domenica 21 ottobre 2007

Racconti brevi/Il bocciolo giallo di Samantha

Il bocciolo giallo di Samantha
di Giovanni Pistoia


C’è aria di allegria in questo angolo meraviglioso della città. La maestra Bianca compie ottanta anni, parenti e amici le stanno preparando una grande festa. Ma deve essere una sorpresa.
Bianca è stata per quaranta anni maestra di scuola elementare. Ha insegnato in più paesi. Appena conseguito il diploma ha lasciato il suo paesello del Sud ed è andata a insegnare in alcune vallate nel Friuli. Poi, di trasferimento in trasferimento, è riuscita a trovare una sede fissa in questa cittadina umbra. Qui si è trovata bene. Non è più ritornata, se non per qualche giornata estiva, nel suo paese. Si è sposata non più tanto giovane ma, nonostante ciò, ha avuto una famiglia numerosa, con figli, nipoti e pronipoti. Ora, è vedova da un bel po’ di anni. Il suo Luigi, anzi il suo Luigino come continua a chiamarlo lei, ha preferito andar via prima, ripete con grande serenità “la Maestra”, come è chiamata con grande rispetto, per cercare un bel posto Lassù: “Sa, alla nostra età, andare in giro per trovare una sistemazione buona per l’eternità non è cosa facile”, spiega con aria rassicurante.
Bianca continua a leggere e scrivere, è lucidissima. Ama vedere la televisione e commentare ad alta voce le trasmissioni e questo, a volte, le procura qualche battibecco con chi le siede vicino. Se non fosse perché è costretta a starsene su una sedia a rotelle, sarebbe del tutto autonoma.

Ma oggi è festa grande. Sin dal mattino, nota un certo trambusto nella casa. C’è un via vai di gente e, soprattutto, tanta attenzione nei suoi confronti. Lei sa benissimo che è il suo compleanno. Sa che verranno, almeno lo spera, i suoi parenti più stretti a farle gli auguri, come ogni anno, ma avverte che questa volta vi è un’agitazione incomprensibile. Il pranzo con i suoi coetanei scorre tranquillo come sempre. Qualche brindisi, un applauso: tutti sanno che la festa grande è nel pomeriggio, dove molti di loro parteciperanno, con parenti e amici, al rito della torta.

La maestra Bianca, in questo pomeriggio settembrino, chiusa nella sua stanzetta, è coccolata da una giovane parrucchiera per dare una sistemata alla sua capigliatura ancora folta e grigia. Lei continua a non capire il perché di tante cure ma la consegna del silenzio è assoluta. Lei non deve sospettare di niente. Deve scoprire tutto, quando sarà condotta nel grande salone, sistemato, per l’occasione, in una grande sala vestita a festa, con palloncini, nastri, fiocchi, striscioni, decorazioni, e tante luci colorate. E una torta tutta speciale.

Finalmente, giunge l’ora degli auguri. Una matura signora, ma pur sempre la figlia più piccola della Maestra, conduce la mamma e la sua carrozzella davanti al salone. La porta si apre e dentro è tutto buio. “Ma dove sono! – si chiede Bianca – Qui non si vede un bel niente!”.
La sedia viene portata dentro e la signora Maestra ben sistemata. Poi, finalmente, le mille luci della festa si accendono e uno scrosciante applauso accoglie la festeggiata. Bianca è stordita. C’e tanta gente in quel salone. E, poi, è seduta davanti ad un tavolo lunghissimo sul quale giganteggia una torta dal disegno davvero originale. La torta rappresenta un’aula scolastica, con tanto di banchi, di carte geografiche, di cattedra su una pedana massiccia. È la riproduzione fedelissima di una delle sue aule… ma tutto è coloratissimo. E lì, seduta su quella cattedra solenne, una donna, minuta e severa, guarda i suoi alunni schiacciati nei banchi di legno. Ma per lei è tutto vero: quella cattedra è vero legno, quella figurina ben fatta è lei, proprio lei, i particolari ben riprodotti dal bravo pasticciere sono i suoi sussidi didattici, i suoi amati arnesi di lavoro. Ma i banchi sono vuoti. Perché mai chi ha avuto questa idea ha pensato a non a rappresentare i suoi allievi? Lei, in fondo, è stata in quelle aule, per loro, solo per loro. Ma i banchi non sono vuoti, se ne accorge subito la maestra Bianca, ormai senza parola: una lunga cascata di ricordi le scivola sul corpo, nel cuore e nella mente, e le pulsazioni diventano veloci e gli occhi sono laghi trasparenti. Tanti di quegli allievi sono lì, davanti a lei, signori e signore, scolaretti in un grande album che le viene regalato da uno di loro. E lei cerca nei volti di quanti si affrettano ad abbracciarla, a stringerle il viso, a baciarle le mani, ad accarezzarle il capo, ad asciugarle gli occhi, il volto del ragazzino seduto in fondo all’aula, oppure al primo banco, oppure in piedi vicino la cattedra, con il grembiulino e il fiocchetto ben rigido…

