Il bosco degli alberi di Natale
di Giovanni Pistoia
Il pulmino giallo si arrampica sulla via tortuosa portando l’allegra scolaresca tra i colori e i profumi della montagna. Il bosco, in autunno, è davvero stravagante e vario: le foglie gialle e rossastre vestono gli stretti sentieri, nascondono i funghi dispersi, graziosi animali sono impegnati a prepararsi le provviste, prima che l’inverno si faccia sentire. Gli alberi, sempre più nudi, sembrano implorare uno sguardo, un’innocente moina. Un venticello leggero e frizzante diffonde odori gradevolissimi.
Chiara e Barbara, due ragazzine che dividono lo stesso banco, ben protette da maglioni felpati, s’imbattono, in quella loro gita mattutina, in due bellissimi alberi, un verde pino e un argentato abete. Le due ragazze sono affascinate dall’armonia dei due alberi: i tronchi diritti, i rami del solenne abete distribuiti orizzontalmente in maniera perfetta, le folte chiome del pino al cielo. Chiara tende il suo braccio verso l’abete e ne accarezza le foglie appuntite, mentre Barbara si lascia pizzicare dai lunghi aghi del pino, che emana un profumo dolcissimo. Il loro pensiero va al Natale, ormai alle porte. All’albero di Natale, che illuminato a festa, renderà calda, allegra, dolce e serena la casetta di Chiara, immersa in un bel giardino, e quella di Barbara, al quarto piano di un moderno palazzo. “Una volta ci hanno regalato un grande albero artificiale, uno di quelli che vendono nei grandi magazzini e lo abbiamo decorato in modo meraviglioso – dice Chiara – ma poi lo abbiamo buttato. Per me l’albero di Natale deve essere vero, un bel pino o un abete come questo.” “Non riesco proprio ad immaginare un Natale senza neve e senza l’albero… non vedo l’ora che arrivi…” – si esalta Barbara – nel pensare già alle vacanze, ai regali, alle luci dai mille colori. Uno scoiattolo ascolta furtivamente il loro chiacchiericcio e fugge nascondendosi chi sa dove. Un raggio di sole, ora, illumina l’abete, che appare davvero splendido, un vero monumento della natura. Ma le ragazzine non hanno il tempo di manifestare il loro stupore per quei colori indescrivibili che proprio in quel momento l’abete lascia cadere una tenerissima pigna e poi un’altra ancora e poi ancora un’altra, mentre il pino sembra incupirsi. “Ma che cosa sta succedendo!”, esclamano le due ragazzine, guardandosi e tenendosi le mani. Il venticello, che attraversa quel bosco, penetra con delicatezza tra i rami e le foglie; il suo fruscio è melodioso ma melanconico. Chiara e Barbara si stringono l’una all’altra, non hanno paura, ma avvertono una strana sensazione. È come se si sentissero osservate, come se quegli alberi avessero occhi ed orecchie, come se quei rami fossero braccia. Guardano i loro compagni, che sono un po’ distanti da loro, e affrettano il passo per raggiungerli, ma una voce dolce e triste li invita a non andare via.
Il pino e l’abete parlano. Hanno ascoltato i discorsi delle ragazze e la loro ansia per il Natale. “Per voi il Natale è una bella festa – dice l’abete con voce da ninfa – per noi è già cominciato un lungo periodo d’angoscia.” Le bambine ascoltano attente e senza fiato. “Un po’ prima di Natale – continua il pino – verranno degli uomini, che con accette e lame dentate ci taglieranno per portarci nelle vostre case a rendervi felici ma noi, intanto, cesseremo di ospitare gli uccelli e di vivere. Appena dopo Natale, ormai secchi, ci butteranno lungo le strade, nei cassonetti delle immondizie. Per questo siamo tristi: questa attesa per il Natale è per voi motivo di allegria e di spensieratezza, per noi di ansia.” Le bambine si guardano ma non osano rispondere. Si sentono in colpa ma non vogliono, di certo, fare del male e mai avrebbero immaginato che gli alberi, se vogliono, sanno ascoltare. A quel punto interviene un piccolo abete, poco più alto delle bambine, fino ad ora taciturno: “Noi piccoli abeti siamo di sicuro condannati. Ci piantano proprio per essere tagliati a Natale. Ma perché noi non possiamo diventare grandi? Ascoltate, se proprio non potete fare a meno della nostra compagnia, portateci con voi ma con le nostre radici, non buttateci, possiamo esservi utili.”
Alle bambine, mute, batte forte il cuore. Anche il vento tace e sembra che tutti siano in ascolto del loro respiro. Chiara e Barbara sanno solo cercarsi con gli occhi, stringersi forte le mani e osservare il piccolo abete. Sentono il loro nome pronunciato dalla loro maestra e lentamente vanno verso di lei. È l’ora del rientro. Il pulmino è già pronto e gli scolari vi salgono, elettrizzati dalla bella giornata trascorsa in montagna. Le maestre fanno fatica a contenere il loro entusiasmo ma Chiara e Barbara restano silenziose, indifferenti alla gioia che li circonda. Vorrebbero dire tutto ai loro amici, alle loro maestre, ma come fare? Chi crederebbe a quel racconto? Diranno ai loro genitori che non vogliono più l’albero di Natale? Non capirebbero e, poi, che Natale sarebbe senza il sorriso del loro albero vestito a festa, pieno di luce, inghirlandato? Il sorriso dell’albero! Ma via, che diciamo, loro sono tristi, e basta.
Su richiesta della maestra, tutti devono scrivere un testo sulla gita in montagna, sui colori, i profumi e gli odori dell’autunno, sulle foglie che cadono, sugli alberi nudi, sulle betulle spoglie. Chiara e Barbara non possono più tenersi quel piccolo grande segreto. Nel testo parlano della loro esperienza, degli alberi che sanno ascoltare, piangere e parlare, del desiderio di essere loro amici ma che non sanno rinunciare al fascino e all’atmosfera dell’albero di Natale. Il loro testo viene letto in classe. Viene portato a conoscenza dei genitori di tutti gli scolari. Il problema è serio, dunque, bisogna trovare una soluzione. E bisogna fare presto perché il Natale è vicino. Ognuno interviene nella discussione. “Quest’anno festeggeremo il Natale senza l’albero. Faremo solo il Presepe.” È il pensiero della maestra Giovanna. È una buona idea, certo, peccato che non convince tutti i ragazzi. “Facciamo il Presepe. E anche l’albero di Natale”, tuona Giuseppe. “E allora se vogliamo l’albero di Natale, prepariamoci a distruggere tanti pini e tanti abeti e non facciamo tante storie”, sentenzia Alessandra, pragmatica come sempre. “No! – grida tutto di un fiato Barbara – Io prenderò il mio piccolo abete con tutte le radici e lo pianterò nel vaso più grande che ha mia madre e dopo che il Natale è trascorso lo regalerò a Chiara e lo pianterà nel suo giardino.” “Ottima idea – afferma Chiara – farò così anch’io: nel mio giardino pianterò il mio albero e quello di Barbara.” E questa soluzione viene adottata da tutti. Chi ha un giardino, una villa riceverà in regalo un albero di Natale da chi non ha la possibilità di trapiantarlo. “La fate facile voi – replica la scettica Alessandra – ma ditemi un po’: chi non ha un posto dove piantare il proprio albero e non sa a chi regalarlo, cosa farà? Lo dico io cosa farà, lo butterà.” “No! – obietta decisa Chiara, che ha mille idee in testa – Regaleremo gli alberi di Natale al nostro paese. Li pianteremo sulle colline senza vegetazione, nelle foreste distrutte dagli incendi, negli spazi ancora liberi vicino alle nostre scuole, prima che nuovi palazzi ci nascondano il cielo. Con i nostri alberi, infine, costruiremo un bosco e lo chiameremo Il bosco degli alberi di Natale.”
E così, da quel giorno, in molte città e paesi, è nato Il bosco degli alberi di Natale e lì dove non c’è, parola di Chiara e Barbara, ci sarà.
