L’onda e la bambina
di Giovanni Pistoia
L’onda picchia forte sulla ghiaia. Schiaffeggia la spiaggia, che, muta, non reagisce. Il sole è già alto e caldo in un cielo azzurro. I gabbiani si tuffano sull’onda nervosa, si rincorrono disegnando fantasiosi labirinti. La lunga spiaggia si riempie di bambini già pronti per tuffarsi nel fresco e caldo mare. L’onda diventa sempre più alta e rabbiosa e percuote la spiaggia con lunghe lingue di acqua schiumosa, e non pochi bagnanti devono indietreggiare. Non c’ è vento, l’aria è serena e i raggi del sole pizzicano sui corpi, tutti in attesa del bagno ristoratore.
La bambina, sotto l’ombrellone rosso fuoco, stringe il suo salvagente e attende ansiosa che l’onda si plachi. Il costume da bagno e la cuffia, che nasconde i suoi capelli, hanno i colori del cielo. Ha tanta voglia di abbracciare il mare.
Il litorale è lungo e dorato, sabbioso e ghiaioso. I colori degli ombrelloni si confondono con i mille colori dei costumi. Annoiato il popolo degli ombrelloni, accampato in riva al mare, è in attesa che l’onda non faccia più capricci. Sullo sfondo, in lontananza, una ciminiera emana una piccola nuvola di fumo bianco. Appare stanca quella ciminiera. Non ha più voglia di lavorare. Pensierosa, si chiede del suo futuro. “Vedete -sembra dire al popolo accampato sulla spiaggia- sono stata messa qui a produrre energia elettrica, ma attorno a me c’è sempre lite. Dicono che i miei fumi avvelenano l’aria, non è colpa mia se sono qui. E poi, qui, ci sto male. Sono sola. Vedo solo mare, spiagge, verde. Non vedo altre ciminiere a farmi compagnia, ve ne è una in fondo, è un cimelio storico, di una fabbrica di tanto tempo fa. Finirò presto di fumare e diventerò anch’io un pezzo di archeologia.”
L’onda picchia forte sulla ghiaia. Rumoreggia. Con cattiveria si abbatte sulle pietre levigate, penetra agile e vendicativa sotto gli ombrelloni e tra le gambe dei bagnanti, che devono precipitosamente indietreggiare. L’onda grintosa sembra mostrare i denti e tanta voglia di dire qualcosa al popolo colorato in attesa di tuffarsi nelle acque, particolarmente ora che il sole batte forte. “Ma cosa ci fate -sembra dire l’onda ribelle- da queste parti. Oggi non è una giornata per divertimenti. Andate via. Lasciatemi sola. Ma non vedete come mi avete ridotta, sono diventata la vostra discarica: ogni vostro rifiuto è destinato a me. Cosa ci fanno quelle vecchie scarpe sforacchiate sulle mie spalle? e quelle buste plastificate? e quelle lunghe macchie nere, che non mi appartengono? e quelle bottiglie? e quelle scatolette? Ma via, per favore, tornatevene nelle vostre belle case e se proprio volete, tuffatevi nelle vostre belle vasche da bagno.” E qui un’onda piccola e violenta, preceduta da un assordante brontolio, sputa sulla spiaggia ogni ben di dio: alghe verdastre, frammenti di tavole e canne, paglia ingiallita, erbe, pezzi di cocomero e tanto altro materiale che non dovrebbe trovarsi lì. “Se dovessi restituirvi tutto -urla l’onda- vi seppellirei per sempre.” Il popolo degli ombrelloni è costretto, ancora una volta, a indietreggiare, a pulire il proprio spazio, a imprecare la maledetta onda e a chiedersi che cosa stia succedendo visto che non c’è neanche un alito di vento.
