 

Ricordo che quando nel 2006 l’Università di Belgrado mi incaricò di curare un’Antologia della poesia italiana del Novecento feci fatica per inserire Rocco Scotellaro e ci riuscii perché ebbi la possibilità di leggere ad alta voce alcuni testi del poeta di Tricarico durante un reading proprio tenutosi a Belgrado, evitando accuratamente di fare riferimenti che non fossero di carattere letterario.

Temo che Giovanni Caserta sarà bistrattato per avere messo il nome di Scotellaro accanto a quello di Leopardi, se non sarà fatta una lettura senza paraocchi e capire il pensiero del critico che non ha impiantato paragone, ma descritto l’atmosfera in cui i due poeti sono cresciuti e vissuti impastati alle ombre dei piccoli borghi.

Due citazioni in modo che si possa capire chi era veramente Scotellaro. 

In un “Inedito” del 1978, cioè all’uscita di “Margherite e rosolacci” con Mondadori, Caserta scriveva: “… Rocco Scotellaro fu soprattutto un poeta, che la poesia poneva al di sopra di tutti i suoi interessi. A testimoniarlo è la sovrabbondanza dei versi, anche quando la sua attività politica fu particolarmente intensa. Quando questa gli procurò una cocente delusione, che altri avrebbero superato con orgoglio, per lui fu il segno che doveva abbandonare e andarsene dal suo paese, in modo da percorrere la sola via degli studi” (pag. 115)

L’altra citazione per ricordare che “La sua immagine è ormai fuori del tempo, fuori del centenario, oltre il centenario, mito per ‘tutte le Lucanie del mondo”.

La fedeltà con cui Caserta ha seguito la poesia di Rocco Scotellaro è testimoniata in questo prezioso testo con assoluta lealtà critica. Credo che bisogna ricordarsene e ricordarsi del lavoro di questo studioso che nel 2019 ha pubblicato un “Disegno storico della Letteratura Lucana” che puntualizza molte situazioni ambigue o distorte con il coraggio che soltanto i critici onesti (ritorna Saba) sanno adoperare.

Proprio nelle pagine della sua “Letteratura” Caserta riporta, a sostegno della sua tesi, un giudizio che Eugenio Montale scrisse sul “Corriere della Sera”: “Scotellaro ha potuto lasciarci un centinaio di liriche che rimarranno tra le più significative del nostro tempo”.

Montale non era generoso. La sua fu appena una constatazione.

Dante Maffia


venerdì 9 giugno 2023

 https://www.academia.edu/102434285/Capuana_e_la_letteratura_per_linfanzia

https://www.academia.edu/102434285/Capuana_e_la_letteratura_per_linfanzia


lunedì 5 giugno 2023

https://www.academia.edu/102287038/I_sentieri_di_Giacinto_Luzzi_e_la_sofferenza_di_Dramis



 https://www.academia.edu/102287038/I_sentieri_di_Giacinto_Luzzi_e_la_sofferenza_di_Dramis  


https://www.academia.edu/102287038/I_sentieri_di_Giacinto_Luzzi_e_la_sofferenza_di_Dramis

https://www.academia.edu/102287038/I_sentieri_di_Giacinto_Luzzi_e_la_sofferenza_di_Dramis






domenica 16 aprile 2023

IL BACH DI LUIGI ATTADEMO di Dante Maffia

Ho ascoltato, con una gioia che non provavo da molto tempo, il CD di Luigi Attademo, “J. S. Bach – Guitar Music” per tre volte di seguito. Una esecuzione magistrale che entra nell’anima e fa vibrare, che interpreta il grande musicista tedesco non solo con estrema professionalità, ma con una passione che esalta le corde della chitarra e vivifica le note, le rende palpito vivo, immersione nell’imponderabile.

Attademo non esegue soltanto, non interpreta soltanto, ma immette nel suo lavoro un ideale di armonia che rispetta alla perfezione la fonte  ma nello stesso tempo ricrea le atmosfere, accende di qualcosa di inedito l’armonia e dà la certezza di essere davanti a una sacralità musicale che ha qualcosa di misteriosamente affascinante.

Sto raccontando le mie sensazioni, ovviamente, perché ho vissuto l’incontro con gli undici brani come una passeggiata fatta nel silenzio d’un bosco che mi ha permesso di intridermi di emozioni forti, mai però disturbate da strascichi estranei alla melodia.

Bach ha compiuto un volo straordinario nel mondo di Attademo, è riuscito a diventare compagno di strada, e, sinceramente, non era facile addomesticarlo (si può dire?) a compiere un gesto così conviviale. Bach, da quel poco che lo conosco, ha sussulti impensati, eccessi e variazioni sincopate e andirivieni complessi e quindi non si presta facilmente a diventare messaggero di felicità. Anzi… Ma Attademo gli ha dato anche un po’ del suo fiato e così la magia si è compiuta e il ”Preludio”, “Toccata and Fugue”, “Ciaccona”, la due “Arie”, il “Largo”, le due “Gavotte”, i due “Siciliano” e “Chorale-Prelude ‘Jesu bleibet meine Freude” hanno trovato una libertà inedita, senza distorcere nulla dell’originale, senza nuove codificazioni o variazioni arbitrarie.

Certo, ci vuole un bel coraggio a pensare di porgere Bach con la chitarra. D’accordo, una chitarra speciale, ma sappiamo che non è mai soltanto lo strumento che riesce a captare la divinità delle note, ci vuole la “conoscenza” (non casualmente la metto tra virgolette), e ci vuole un’adesione che è innamoramento vivo, che è abbandono e appropriazione dello spartito. Altrimenti, come a volte si assiste, la musica è una visitazione manieristica e priva di quello scatto celestiale capace di diventare visione.

Luigi Attademo ha dimostrato di avere capacità rare, di saper penetrare nella sostanza dell’armonia di Bach e coglierne la verità con la massima attenzione, in modo che tutto si sia risolto in una simbiosi che è qualcosa di ineccepibile, direi di clamorosamente irreprensibile.

Che dire? Che Bach non si è smentito nella pienezza esecutiva di Attademo e ciò significa che anche Attademo ha qualità altissime, direi preziosissime, ineguagliabili.