lunedì 22 ottobre 2007

passeggiando tra i libri/Mutomonnezza

Mutomonnezza
di Giovanni Pistoia

“Tutti mi chiamano Mutomonnezza, ma il mio vero nome è Sergio. Muto va bene, ma monnezza no. Io non sono nato muto, ma ho capito che è meglio ascoltare e guardare. Parlare non conviene, e poi non c’è niente da dire. Vivo con lo zio Totò, anche se non è sempre stato così. Lui mi vuole sempre con sé, mi ha perfino insegnato a leggere e a scrivere. Dice che io sono il suo orecchio e il suo occhio. Noo… lui si può muovere liberamente! Ha un sacco di amici in città, tutti lo rispettano, ma preferisce mandare me. Sa che non parlo. Allora io vado, porto i suoi messaggi, guardo come vanno le cose al mercato, ma anche in piazza. La cosa che mi piace di più è mangiare la granita davanti alla stazione dei carabinieri. Guardo chi entra, chi esce, che macchine hanno e se ci sono facce nuove. La granita me la regala l’amico dello zio con il chiosco lì vicino.

Poi corro subito subito dallo zio e scrivo tutto quello che ho visto. Lui legge soddisfatto, dice che sono bravo e mentre brucia il foglio mi ordina di non parlare con nessuno. Io non parlo. Parlare non conviene, dice sempre lo zio.”

Lo chiamano Mutomonnezza perché ha imparato a non parlare, seguendo le istruzioni dello zio e perché preferisce giocare nella discarica. Lì resta, per ore, in compagnia dei gabbiani che volteggiano. Spesso se ne sta al riparo in un piccolo capanno tra i cumuli di rifiuti. Altre volte si arrampica su un grande albero e osserva le nuvole che si specchiano nel mare. Fantastica. Sogna i grandi capi indiani che cavalcano nell’ampia prateria e sconfiggono i nemici, cacciano i bisonti per le loro famiglie. Sogna gli indiani perché sanno guardare negli occhi, usano le frecce che non fanno rumore, e non hanno paura.

Nel posto dove ora c’è la discarica dello zio Totò, Sergio ci andava con il suo papà. Lì c’era una fertile campagna, che si allungava fino a bagnarsi nel mare. C’erano estesi vigneti e Sergio aiutava il suo papà, particolarmente nella stagione della vendemmia. Sergio parlava, parlava spesso con il suo papà tra grappoli d’uva, cielo azzurro e mare limpidissimo.

Un giorno, però, su quel posto, si reca lo zio. Vuole quella terra. La discussione è animata. Il papà resiste. Una mattina, come tante altre, Sergio va a scuola e al ritorno trova solo i carabinieri. Il papà e la mamma sono scomparsi nel mare e la casa è bruciata. E così quello zio gli fa da padre e diventa il drago con la lingua di fuoco, l’incubo della sua infanzia rubata. Sergio tace, vede, capisce, pensa. È osservatore “zitto zitto, muto muto” di traffici oscuri e di uomini che ne uccidono altri.

“Mio padre è un uomo d’onore” di Martina Zaninelli è un testo pubblicato dalla casa editrice siciliana “Città aperta” (www.cittapertaedizioni.it), arricchito da bellissime illustrazioni di Marta Tonin: è un breve racconto che parla di mafia attraverso lo sguardo indagatore di un bambino, protagonista, suo malgrado, di una storia triste. Intuisce che quello zio è il responsabile della sua tragedia e lo usa per portare notizie. Non per sempre, perché un bel giorno…finalmente!

(22 ottobre 2007)


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