domenica 21 ottobre 2007

Racconti brevi/Perché non torni Cappuccetto rosso

Perché non torni Cappuccetto rosso
di Giovanni Pistoia


Quel batuffolo di un ragazzino, poco più di un bambino, tra le gambe un bambolotto quasi quasi più grande di lui, se ne sta accovacciato dentro quel piccolo nudo balcone con il viso tra le sbarre di ferro, strette dalle piccole mani. Il balcone, una piccola gabbia, se ne sta attaccato in cima al palazzo, circondato da altre gabbie di altri palazzi in un quartiere di città. Le rondini, a primavera, fanno fatica ad avvicinarsi lassù, i fili dell’alta tensione non sono distanti, mentre le strade appaiono lontane e strette. Robertino sta lì, in quel piccolo spazio sospeso nel vuoto, immobile, con lo sguardo rivolto alle curve delle strade. Attende. Aspetta. Di tanto in tanto raccoglie, con un lento movimento della mano, quel suo ciuffettino biondo, che gli casca sulla fronte e sugli occhi. Resterebbe lì, per ore, se una mano premurosa non venisse per riportarlo dentro casa.

Il caldo è torrido sul finire della settimana. Restare in questa città bruciata dal sole anche durante il riposo settimanale è, probabilmente, più faticoso di un duro giorno di lavoro. Prendere poche cose, mettere in moto la macchina e insieme a qualche amico volare via, senza tentennamenti, verso i monti vicini.

La montagna è un miracolo della natura. Il sole vi picchia forte ma gli alberi giganti resistono ai raggi infuocati, che invano tentano di penetrare nel bosco. Ampi spazi d’ombra sono il rifugio degli assetati della città. Robertino e la sorellina e altri ragazzi incontrati nell’improvvisato parco danno libero sfogo alla voglia di libertà. I ragazzini e le ragazzine si rincorrono tra i cespugli e dietro i tronchi nodosi di alberi amici. Un cagnolino dispettoso è diventato la mascotte dell’allegra comitiva. Ha preso di mira la bandana rossa di Margherita, la sorellina di Robertino, dalla quale non si stacca mai: le è stata regalata da un’amica ai tempi della scuola materna, ora partita per un altro Paese. La porta spesso, annodata sulla sua testolina bionda, e le amichette e lo stesso fratellino la prendono in giro chiamandola Cappuccetto rosso. Il vispo cagnolino, piccolo e inquieto, è riuscito ad impossessarsi della bandana e Margherita e compagni gli vanno dietro nella speranza di acciuffarlo senza danno per il prezioso panno.

Un campo di fragoline rosse attrae la curiosità dei ragazzini. Sotto foglie di felci, tra alte erbe, si nascondono saporiti e profumatissimi frutti. Comincia una gara a chi ne raccoglie di più. Partecipano alla caccia di questo insperato tesoro un nutrito grappolo di bambini e ragazzi. Margherita, recuperata la bandana, non senza fatica, se la sistema, con l’aiuto di mamma e papà, sui riccioli d’oro. E così, mentre il cagnolino impertinente ha perso la sua battaglia e qualche raggio di sole riesce a penetrare nella fitta difesa degli alberi, Margherita, con impegno, si tuffa alla ricerca del delizioso frutto di bosco.

Sul far della sera, il sole annuncia il desiderio di abbandonare quei luoghi. Ha necessità di andare in altre parti, dove lo attendono altri bambini, poco importa se di colori diversi e se parlano un’altra lingua e se si vestono, forse, in altro modo. Ma è l’ora anche del rientro in città. Nel grande bosco pian pianino ritorna il silenzio. Tra un ramo è l’altro fa capolino uno scoiattolo. Il vociare festoso dei ragazzi si attenua sempre più con la partenza delle automobili, che si avviano verso la città. Robertino raccoglie le sue cose e si incammina con i genitori e alcuni amici verso la propria auto, parcheggiata non molto lontana. Ma Margherita non c’è.

Margherita non c’è. Il nome di Margherita viene chiamato sempre più ad alta voce da un albero all’altro. Sempre più voci chiamano alto e forte il nome di Margherita ma Margherita non c’è. Margherita non risponde. Margherita tace. Margherita perché non rispondi. Il bosco si riempie di uomini e donne non più festosi, di divise di diversi colori. Colonne di macchine con segnali luminosi occupano le strade, che circondano la montagna. Margherita. Margherita dove sei. Margherita rispondi. Margherita fatti vedere. Lungo lo schienale della montagna, vicino ad un viottolo angusto viene ritrovata la bandana rossa e tante piccole, minuziose fragole schiacciate, calpestate. Il nome di Margherita viene invocato per tutta la sera, per tutta la notte, per i giorni e le notti successive.

Robertino chiede aiuto ai raggi del sole e della luna alle stelle e alle luminose lucciole alle formiche e alle cicale ai gabbiani e alle lucertole ai serpenti e agli scoiattoli ai lupi e alle cerbiatte ai venti delle montagne e alle brezze marine alle onde del mare e alle acque dei ruscelli alle nuvole viaggiatrici che sovrastano le città e i dirupi alle aquile reali che dominano le montagne.

Nella sua casa, in cima al palazzo, Robertino stringe il bambolotto di Cappuccetto rosso perché non si senta solo, mentre guarda con disincanto i libri della favole di Margherita ancora sparsi per terra. E il lupo cattivo della favola esce dal libro e assicura Robertino che lui non ha mangiato Cappuccetto rosso. L’orco mostruoso prende la parola per dire che lui non ha divorato la bambina né stretto tra le sue forti braccia la piccola Margherita per portarla via. Anche il drago vuole dire la sua: la sua lingua di fuoco non ha fatto del male alla sorellina. Forse, pensa Robertino, chi fa del male a Margherita non è un cattivo con quattro zampe come raccontano certi uomini ma sono dei cattivi a due zampe, che vogliono dare la colpa ad altri che non c’entrano niente. Vorrebbe incontrarlo Robertino questo genere di due piedi. Vorrebbe incontrarlo per fargli tante domande, per conoscerlo un po’, per vedere che aspetto ha, per toccargli le mani, il viso, il naso. Guardarlo fisso fisso negli occhi. Per leggergli il cuore. Guardarlo fisso fisso negli occhi. Per fulminarlo.

Quel batuffolo di un ragazzino, poco più di un bambino, tra le gambe un bambolotto quasi quasi più grande di lui, se ne sta accovacciato dentro quel piccolo nudo balcone con il viso tra le sbarre di ferro, strette dalle piccole mani. Il balcone, una piccola gabbia, se ne sta attaccato in cima al palazzo, circondato da altre gabbie di altri palazzi in un quartiere di città. Le rondini, a primavera, fanno fatica ad avvicinarsi lassù, i fili dell’alta tensione non sono distanti, mentre le strade appaiono lontane e strette. Robertino sta lì, in quel piccolo spazio sospeso nel vuoto, immobile, con lo sguardo rivolto alle curve delle strade. Attende. Aspetta. Di tanto in tanto raccoglie, con un lento movimento della mano, quel suo ciuffettino biondo, che gli casca sulla fronte e sugli occhi. Resterebbe lì, per ore, se una mano premurosa non venisse per riportarlo dentro casa.

Un ultimo sguardo lanciato verso il labirinto di strade, un pensiero pesante a schiacciargli l’infanzia e a chiedersi e a chiedere al mondo e al cielo del perché non torna il suo Cappuccetto rosso.

(21 ottobre 2007)

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