La bambina, sotto l’ombrellone rosso fuoco, stringe il suo salvagente e attende ansiosa che l’onda si plachi. Il costume da bagno ha i colori del cielo ed anche la cuffia, che nasconde i suoi capelli. Ha tanta voglia di abbracciare il mare. La bambina si guarda attorno. Osserva anche con attenzione il mare. Forse capisce la rabbia dell’onda. La spiaggia non è pulita: troppi sono i rifiuti abbandonati. Le acque del mare non sono, di certo, azzurre, ma la colpa non è del mare, né dei gabbiani che lo scrutano. Ma la bambina ha tanta voglia di fare il bagno, di nuotare tra le onde amiche e vellutate, di giocare, di correre. Vorrebbe parlare con l’onda.
Sfreccia a largo una motovedetta della Guardia costiera. Sventola la bandiera tricolore. È diretta verso il vicino porto. Chi, deluso dall’ira dell’onda, guarda verso quell’approdo, scorge un alto pennone di una nave, ormeggiata in quell’insenatura. Le lunghe banchine si aprono, come in un grande abbraccio, verso lo spazio aperto. Attendono i naviganti che percorrono quella via del mare, che rimane ancora così poco frequentata. In lontananza, una lunga catena montuosa scivola lentamente verso il mare. Il venticello della notte ha spazzato ogni piccola nuvola, ha fatto dileguare la grigia foschia.
Volteggiano solenni i gabbiani e con movimenti austeri beccano l’onda irrequieta. La bambina, rigida sotto l’ombrellone rosso fuoco, osserva il volo degli uccelli. Con il pensiero ne sfiora le ali, accarezzandole. Osserva attenta il veloce planare d’un gabbiano verso l’acqua del mare. Cosa si diranno l’onda e il gabbiano? La bambina stringe il suo salvagente e cerca di avvicinarsi alla riva, l’onda, quasi a intuire il suo gesto, si allunga minacciosa e rapida la raggiunge e la bambina, un po’ divertita ed un po’ infastidita, è costretta frettolosamente ad allontanarsi. L’onda ripiega, la sua bianca schiuma si sperde e abbandona la spiaggia esausta. Sembra sfinita: è solo un trucco. Un sordo rumore, come di un tuono lontano, accompagna una nuova onda che si arrotola su stessa e si schianta in mille frantumi per essere poi risucchiata in un mare divenuto ancora più sporco. Il popolo degli ombrelloni è stanco di aspettare ed è pronto a raccogliere sedie, borse, costumi variopinti, pareo, T-shirt, shorts, top, sandali, bracciali, kit abbronzanti, occhiali, cellulari e radioline, cappelli e cappellini e andare via. Oggi non è giornata. Quest’onda è proprio pazza. Meglio andare via. Lasciarla al suo destino.
La bambina non è più sotto l’ombrellone rosso fuoco, inzuppato d’acqua, e non ha voglia di andare via. Vuole tuffarsi nel suo mare, nuotare nelle sue acque salmastre, farsi cullare dalla leggera brezza che le sfiora il viso rotondo, lasciarsi trasportare da onde leggermente increspate. In un momento di tregua si avvicina lentamente verso la battigia e parla all’onda. Il mare tace. I gabbiani dall’alto controllano, vigili custodi. Onde leggere accarezzano la sabbia. La bambina, sia pure non molto vicina a quelle acque, continua a gesticolare. Sembra comunicare con l’onda ribelle, che da qualche minuto ha cessato la protesta. Forse la bambina sta esprimendo forte il suo desiderio di abbracciare il mare e che l’irritazione dell’onda è comprensibile, non è giusto, però, che siano le onde del mare e i bambini a pagare le conseguenze delle cose che non vanno. Forse saranno i bambini a parlare il linguaggio delle onde, a raccoglierne i lamenti. Ora il mare è una tavola blu. Trasparente come non mai. I raggi del sole cercano invano qualche neo in quel mare pulitissimo. È come se l’onda avesse ingoiato tutto lo sporco esistente. L’onda coccola i piedi della bambina e il popolo degli ombrelloni, timoroso, si lascia bagnare. Cosa si saranno dette l’onda e la bambina resta, per ora, un mistero.
