domenica 21 ottobre 2007

passeggiando tra i libri/Senza fine

Senza fine
di Giovanni Pistoia

Francesco Arcà, nel 1982, nel suo “Mafia, camorra e ‘ndrangheta”, (Lato Side Editori), si poneva questi interrogativi: “Possiamo ancora salvare il Mezzogiorno? È, cioè, possibile tirare fuori il Sud dall’abisso in cui sta precipitando per il suo sottosviluppo economico e per il suo degrado sociale e civile?” Una situazione grave che Pecchioli, autorevolissimo esponente comunista del tempo, così evidenziava: “Qui è evidente un pericolo gravissimo per la convivenza civile e si pone perciò la grande questione democratica. Come può sopravvivere e svilupparsi la democrazia repubblicana con questa profonda ferita aperta, con il consolidamento di un potere che tende ad assumere il monopolio delle attività imprenditoriali e finanziarie? La mafia, forte da Napoli a Trapani, rimette in discussione il primo ed il secondo Risorgimento, l’Unità d’Italia e il regime democratico costituzionale.” Quegli anni sono ormai lontani. Ognuno, però, può vedere come quella ferita sia ancora aperta, come il potere mafioso si sia consolidato ovunque.

Per avere un’idea dell’espandersi delle attività criminali è opportuno la lettura del libro di Arcangelo Badolati, “I segreti dei boss. Storia della ‘ndrangheta cosentina”, 2005, (Klipper edizioni, www.klipper.it). Badolati prende in esame i fatti così come si sono verificati dalla fine degli anni Settanta, in concreto il periodo successivo a quello di Arcà, e pone l’attenzione su Cosenza, che è stata considerata, per troppo tempo, “un’isola felice”, sui territori del Pollino, del Tirreno, della Piana di Sibari, della Sila.
È un lavoro che parla di eventi, di documenti, di sentenze, dei rapporti investigavi, dei tanti morti. L’autore mette in fila i fatti di cronaca con la lucidità di chi conosce il fenomeno mafioso e usa un linguaggio asciutto, apparentemente freddo. Se le pagine di Arcà erano impressionanti, quelle di Badolati lo sono di più. Non solo perché dove la mafia esisteva non è stata scalfita, ma, soprattutto, perché lì dove era, come a Cosenza e Provincia, una realtà appena agli inizi, si è trasformata in un fenomeno criminale di tutto rispetto: ha una sua autonomia operativa e strategica, stringe rapporti con altre organizzazioni mafiose italiane e internazionali, acquisisce una rinnovata cultura criminale, è dentro tutti i più grandi affari, dalla droga alla prostituzione, dall’usura alle estorsioni, agli appalti. In questa ricerca in primo piano vi sono i fatti di sangue, che hanno investito le zone esaminate negli ultimi trent’anni. La società è sullo sfondo. Anche queste comunità sembrano rassegnate (o quasi) di fronte all’arbitrio e alla violenza. Anche perché le istituzioni, nella migliore delle ipotesi, conducono “guerre” disarticolate, con strumenti certamente non adeguati allo scontro, mentre il sistema politico appare vistosamente succube di poteri inquinati, se non peggio. Arcà terminava il suo lavoro ponendosi degli interrogativi, Badolati, venticinque anni dopo, chiude il suo libro con dei puntini sospensivi. Che avrà voluto dire? Tutto continuerà come prima? Oppure in quei tre puntini si cela un segno di fiducia? Del resto, non si è sempre affermato che la speranza è l’ultima a morire? Alla fine, la stessa speranza resterà vittima della lupara bianca. A meno che…
(21 ottobre 2007)

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