Il pulmino giallo si arrampica sulla via tortuosa portando l’allegra scolaresca tra i colori e i profumi della montagna. Il bosco, in autunno, è davvero stravagante e vario: le foglie gialle e rossastre vestono gli stretti sentieri, nascondono i funghi dispersi, graziosi animali sono impegnati a prepararsi le provviste, prima che l’inverno si faccia sentire. Gli alberi, sempre più nudi, sembrano implorare uno sguardo, un’innocente moina. Un venticello leggero e frizzante diffonde odori gradevolissimi.
Chiara e Barbara, due ragazzine che dividono lo stesso banco, ben protette da maglioni felpati, s’imbattono, in quella loro gita mattutina, in due bellissimi alberi, un verde pino e un argentato abete. Le due ragazze sono affascinate dall’armonia dei due alberi: i tronchi diritti, i rami del solenne abete distribuiti orizzontalmente in maniera perfetta, le folte chiome del pino al cielo. Chiara tende il suo braccio verso l’abete e ne accarezza le foglie appuntite, mentre Barbara si lascia pizzicare dai lunghi aghi del pino, che emana un profumo dolcissimo. Il loro pensiero va al Natale, ormai alle porte. All’albero di Natale, che illuminato a festa, renderà calda, allegra, dolce e serena la casetta di Chiara, immersa in un bel giardino, e quella di Barbara, al quarto piano di un moderno palazzo. “Una volta ci hanno regalato un grande albero artificiale, uno di quelli che vendono nei grandi magazzini e lo abbiamo decorato in modo meraviglioso – dice Chiara – ma poi lo abbiamo buttato. Per me l’albero di Natale deve essere vero, un bel pino o un abete come questo.” “Non riesco proprio ad immaginare un Natale senza neve e senza l’albero… non vedo l’ora che arrivi…” – si esalta Barbara – nel pensare già alle vacanze, ai regali, alle luci dai mille colori. Uno scoiattolo ascolta furtivamente il loro chiacchiericcio e fugge nascondendosi chi sa dove. Un raggio di sole, ora, illumina l’abete, che appare davvero splendido, un vero monumento della natura. Ma le ragazzine non hanno il tempo di manifestare il loro stupore per quei colori indescrivibili che proprio in quel momento l’abete lascia cadere una tenerissima pigna e poi un’altra ancora e poi ancora un’altra, mentre il pino sembra incupirsi. “Ma che cosa sta succedendo!”, esclamano le due ragazzine, guardandosi e tenendosi le mani. Il venticello, che attraversa quel bosco, penetra con delicatezza tra i rami e le foglie; il suo fruscio è melodioso ma melanconico. Chiara e Barbara si stringono l’una all’altra, non hanno paura, ma avvertono una strana sensazione. È come se si sentissero osservate, come se quegli alberi avessero occhi ed orecchie, come se quei rami fossero braccia. Guardano i loro compagni, che sono un po’ distanti da loro, e affrettano il passo per raggiungerli, ma una voce dolce e triste li invita a non andare via.
Il pino e l’abete parlano. Hanno ascoltato i discorsi delle ragazze e la loro ansia per il Natale. “Per voi il Natale è una bella festa – dice l’abete con voce da ninfa – per noi è già cominciato un lungo periodo d’angoscia.” Le bambine ascoltano attente e senza fiato. “Un po’ prima di Natale – continua il pino – verranno degli uomini, che con accette e lame dentate ci taglieranno per portarci nelle vostre case a rendervi felici ma noi, intanto, cesseremo di ospitare gli uccelli e di vivere. Appena dopo Natale, ormai secchi, ci butteranno lungo le strade, nei cassonetti delle immondizie. Per questo siamo tristi: questa attesa per il Natale è per voi motivo di allegria e di spensieratezza, per noi di ansia.” Le bambine si guardano ma non osano rispondere. Si sentono in colpa ma non vogliono, di certo, fare del male e mai avrebbero immaginato che gli alberi, se vogliono, sanno ascoltare. A quel punto interviene un piccolo abete, poco più alto delle bambine, fino ad ora taciturno: “Noi piccoli abeti siamo di sicuro condannati. Ci piantano proprio per essere tagliati a Natale. Ma perché noi non possiamo diventare grandi? Ascoltate, se proprio non potete fare a meno della nostra compagnia, portateci con voi ma con le nostre radici, non buttateci, possiamo esservi utili.”