L’onda picchia forte sulla ghiaia. Schiaffeggia la spiaggia, che, muta, non reagisce. Il sole è già alto e caldo in un cielo azzurro. I gabbiani si tuffano sull’onda nervosa, si rincorrono disegnando fantasiosi labirinti. La lunga spiaggia si riempie di bambini già pronti per tuffarsi nel fresco e caldo mare. L’onda diventa sempre più alta e rabbiosa e percuote la spiaggia con lunghe lingue di acqua schiumosa, e non pochi bagnanti devono indietreggiare. Non c’ è vento, l’aria è serena e i raggi del sole pizzicano sui corpi, tutti in attesa del bagno ristoratore.
La bambina, sotto l’ombrellone rosso fuoco, stringe il suo salvagente e attende ansiosa che l’onda si plachi. Il costume da bagno e la cuffia, che nasconde i suoi capelli, hanno i colori del cielo. Ha tanta voglia di abbracciare il mare.
Il litorale è lungo e dorato, sabbioso e ghiaioso. I colori degli ombrelloni si confondono con i mille colori dei costumi. Annoiato il popolo degli ombrelloni, accampato in riva al mare, è in attesa che l’onda non faccia più capricci. Sullo sfondo, in lontananza, una ciminiera emana una piccola nuvola di fumo bianco. Appare stanca quella ciminiera. Non ha più voglia di lavorare. Pensierosa, si chiede del suo futuro. “Vedete -sembra dire al popolo accampato sulla spiaggia- sono stata messa qui a produrre energia elettrica, ma attorno a me c’è sempre lite. Dicono che i miei fumi avvelenano l’aria, non è colpa mia se sono qui. E poi, qui, ci sto male. Sono sola. Vedo solo mare, spiagge, verde. Non vedo altre ciminiere a farmi compagnia, ve ne è una in fondo, è un cimelio storico, di una fabbrica di tanto tempo fa. Finirò presto di fumare e diventerò anch’io un pezzo di archeologia.”
L’onda picchia forte sulla ghiaia. Rumoreggia. Con cattiveria si abbatte sulle pietre levigate, penetra agile e vendicativa sotto gli ombrelloni e tra le gambe dei bagnanti, che devono precipitosamente indietreggiare. L’onda grintosa sembra mostrare i denti e tanta voglia di dire qualcosa al popolo colorato in attesa di tuffarsi nelle acque, particolarmente ora che il sole batte forte. “Ma cosa ci fate -sembra dire l’onda ribelle- da queste parti. Oggi non è una giornata per divertimenti. Andate via. Lasciatemi sola. Ma non vedete come mi avete ridotta, sono diventata la vostra discarica: ogni vostro rifiuto è destinato a me. Cosa ci fanno quelle vecchie scarpe sforacchiate sulle mie spalle? e quelle buste plastificate? e quelle lunghe macchie nere, che non mi appartengono? e quelle bottiglie? e quelle scatolette? Ma via, per favore, tornatevene nelle vostre belle case e se proprio volete, tuffatevi nelle vostre belle vasche da bagno.” E qui un’onda piccola e violenta, preceduta da un assordante brontolio, sputa sulla spiaggia ogni ben di dio: alghe verdastre, frammenti di tavole e canne, paglia ingiallita, erbe, pezzi di cocomero e tanto altro materiale che non dovrebbe trovarsi lì. “Se dovessi restituirvi tutto -urla l’onda- vi seppellirei per sempre.” Il popolo degli ombrelloni è costretto, ancora una volta, a indietreggiare, a pulire il proprio spazio, a imprecare la maledetta onda e a chiedersi che cosa stia succedendo visto che non c’è neanche un alito di vento.