Non mancano i discorsi, gli applausi, le bottiglie che si svuotano, l’aula scolastica che perde, poco a poco, i suoi pezzi per il piacere dei ragazzini presenti. Lei, Bianca, la Maestra, ritorna tra i banchi, nelle aule scolastiche, tra gli allievi e i colleghi, nei paesi e nelle tante città dei ricordi. La memoria, preziosa e struggente, affolla la piccola testa argentata. Parla poco. Non saprebbe da dove cominciare. Sfoglia, smaniosa, il suo grande album di fotografie e cerca, cerca i volti dei bambini di una volta… i tanti papà e mamme di oggi. Ma come tutte le cose belle, – e cosa c’è di più bello per una maestra sapere che è nel ricordo affettuoso dei suoi allievi di un tempo? – anche queste emozioni si sciolgono, fragili, nel tepore di una sera autunnale.

Nel salone, che lentamente si svuota, la Maestra continua a scorrere le immagini di un album, da dove i piccoli protagonisti sorridono, piangono, fanno le bizze, cadono, si rialzano. E voci, suoni, dialetti, odori si compongono e si scompongono. La confusione diventa assordante, e la povera Maestra si porta le mani alle orecchie, ormai rapita, sconvolta, tormentata e folgorata da lampi di memoria, di vuoti paurosi. Proiettata in tempi e spazi che non sono più.

L’ultima a lasciare la sala, ancora illuminata a giorno, è una bambina. La chiamano Samantha, dal corridoio in fondo, ma lei si trattiene ancora un po’. Non avrà più di sette anni. Ha un viso piccolo e rotondo. I lunghi capelli di un biondo platino, legati dietro la nuca, danzano sulla sua piccola schiena come una coda di cavallo agitata dal vento. Samantha si avvicina e, senza timore alcuno, chiede alla Maestra: “Adesso che tutti sono andati via, tu resterai sola?”. “No, – risponde la Maestra, accarezzandole il viso – non resto sola. Qui vi sono tante persone, come hai visto”. “Sì – replica impertinente la bambina – ma sono tutti vecchi e vecchie”. Sorride, la Maestra: “Sono tutte persone anziane, un po’ avanti con l’età. Questa è una grande casa dove riposano tante persone”. “È perché riposano?”, interrompe con un’aria da investigatrice Samantha. “Qui vi sono tante persone, che hanno lavorato per tutta la vita. Ognuno ha svolto un lavoro, per tantissimi anni, così come ho fatto io facendo la maestra a tanti bambini, e ora è giunto il momento di riposare”. “Ho capito, – sentenzia Samantha con un tono di voce deciso – ho capito: da grande non lavorerò, così non dovrò riposare”. E con un gesto delicato della mano consegna un bocciolo di rosa gialla alla Maestra, le stampa sul viso un bacio e lascia, frettolosamente, la sala.
La Maestra non ha il tempo di ringraziare la bambina, di dare spiegazioni né di osservarla mentre corre via. Sente solo il cigolio della porta, che si chiude alle sue spalle e il profumo della rosa gialla a inebriarle il volto.

(21 ottobre 2007)


Nessun commento: