Il cavalluccio marino
di Giovanni Pistoia
Sulla spiaggia gattusiana di Schiavonea di Corigliano, una mattina di un luglio caldissimo, passeggiano un nonno e una bambina. Il mare è irretito per via di alcune macchie oleose, che ne scalfiscono la naturale bellezza. Sulla battigia, ben levigata, uno, due, tre piccoli cavallucci marini, avvizziti dal sole, trasportati da qualche onda stressata o lasciati cadere dalla rete di un pescatore.
Sulla spiaggia gattusiana di Schiavonea di Corigliano, una mattina di un luglio caldissimo, passeggiano un nonno e una bambina. Il mare è irretito per via di alcune macchie oleose, che ne scalfiscono la naturale bellezza. Sulla battigia, ben levigata, uno, due, tre piccoli cavallucci marini, avvizziti dal sole, trasportati da qualche onda stressata o lasciati cadere dalla rete di un pescatore.
Il cavalluccio marino ha un aspetto bizzarro e stimola la fantasia e la curiosità. La bambina esamina, con attenzione, questo strano abitante dei mari e informa il nonno che il cavalluccio è chiamato anche “ippocampo” e che lei lo ha visto da vicino, vivo, in un acquario e ora ne è rattristata nel vederlo così, inanimato. Vuole saperne di più.
E qui il nonno, che di cose di mare è alquanto digiuno, dà, invece, sfoggio di grande competenza. Intanto afferma che l’ippocampo è un pesce, che è speciale perché ha una caratteristica che non molti sanno e che lo rendono ancora più simpatico e misterioso. Possiede, infatti, una tasca nel ventre, una specie di marsupio. Durante la stagione degli amori, il cavalluccio marino maschio raccoglie, in questa tasca, tantissime uova prodotte dalle sue compagne, le feconda, le custodisce amorevolmente per uno o due mesi. Trascorso questo periodo, i piccoli escono dalle uova e saltano dal ventre paterno. È proprio così: nella famiglia dell’ippocampo è il papà che svolge quelle funzioni, che normalmente sono riservate alle mamme. L’ippocampo è, quindi, un papà del tutto diverso, davvero singolare: è un papà “incinto”. È inutile aggiungere che la cosa incuriosisce la bambina, mentre il nonno fa la figura dello scienziato.
Da dove viene questa provvidenziale conoscenza? È presto detto: il “Centre de Vulgarisation de la Connaissance” (Centro di Divulgazione della Conoscenza), svolge, in Francia, opera di divulgazione del sapere, soprattutto scientifico, a disposizione di un pubblico il più vasto possibile, attraverso campagne di informazione e iniziative editoriali.
In quest’ottica pubblica il volume “Pourquoi?”, con vivaci illustrazioni di Florence Roy. In Italia, tradotto da Gianni Garelli, è stampato dalle edizioni Dedalo (www.edizionidedalo.it) con il titolo “Perché?”. Il testo non ha la pretesa di fornire una risposta esaustiva a ogni domanda che si pone: Perché il cielo è blu? Perché i fiori profumano? Perché i gatti vedono bene anche di notte? Perché una nave pesante galleggia e un piccolo sasso va giù? Perché il sole brilla? Perché l’ippocampo… e così via. Intende, invece, stimolare il gusto per la conoscenza. Dare risposte, che incoraggino altre domande su tutto ciò che ci circonda. Far capire come il sapere, anche quello scientifico, non è una cosa tanto difficile, ma che la scienza è nella nostra vita quotidiana, nelle cose che noi facciamo. “Perché?” è il primo di sette volumi: una piccola biblioteca di scienza, diretta da Elena Ioli. È uscito anche un secondo testo: “Gli atomi dell’Universo”. Prossimamente, gli altri. Una collana scritta da scienziati con il linguaggio del lettore comune. Un tentativo di conciliare semplicità di linguaggio e precisione scientifica. Un’ottima guida per ragazzi, ma anche per genitori e educatori, che vogliono far proprio il motto del Centro: divulgare la conoscenza quale dovere civico.
(21 ottobre 2007)
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