La cultura degli italiani
di Giovanni Pistoia
Si può parlare di arretratezza dell’Italia? Certamente sì ed essa è legata alla mancanza d’adeguati livelli d’istruzione e cultura. È questo il motivo dominante del libro La cultura degli italiani di Tullio De Marco e curato da Francesco Erbani (Editori Laterza, 2004).
Titolo ed autore potrebbe far pensare ad un bel saggio; non è così. È qualcosa di più: un libro intervista con Tullio De Mauro su mezzo secolo di vita del nostro Paese. Ma è anche un lungo percorso nelle esperienze umane, politiche, culturali dello stesso De Mauro.
Si può parlare di arretratezza dell’Italia? Certamente sì ed essa è legata alla mancanza d’adeguati livelli d’istruzione e cultura. È questo il motivo dominante del libro La cultura degli italiani di Tullio De Marco e curato da Francesco Erbani (Editori Laterza, 2004).
Titolo ed autore potrebbe far pensare ad un bel saggio; non è così. È qualcosa di più: un libro intervista con Tullio De Mauro su mezzo secolo di vita del nostro Paese. Ma è anche un lungo percorso nelle esperienze umane, politiche, culturali dello stesso De Mauro.
Lo studioso insiste molto su un concetto: senza saperi, conoscenze, competenze non si va da nessuna parte e si rischia di mettere in discussione anche i risultati fino ad ora raggiunti in campi strettamente materiali. Il problema culturale non è secondario ad altri: è una condizione indispensabile per lo sviluppo equilibrato e complessivo di una comunità. E nel corso dell’intervista De Mauro cita e commenta una lunga teoria di dati statistici: numeri e percentuali che indicano chiaramente, e dolorosamente, i limiti dell’Italia verso temi quali la scuola, la formazione, la lettura, la ricerca.
L’Italia ha, per esempio, rispetto alla media europea, il numero più basso di adulti in possesso di una laurea e di un diploma di scuola secondaria. Gravi carenze di laureati nelle discipline scientifiche. Si leggono meno libri e meno giornali. Limiti seri si registrano nel numero delle biblioteche pubbliche. Preoccupanti i dati sull’analfabetismo, quello ereditato dal passato e quello nuovo. Per la ricerca si spende meno della metà della media europea, in percentuale rispetto al prodotto interno lordo. Il numero dei ricercatori, sul totale delle persone impiegate, è fra i più bassi d’Europa. E si potrebbe continuare. Pur tuttavia a De Mauro non piace il vocabolo “arretratezza” perché non coglie bene il momento che si sta vivendo. È preferibile parlare di miopia e limiti, ma, in verità, nel corso dell’intervista, di fronte alla massa di dati agghiaccianti che pure snocciola all’interlocutore, la parola arretratezza è ripetuta più volte.
I problemi della cultura, dei saperi, delle conoscenze portano De Mauro a dilungarsi sulla sua esperienza di docente universitario e sul ruolo delle Università, del mondo della Scuola e delle sue tante riforme, dagli investimenti mancati in questi settori e della miopia della classe dirigente verso queste tematiche e sulla sua solitudine nell’affrontare, in più sedi, argomenti come questi. La scarsa attenzione verso queste problematiche crea danni anni al futuro del Paese: in un mercato ampio, come quello internazionale, l’arretratezza, intesa nel senso più ampio, non aiuta, di certo, la competizione. Il grado di arretratezza culturale è tale da mettere in forse il funzionamento delle strutture democratiche. “(…) basta dire che si svolgono libere elezioni per essere certi che questo sia un paese democratico?”, scrive De Mauro, che si augura un cambio di registro, che si elabori “un programma di crescita complessiva delle capacità di cultura intellettuale dell’intera nostra società. E questo deve diventare il fulcro della politica italiana. Spero che qualcosa possa accadere in questa direzione, ma allo stato siamo al punto zero. È in primo luogo una questione di finanziamenti pubblici nella scuola, nella ricerca, nelle biblioteche”. Ma è, soprattutto, una questione di volontà di cambiamento. Avverrà?
(21 ottobre 2007)
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