Ladri di giocattoli
di Giovanni Pistoia
Vorrei essere un cavallo per scorazzare nei prati verdi,
vorrei essere una farfalla per volare nel cielo,
vorrei essere un albero per farmi ondulare dal vento.
Il pulmino bianco e malconcio compare da una curva leggera e piano piano si accosta al marciapiede. Due bambini, un maschietto e una femminuccia, scendono un po’ goffamente, mentre lo sportello si chiude alle loro spalle e l’auto scivola via per perdersi lungo il viale. Un sole pallido ma tiepido, sia pure a fatica, riesce a trovare un varco tra le nuvole che sono attratte dalla città. Nell’edificio scolastico, che raccoglie gli scolari del quartiere, il suono della campanella ha finito da un bel po’ il suo primo lavoro quotidiano: i ragazzi e le ragazze sono tutti nelle proprie aule e il vociare iniziale è scemato. Il chiuso delle aule ispira i poeti in erba. Chiara, otto anni appena compiuti, trasmette un messaggio all’amica del cuore scritto con penna glitterata:
vorrei essere un cavallo per scorazzare nei prati verdi,
vorrei essere una farfalla per volare nel cielo,
vorrei essere un albero per farmi ondulare dal vento.
Sul fondo del largo viale, un uomo basso, dal viso rotondo e bonario, capelli scompigliati, siede su un muretto, pronto ad alzarsi non appena il semaforo rosso costringe le auto a bloccarsi per tendere le mani ai conducenti. Sull’altro lato della strada c’è una donna a svolgere le stesse incombenze. È un po’ più alta dell’uomo, capelli corti, un maglione rossiccio e sgualcito le copre un corpo robusto.
Difficile dare un’età ai due ragazzini lasciati dal pulmino. Il volto bruno, gli occhi castani, i capelli quasi rasati, i larghi pantaloni che coprono le scarpe e la camicia larga che svolazza al leggero vento di questo autunno appena inoltrato, tradiscono la vera età. Guardano appena una villa addormentata nascosta da una folta vegetazione. Il sole appare e scompare. La lunga battaglia con le nuvole continua. I due ragazzini osservano il cielo, scrutano il lungo viale, giocherellano sulla strada prendendo a calci qualche foglia e spariscono appena dopo una curva.
Nel plesso delle scuole elementari il suono della campanella, dopo aver segnalata l’ora della ricreazione, torna a farsi sentire: la pausa è finita e gli scolari rientrano nelle aule, anche perché una leggera pioggia comincia a venire giù, mentre il sole è tenuto a bada da una nube, che sembra un orso in agguato. Federica, magra come un peperoncino, non smette di interpretare i commenti delle maestre, mentre prende posto nel suo banco. Carlo l’ascolta volentieri e vorrebbe aggiungere qualcosa di suo. L’invito della maestra a recitare l’ultima poesia imparata dal titolo L’autunno lo obbliga, al momento, a sospendere la chiacchierata.
I due ragazzini del pulmino ricompaiono, di lì a poco, trascinando due sacchi neri di plastica colmi di qualcosa. L’uomo dei semafori, alla vista dei ragazzi, si porta, con noncuranza, presso di loro, mentre dal niente ricompare il pulmino bianco, che si accosta pigramente al marciapiede. L’uomo strappa i sacchi ai ragazzini e aprendoli vi guarda dentro con insistenza, mentre le mani cercano, cercano freneticamente. D’improvviso l’uomo prende a calci i sacchi e si avventa sui ragazzini con pedate, pugni e schiaffi. Dai sacchi, ormai a brandelli, mentre la pioggia si fa più insistente, saltano fuori tantissimi giocattoli, ora sparsi per terra. Anche la donna dei semafori intanto si è avvicinata e, resosi conto del tipo di refurtiva, non risparmia ceffoni e sgridate ai ragazzini, che non osano tentare una pur minima difesa. Dal pulmino una mano invisibile apre uno sportello e tutti e quattro, ormai fradici di acqua, vi entrano. Gli adulti non cessano di ammonire duramente i ragazzi, mentre continuano a picchiarli. I bambini mandati in quella villa, da tempo adocchiata e segnata da particolari simboli lasciati da mano ignota sul cancello d’ingresso, per rubare ori e argenti e cose preziose, ne sono usciti, invece, con giocattoli, collanine di plastica, giornaletti illustrati e altre amenità del genere. Il pulmino riprende il suo viaggio, senza fretta, sotto un cielo divenuto cupo.
Sul marciapiede e sull’asfalto restano, inzuppati d’acqua, una trombetta di plastica rosa, un Pinocchio di legno rosso e verde con il suo lungo naso finito nella fessura di un tombino, orsacchiotti, cani, gatti e cavalli di peluche, collanine, anelli, bracciali e vestiti per le bambole. La Sabri, bambola amica davvero speciale, presenta il suo camper delle vacanze, mentre la Barbie, campionessa de patinage presenta i suoi pattini d’oro. Una piccola macchina blu dei carabinieri è finita appiccicata ad una rete metallica. Tutto quel tesoro portato via dai ragazzini non sa cosa fare. La trombetta vorrebbe suonare l’allarme, la pioggia le ha chiuso la bocca. Barbie, perfetta cavallerizza, messo da parte il suo tradizionale atteggiamento artefatto, vorrebbe correre dietro al pulmino ma non riuscirebbe mai a raggiungerlo. Cani e gatti, cavalli e orsacchiotti non hanno dubbi, malconci per le violenze subite, si avviano per la città alla ricerca dei ladri bambini per soccorrerli e stare loro vicini. “In fondo – sembrano dire - sono stati costretti a rubare e hanno portato via gli oggetti più preziosi per loro, i giocattoli, appunto”. Altri giochi, alcuni un po’ malconci altri con contusioni varie, preferiscono riprendere debolmente la via del ritorno per farsi trovare nelle stanze dei loro vecchi amici, che certamente si rattristerebbero molto se non li dovessero trovare nei loro posti abituali. Chi non ha incertezze sul da farsi è la piccola auto blu dei carabinieri. Si stacca dalla rete dove è stata proiettata dal calcio dell’uomo, accende i motori, aziona il lampeggiatore e via, sirene al vento, per le strade della città a inseguire i ladri dei bambini. Per terra resta un libro di favole con tante illustrazioni. Non riesce proprio a tirarsi su, è troppo impregnato d’acqua ed è stato più volte calpestato. Pinocchio, che, con non pochi sforzi, è riuscito a togliersi dal tombino, si avvia verso la villa e lo vede. Ritorna sui suoi passi e, incurante della pioggia che ora viene giù forte, raccoglie il libro con delicatezza, lo chiude e lo protegge sotto il suo braccio di legno verde.
Sulla città si abbatte, ora, un temporale autunnale feroce. Un cielo plumbeo ha nascosto del tutto il sole. Lunghe colonne di arcigne nubi, come corazzate in assetto di guerra, si muovono a rilento e conquistano quartieri e piazze e vie della città. Da lontano i sibili acuti della volante dei carabinieri fendono ancora l’aria e la pioggia e il vento. I ladri di bambini sono ancora in libertà.
Vorrei essere un cavallo per scorazzare nei prati verdi,
vorrei essere una farfalla per volare nel cielo,
vorrei essere un albero per farmi ondulare dal vento.
Vorrei essere un cavallo per scorazzare nei prati verdi,
vorrei essere una farfalla per volare nel cielo,
vorrei essere un albero per farmi ondulare dal vento.
Il pulmino bianco e malconcio compare da una curva leggera e piano piano si accosta al marciapiede. Due bambini, un maschietto e una femminuccia, scendono un po’ goffamente, mentre lo sportello si chiude alle loro spalle e l’auto scivola via per perdersi lungo il viale. Un sole pallido ma tiepido, sia pure a fatica, riesce a trovare un varco tra le nuvole che sono attratte dalla città. Nell’edificio scolastico, che raccoglie gli scolari del quartiere, il suono della campanella ha finito da un bel po’ il suo primo lavoro quotidiano: i ragazzi e le ragazze sono tutti nelle proprie aule e il vociare iniziale è scemato. Il chiuso delle aule ispira i poeti in erba. Chiara, otto anni appena compiuti, trasmette un messaggio all’amica del cuore scritto con penna glitterata:
vorrei essere un cavallo per scorazzare nei prati verdi,
vorrei essere una farfalla per volare nel cielo,
vorrei essere un albero per farmi ondulare dal vento.
Sul fondo del largo viale, un uomo basso, dal viso rotondo e bonario, capelli scompigliati, siede su un muretto, pronto ad alzarsi non appena il semaforo rosso costringe le auto a bloccarsi per tendere le mani ai conducenti. Sull’altro lato della strada c’è una donna a svolgere le stesse incombenze. È un po’ più alta dell’uomo, capelli corti, un maglione rossiccio e sgualcito le copre un corpo robusto.
Difficile dare un’età ai due ragazzini lasciati dal pulmino. Il volto bruno, gli occhi castani, i capelli quasi rasati, i larghi pantaloni che coprono le scarpe e la camicia larga che svolazza al leggero vento di questo autunno appena inoltrato, tradiscono la vera età. Guardano appena una villa addormentata nascosta da una folta vegetazione. Il sole appare e scompare. La lunga battaglia con le nuvole continua. I due ragazzini osservano il cielo, scrutano il lungo viale, giocherellano sulla strada prendendo a calci qualche foglia e spariscono appena dopo una curva.
Nel plesso delle scuole elementari il suono della campanella, dopo aver segnalata l’ora della ricreazione, torna a farsi sentire: la pausa è finita e gli scolari rientrano nelle aule, anche perché una leggera pioggia comincia a venire giù, mentre il sole è tenuto a bada da una nube, che sembra un orso in agguato. Federica, magra come un peperoncino, non smette di interpretare i commenti delle maestre, mentre prende posto nel suo banco. Carlo l’ascolta volentieri e vorrebbe aggiungere qualcosa di suo. L’invito della maestra a recitare l’ultima poesia imparata dal titolo L’autunno lo obbliga, al momento, a sospendere la chiacchierata.
I due ragazzini del pulmino ricompaiono, di lì a poco, trascinando due sacchi neri di plastica colmi di qualcosa. L’uomo dei semafori, alla vista dei ragazzi, si porta, con noncuranza, presso di loro, mentre dal niente ricompare il pulmino bianco, che si accosta pigramente al marciapiede. L’uomo strappa i sacchi ai ragazzini e aprendoli vi guarda dentro con insistenza, mentre le mani cercano, cercano freneticamente. D’improvviso l’uomo prende a calci i sacchi e si avventa sui ragazzini con pedate, pugni e schiaffi. Dai sacchi, ormai a brandelli, mentre la pioggia si fa più insistente, saltano fuori tantissimi giocattoli, ora sparsi per terra. Anche la donna dei semafori intanto si è avvicinata e, resosi conto del tipo di refurtiva, non risparmia ceffoni e sgridate ai ragazzini, che non osano tentare una pur minima difesa. Dal pulmino una mano invisibile apre uno sportello e tutti e quattro, ormai fradici di acqua, vi entrano. Gli adulti non cessano di ammonire duramente i ragazzi, mentre continuano a picchiarli. I bambini mandati in quella villa, da tempo adocchiata e segnata da particolari simboli lasciati da mano ignota sul cancello d’ingresso, per rubare ori e argenti e cose preziose, ne sono usciti, invece, con giocattoli, collanine di plastica, giornaletti illustrati e altre amenità del genere. Il pulmino riprende il suo viaggio, senza fretta, sotto un cielo divenuto cupo.
Sul marciapiede e sull’asfalto restano, inzuppati d’acqua, una trombetta di plastica rosa, un Pinocchio di legno rosso e verde con il suo lungo naso finito nella fessura di un tombino, orsacchiotti, cani, gatti e cavalli di peluche, collanine, anelli, bracciali e vestiti per le bambole. La Sabri, bambola amica davvero speciale, presenta il suo camper delle vacanze, mentre la Barbie, campionessa de patinage presenta i suoi pattini d’oro. Una piccola macchina blu dei carabinieri è finita appiccicata ad una rete metallica. Tutto quel tesoro portato via dai ragazzini non sa cosa fare. La trombetta vorrebbe suonare l’allarme, la pioggia le ha chiuso la bocca. Barbie, perfetta cavallerizza, messo da parte il suo tradizionale atteggiamento artefatto, vorrebbe correre dietro al pulmino ma non riuscirebbe mai a raggiungerlo. Cani e gatti, cavalli e orsacchiotti non hanno dubbi, malconci per le violenze subite, si avviano per la città alla ricerca dei ladri bambini per soccorrerli e stare loro vicini. “In fondo – sembrano dire - sono stati costretti a rubare e hanno portato via gli oggetti più preziosi per loro, i giocattoli, appunto”. Altri giochi, alcuni un po’ malconci altri con contusioni varie, preferiscono riprendere debolmente la via del ritorno per farsi trovare nelle stanze dei loro vecchi amici, che certamente si rattristerebbero molto se non li dovessero trovare nei loro posti abituali. Chi non ha incertezze sul da farsi è la piccola auto blu dei carabinieri. Si stacca dalla rete dove è stata proiettata dal calcio dell’uomo, accende i motori, aziona il lampeggiatore e via, sirene al vento, per le strade della città a inseguire i ladri dei bambini. Per terra resta un libro di favole con tante illustrazioni. Non riesce proprio a tirarsi su, è troppo impregnato d’acqua ed è stato più volte calpestato. Pinocchio, che, con non pochi sforzi, è riuscito a togliersi dal tombino, si avvia verso la villa e lo vede. Ritorna sui suoi passi e, incurante della pioggia che ora viene giù forte, raccoglie il libro con delicatezza, lo chiude e lo protegge sotto il suo braccio di legno verde.
Sulla città si abbatte, ora, un temporale autunnale feroce. Un cielo plumbeo ha nascosto del tutto il sole. Lunghe colonne di arcigne nubi, come corazzate in assetto di guerra, si muovono a rilento e conquistano quartieri e piazze e vie della città. Da lontano i sibili acuti della volante dei carabinieri fendono ancora l’aria e la pioggia e il vento. I ladri di bambini sono ancora in libertà.
Vorrei essere un cavallo per scorazzare nei prati verdi,
vorrei essere una farfalla per volare nel cielo,
vorrei essere un albero per farmi ondulare dal vento.
(21 ottobre 2007)
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