La bambina, sotto l’ombrellone rosso fuoco, stringe il suo salvagente e attende ansiosa che l’onda si plachi. Il costume da bagno ha i colori del cielo ed anche la cuffia, che nasconde i suoi capelli. Ha tanta voglia di abbracciare il mare. La bambina si guarda attorno. Osserva anche con attenzione il mare. Forse capisce la rabbia dell’onda. La spiaggia non è pulita: troppi sono i rifiuti abbandonati. Le acque del mare non sono, di certo, azzurre, ma la colpa non è del mare, né dei gabbiani che lo scrutano. Ma la bambina ha tanta voglia di fare il bagno, di nuotare tra le onde amiche e vellutate, di giocare, di correre. Vorrebbe parlare con l’onda.
Sfreccia a largo una motovedetta della Guardia costiera. Sventola la bandiera tricolore. È diretta verso il vicino porto. Chi, deluso dall’ira dell’onda, guarda verso quell’approdo, scorge un alto pennone di una nave, ormeggiata in quell’insenatura. Le lunghe banchine si aprono, come in un grande abbraccio, verso lo spazio aperto. Attendono i naviganti che percorrono quella via del mare, che rimane ancora così poco frequentata. In lontananza, una lunga catena montuosa scivola lentamente verso il mare. Il venticello della notte ha spazzato ogni piccola nuvola, ha fatto dileguare la grigia foschia.
Volteggiano solenni i gabbiani e con movimenti austeri beccano l’onda irrequieta. La bambina, rigida sotto l’ombrellone rosso fuoco, osserva il volo degli uccelli. Con il pensiero ne sfiora le ali, accarezzandole. Osserva attenta il veloce planare d’un gabbiano verso l’acqua del mare. Cosa si diranno l’onda e il gabbiano? La bambina stringe il suo salvagente e cerca di avvicinarsi alla riva, l’onda, quasi a intuire il suo gesto, si allunga minacciosa e rapida la raggiunge e la bambina, un po’ divertita ed un po’ infastidita, è costretta frettolosamente ad allontanarsi. L’onda ripiega, la sua bianca schiuma si sperde e abbandona la spiaggia esausta. Sembra sfinita: è solo un trucco. Un sordo rumore, come di un tuono lontano, accompagna una nuova onda che si arrotola su stessa e si schianta in mille frantumi per essere poi risucchiata in un mare divenuto ancora più sporco. Il popolo degli ombrelloni è stanco di aspettare ed è pronto a raccogliere sedie, borse, costumi variopinti, pareo, T-shirt, shorts, top, sandali, bracciali, kit abbronzanti, occhiali, cellulari e radioline, cappelli e cappellini e andare via. Oggi non è giornata. Quest’onda è proprio pazza. Meglio andare via. Lasciarla al suo destino.
La bambina non è più sotto l’ombrellone rosso fuoco, inzuppato d’acqua, e non ha voglia di andare via. Vuole tuffarsi nel suo mare, nuotare nelle sue acque salmastre, farsi cullare dalla leggera brezza che le sfiora il viso rotondo, lasciarsi trasportare da onde leggermente increspate. In un momento di tregua si avvicina lentamente verso la battigia e parla all’onda. Il mare tace. I gabbiani dall’alto controllano, vigili custodi. Onde leggere accarezzano la sabbia. La bambina, sia pure non molto vicina a quelle acque, continua a gesticolare. Sembra comunicare con l’onda ribelle, che da qualche minuto ha cessato la protesta. Forse la bambina sta esprimendo forte il suo desiderio di abbracciare il mare e che l’irritazione dell’onda è comprensibile, non è giusto, però, che siano le onde del mare e i bambini a pagare le conseguenze delle cose che non vanno. Forse saranno i bambini a parlare il linguaggio delle onde, a raccoglierne i lamenti. Ora il mare è una tavola blu. Trasparente come non mai. I raggi del sole cercano invano qualche neo in quel mare pulitissimo. È come se l’onda avesse ingoiato tutto lo sporco esistente. L’onda coccola i piedi della bambina e il popolo degli ombrelloni, timoroso, si lascia bagnare. Cosa si saranno dette l’onda e la bambina resta, per ora, un mistero.
(21 ottobre 2007)
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