I Fiori dei Razzi
di Giovanni Pistoia
“Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, (Piemme, 2007, www.edizpiemme.it) è un romanzo duro, cruento, doloroso. Il titolo sembra tradire il calvario di un popolo e dei protagonisti. Ma proprio in questa apparente contraddizione sta la forza del romanzo: da vicende tragiche di una realtà tanto diversa dalla nostra, dalle sofferenze inaudite, dalle prepotenze, dai soprusi, dal disprezzo verso le donne, la speranza vince sulla disperazione. L’amore e l’amicizia sono come un insperato fiore in un contesto arido, dove la cronaca delle guerre si intreccia con storie di persone, uomini e donne, bambini e bambine, soggetti calpestati e destinati a una non vita. E in questo contesto sono proprio le donne e i bambini le vittime per eccellenza.
“(…) Mariam fissava i mulinelli di neve che turbinavano fuori dalla finestra. Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice da qualche parte del mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al cielo si raccoglievano a formare le nubi, e poi si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente.”
Non importa sapere se è più bello “Il cacciatore di aquiloni” (Piemme, 2004) o questo secondo romanzo. Sono due libri bellissimi, struggenti, dalla grande forza narrativa, ambedue ambientati nell’Afghanistan, paese d’origine dell’autore. Con rapide pennellate, lo scrittore sa raccontarci la storia di quelle popolazioni senza mai appesantire il testo.
Mentre ne “Il cacciatore di aquiloni” i protagonisti sono due ragazzi (anche lì l’amarezza è riscattata dal sorriso della speranza), in questo secondo, le protagoniste sono donne. Mentre nel primo sono sullo sfondo, silenziose, qui appaiono in primo piano con tutta la tragedia addosso. E la disgrazia di essere donne. Bambine e ragazze senza infanzia, bambine-spose, bambine-madri. Donne che vivono immerse in una cultura in cui “come l’ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell’uomo trova sempre una donna cui dare la colpa”.
Donne bastonate nel fisico e nello spirito, umiliate, violate e violentate, eppure forti, così forti e coraggiose da sperare e operare per una vita diversa. Le donne raccontate da Hosseini vengono considerate meno di niente, eppure appaiono come giganti, punti di riferimento per chi cerca un futuro diverso e migliore. Gli uomini, invece, nella gran parte dei casi, ne escono a pezzi: esseri spregevoli e miserabili.
Nonostante l’impietoso e realistico quadro dipinto da Hosseini, egli condivide i versi di una poesia scritta su Kabul:
Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti,
né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i muri.
Una speranza di rinascita che le donne affidano ai fiori interrati in vasi ricavati dai gusci vuoti dei razzi dei mujahidin, i Fiori dei Razzi, come li chiamano gli abitanti di Kabul ed esposti sui davanzali.
Il problema è fare in modo che le “lune” e gli “splendidi soli” possano apparire nella loro bellezza. E i fiori sbocciare.
“Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, (Piemme, 2007, www.edizpiemme.it) è un romanzo duro, cruento, doloroso. Il titolo sembra tradire il calvario di un popolo e dei protagonisti. Ma proprio in questa apparente contraddizione sta la forza del romanzo: da vicende tragiche di una realtà tanto diversa dalla nostra, dalle sofferenze inaudite, dalle prepotenze, dai soprusi, dal disprezzo verso le donne, la speranza vince sulla disperazione. L’amore e l’amicizia sono come un insperato fiore in un contesto arido, dove la cronaca delle guerre si intreccia con storie di persone, uomini e donne, bambini e bambine, soggetti calpestati e destinati a una non vita. E in questo contesto sono proprio le donne e i bambini le vittime per eccellenza.
“(…) Mariam fissava i mulinelli di neve che turbinavano fuori dalla finestra. Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice da qualche parte del mondo. Che tutti i sospiri che si elevavano al cielo si raccoglievano a formare le nubi, e poi si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente.”
Non importa sapere se è più bello “Il cacciatore di aquiloni” (Piemme, 2004) o questo secondo romanzo. Sono due libri bellissimi, struggenti, dalla grande forza narrativa, ambedue ambientati nell’Afghanistan, paese d’origine dell’autore. Con rapide pennellate, lo scrittore sa raccontarci la storia di quelle popolazioni senza mai appesantire il testo.
Mentre ne “Il cacciatore di aquiloni” i protagonisti sono due ragazzi (anche lì l’amarezza è riscattata dal sorriso della speranza), in questo secondo, le protagoniste sono donne. Mentre nel primo sono sullo sfondo, silenziose, qui appaiono in primo piano con tutta la tragedia addosso. E la disgrazia di essere donne. Bambine e ragazze senza infanzia, bambine-spose, bambine-madri. Donne che vivono immerse in una cultura in cui “come l’ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell’uomo trova sempre una donna cui dare la colpa”.
Donne bastonate nel fisico e nello spirito, umiliate, violate e violentate, eppure forti, così forti e coraggiose da sperare e operare per una vita diversa. Le donne raccontate da Hosseini vengono considerate meno di niente, eppure appaiono come giganti, punti di riferimento per chi cerca un futuro diverso e migliore. Gli uomini, invece, nella gran parte dei casi, ne escono a pezzi: esseri spregevoli e miserabili.
Nonostante l’impietoso e realistico quadro dipinto da Hosseini, egli condivide i versi di una poesia scritta su Kabul:
Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti,
né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i muri.
Una speranza di rinascita che le donne affidano ai fiori interrati in vasi ricavati dai gusci vuoti dei razzi dei mujahidin, i Fiori dei Razzi, come li chiamano gli abitanti di Kabul ed esposti sui davanzali.
Il problema è fare in modo che le “lune” e gli “splendidi soli” possano apparire nella loro bellezza. E i fiori sbocciare.
(22 ottobre 2007)
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