Alle bambine, mute, batte forte il cuore. Anche il vento tace e sembra che tutti siano in ascolto del loro respiro. Chiara e Barbara sanno solo cercarsi con gli occhi, stringersi forte le mani e osservare il piccolo abete. Sentono il loro nome pronunciato dalla loro maestra e lentamente vanno verso di lei. È l’ora del rientro. Il pulmino è già pronto e gli scolari vi salgono, elettrizzati dalla bella giornata trascorsa in montagna. Le maestre fanno fatica a contenere il loro entusiasmo ma Chiara e Barbara restano silenziose, indifferenti alla gioia che li circonda. Vorrebbero dire tutto ai loro amici, alle loro maestre, ma come fare? Chi crederebbe a quel racconto? Diranno ai loro genitori che non vogliono più l’albero di Natale? Non capirebbero e, poi, che Natale sarebbe senza il sorriso del loro albero vestito a festa, pieno di luce, inghirlandato? Il sorriso dell’albero! Ma via, che diciamo, loro sono tristi, e basta.
Su richiesta della maestra, tutti devono scrivere un testo sulla gita in montagna, sui colori, i profumi e gli odori dell’autunno, sulle foglie che cadono, sugli alberi nudi, sulle betulle spoglie. Chiara e Barbara non possono più tenersi quel piccolo grande segreto. Nel testo parlano della loro esperienza, degli alberi che sanno ascoltare, piangere e parlare, del desiderio di essere loro amici ma che non sanno rinunciare al fascino e all’atmosfera dell’albero di Natale. Il loro testo viene letto in classe. Viene portato a conoscenza dei genitori di tutti gli scolari. Il problema è serio, dunque, bisogna trovare una soluzione. E bisogna fare presto perché il Natale è vicino. Ognuno interviene nella discussione. “Quest’anno festeggeremo il Natale senza l’albero. Faremo solo il Presepe.” È il pensiero della maestra Giovanna. È una buona idea, certo, peccato che non convince tutti i ragazzi. “Facciamo il Presepe. E anche l’albero di Natale”, tuona Giuseppe. “E allora se vogliamo l’albero di Natale, prepariamoci a distruggere tanti pini e tanti abeti e non facciamo tante storie”, sentenzia Alessandra, pragmatica come sempre. “No! – grida tutto di un fiato Barbara – Io prenderò il mio piccolo abete con tutte le radici e lo pianterò nel vaso più grande che ha mia madre e dopo che il Natale è trascorso lo regalerò a Chiara e lo pianterà nel suo giardino.” “Ottima idea – afferma Chiara – farò così anch’io: nel mio giardino pianterò il mio albero e quello di Barbara.” E questa soluzione viene adottata da tutti. Chi ha un giardino, una villa riceverà in regalo un albero di Natale da chi non ha la possibilità di trapiantarlo. “La fate facile voi – replica la scettica Alessandra – ma ditemi un po’: chi non ha un posto dove piantare il proprio albero e non sa a chi regalarlo, cosa farà? Lo dico io cosa farà, lo butterà.” “No! – obietta decisa Chiara, che ha mille idee in testa – Regaleremo gli alberi di Natale al nostro paese. Li pianteremo sulle colline senza vegetazione, nelle foreste distrutte dagli incendi, negli spazi ancora liberi vicino alle nostre scuole, prima che nuovi palazzi ci nascondano il cielo. Con i nostri alberi, infine, costruiremo un bosco e lo chiameremo Il bosco degli alberi di Natale.”
E così, da quel giorno, in molte città e paesi, è nato Il bosco degli alberi di Natale e lì dove non c’è, parola di Chiara e Barbara, ci sarà.
(21 ottobre 2007)
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